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CREDITI D’IMPOSTA E ONERE DELLA PROVA: PRINCIPIO DELLA CASSAZIONE

Crediti d’imposta e onere della prova: principio della Cassazione

La Cassazione con la pronuncia n 24841 rafforza un principio consolidato della giurisprudenza che indica nel contribuente l'attore della prova dell'esistenza del credito d'imposta

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Con la Cassazione n 24841/2025 viene chiarito l'onere della prova per il contribuente ai fini dell'utilizzo dei crediti di imposta, ossia la suprema corte specifica che grava sul contribuente, il quale richieda il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito. 

Non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo di applicazione del tributo. 

È sempre il contribuente, anche nelle ipotesi in cui trattasi di compensazione di debiti tributari con credito Iva, ad essere gravato dell’onere di dar prova dei fatti costituenti il diritto esercitato. 

1) Crediti d’imposta e onere della prova: principio della Cassazione

Quando un contribuente presenta un’istanza di rimborso per un credito d’imposta, non è sufficiente dichiarare l’esistenza del credito nella dichiarazione fiscale. 

È necessario dimostrarlo con documentazione adeguata, perché il credito non nasce dalla dichiarazione, ma dal meccanismo di applicazione del tributo.

Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24841 del 9 settembre 2025, confermando un principio consolidato:

  • chi chiede un credito d’imposta assume il ruolo di attore in senso sostanziale e ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto esercitato.

Tale assunto si applica anche ai casi di compensazione orizzontale con crediti IVA: anche in questi casi è il contribuente a dover fornire prova piena e concreta della spettanza del credito utilizzato.

2) Crediti d’imposta e onere della prova: la giurisprudenza consolidata

Il caso analizzato dalla Cassazione riguarda una controversia tra una Srl e l’Agenzia delle Entrate. 

La società aveva chiesto il rimborso di importi versati in eccesso con F24 a titolo di Ires, Iva e Irap per l’anno d’imposta 2013.

In particolare:

  • il versamento era stato effettuato in compensazione, utilizzando un credito IVA maturato nel 2016;
  • la somma versata era riferita a un debito già annullato dall’Agenzia in autotutela, quindi inesistente.

La società, quindi, non doveva nulla, ma ha eseguito un versamento compensando con un credito successivo, per poi chiedere il rimborso dell’importo pagato

L’Agenzia ha negato il rimborso e ha contestato la legittimità del credito IVA utilizzato, sostenendo che si trattava di un’operazione strumentale al conseguimento indebito del rimborso.

In primo e secondo grado, le Commissioni tributarie avevano accolto le ragioni della società. 

L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato ricorso in Cassazione, che ha ribaltato il verdetto.

Secondo la Corte:

  • l’onere probatorio non si esaurisce con la dichiarazione;
  • il credito non nasce con l’esposizione nella dichiarazione, ma dal rapporto tributario sostanziale;
  • il contribuente deve provare la reale sussistenza del credito, anche se lo ha utilizzato in compensazione.

Nel caso specifico, la Cassazione ha sottolineato che:Tale onere non può essere assolto con la mera esposizione della propria pretesa restitutoria nella dichiarazione, giacché il credito fiscale non nasce da questa, bensì dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo previsto dalla legge”.

Nel processo tributario, quando è in gioco il riconoscimento di un rimborso, il contribuente ha un ruolo attivo, anche se è formalmente resistente.

La Cassazione ha ribadito che in questi casi il contribuente è attore in senso sostanziale e deve allegare e provare i fatti che fondano il credito.

Le contestazioni dell’Agenzia costituiscono mere difese e non sono soggette a preclusioni.

Questo principio è coerente con precedenti orientamenti giurisprudenziali che chiariscono come in tema di rimborsi il contribuente debba assumersi integralmente l’onere probatorio.

Con una precedente sentenza n. 21766/2021, i giudici hanno affermato che: l’Amministrazione finanziaria può contestare un credito IVA, anche dopo il termine per accertare l’imponibile, se il credito non deriva da una minore imposta dovuta, ma da altri fattori (es. errori, duplicazioni, irregolarità formali).

Lo stesso principio era stato affermato in precedenza anche in materia di IRES (Cass. n. 5096/2016) che ha statuito che  i termini decadenziali per l’accertamento valgono solo per i crediti del Fisco, non per i debiti nei confronti del contribuente.

Ciò significa che la richiesta di rimborso non può mai essere considerata automatica o intoccabile, ma può essere sempre oggetto di verifica sstanziale da parte dell’Agenzia.

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