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SOMMINISTRAZIONE E CESSIONE DI PASTI: CHIARIMENTI SULL'IVA DA APPLICARE

Somministrazione e cessione di pasti: chiarimenti sull'IVA da applicare

Le Entrate sottolienano quale sia la corretta IVA per le cessioni e somministrazioni di pasti: IVA la 4% o al 10%?

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Con Risposta n 412 del 2 agosto le Entrate forniscono chirimenti sull'aliquota IVA applicabile a prestazioni inerenti i pasti svolte da una ONLUS.

Secondo le Entrate una società che fornisce pasti a una Onlus non potrà applicare l’Iva al 4% sui cibi destinati ai dipendenti dell’associazione in quanto tale aliquota è prevista quando le ''somministrazioni'' avvengono all'interno di una mensa aziendale. 

Nel caso di specie l'istante, una Azienda Pubblica di Servizi alla Persona, fa presente di aver stipulato con una ONLUS che si occupa di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale un contratto con il quale si impegna a eseguire le  seguenti prestazioni: ­       

  • «la preparazione [...] dei pasti destinati agli utenti» di  un centro  socio  educativo e di una comunità alloggio, secondo il fabbisogno; ­            
  •  «il  confezionamento  dei  pasti  nei  contenitori  termici  utilizzati  per  la  consegna»; ­    
  • «il conseguente lavaggio di detti contenitori». 

La ONLUS: ­ 

  • mette a disposizione i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto  dei pasti; ­          
  • prende in carico i pasti presso la cucina dell'Istante; ­           
  • consegna i contenitori e le casse termiche necessari al trasporto dei pasti  (privi di eventuali resti di cibo); ­ 
  • fornisce le bevande, i condimenti, le stoviglie e tutto il necessario per la  distribuzione e la somministrazione dei pasti agli utenti.

L'Istante ha applicato fino ad oggi l'Iva nella misura agevolata del 10 per cento, ai sensi del numero 121) della Tabella A, Parte III, del decreto del Presidente  della  Repubblica  26  ottobre  1972,  n.  633  e recentemente facendo presente che una parte dei pasti è consumata dal proprio personale, ha richiesto, «limitatamente ai suddetti pasti», l'applicazione dell'aliquota del 4 per cento, ai sensi del  numero 37), della Tabella A, Parte II, allegata medesimo decreto.

A tal fine chiede chiarimenti in ordine alla corretta aliquota da applicare.

Le Entrate chiariscono che, per quanto concerne l'aliquota applicabile alla fattispecie in oggetto, si fa presente che il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevede l'applicazione dell'aliquota Iva del 10 per cento alle «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande». 

Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l'altro, che l'aliquota agevolata  del 10 per  ento si applica alle «preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove [...]». 

Al riguardo, si rileva che l'articolo 1, comma 40, della legge 27 dicembre 2020,  n. 178 (legge di bilancio per il 2021) prevede che «la nozione di preparazioni alimentari di cui al numero 80) della tabella A, parte III, (...) deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell'asporto». 

Con la suddetta disposizione, il  legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell'Iva, dell'attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto poichè vi erano dubbi  se dovesse considerarsi quale ''cessione di  beni'' o ''prestazione di servizi'' (in quanto somministrazioni di alimenti). 

Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e  bevande viene inquadrato nell'ambito delle fattispecie assimilate alle  prestazioni di  servizi dall'articolo 3,secondo comma, n. 4) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972 e risulta caratterizzato  dalla commistione di  ''prestazioni di dare'' e  ''prestazioni di fare''. 

Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare (cfr.  risoluzione 17 novembre 2016, n. 103/E).

La diversa qualificazione incide ai fini della individuazione dell'aliquota Iva da applicare, in quanto:

  • la ''somministrazione'' è assoggettata all'aliquota Iva del 10 per cento,  ai sensi del citato numero 121),
  • mentre la ''cessione'' è assoggettata ad Iva con l'aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto.

Al riguardo, come rilevato nella citata risposta n. 581 del 2020, concernente la  cessione  di  preparazioni  alimentari  e  bevande  presso ristoranti, anche  alla luce  della  possibile coesistenza commerciale nello stesso locale della attività di somministrazione e di vendita, gli alimenti e le bevande possono essere  forniti tanto nell'ambito di una  più ampia prestazione di servizi di ''somministrazione'', quanto nell'ambito di una mera  cessione  nel  caso  della mera  vendita  da  asporto.  

In merito alla  distinzione in  esame, la Corte di giustizia ha chiarito che «al fine di stabilire se una prestazione complessa unica, quale quella oggetto delle varie cause di cui ai procedimenti principali debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l'operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti»

In particolare, la Corte ha giudicato l'operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un'operazione di  mera cessione avente ad oggetto «alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato»

In base a quanto sino ad ora esposto, pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell'ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall'Amministrazione finanziaria, una cessione di beni (cfr. anche risposta pubblicata n. 35 del 20 gennaio 2022). 

Nel caso in  esame, il contratto in esame non ha  per oggetto  la  ''somministrazione'' di pasti all'interno della mensa aziendale della ONLUS, bensì, la preparazione e confezionamento dei  pasti, ritirati presso la cucina dell'Istante, che l'ONLUS distribuisce in minima parte anche al proprio personale. Pertanto, non si ritiene sussistente l'applicazione della predetta aliquota del 4 per cento 

Allegato

Risposta ADE n 412 del 02.08.2023

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