Con la sentenza n. 70 del 2025, depositata il 23 maggio, e pubblicata in GU il 28 maggio 2025 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 57 e, in via consequenziale, dell’art. 17, comma 16, della legge n. 247/2012 sull’ordinamento della professione forense.
Le norme del regolamento imponevano un divieto assoluto di cancellazione dall’albo degli avvocati qualora fosse pendente un procedimento disciplinare.
Il caso trae origine dalla richiesta di un avvocato affetto da gravi patologie che gli impedivano di esercitare la professione, il quale aveva domandato la cancellazione dall’albo per accedere a prestazioni previdenziali e assistenziali.
La Corte di cassazione, investita della questione, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale ritenendo che tale divieto, applicato rigidamente anche nei confronti di chi non è più in grado di svolgere l’attività, violasse diversi principi costituzionali, tra cui quelli sanciti dagli articoli 2 (libertà di autodeterminazione), 3 (uguaglianza), 4 (diritto al lavoro), 35 (tutela del lavoro) e 41 (libertà d’iniziativa economica privata) della Costituzione.
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1) La decisione della Corte e le motivazioni
La Corte ha ritenuto fondate le questioni sollevate, stabilendo che il divieto assoluto di cancellazione impedisce al professionista di esercitare diritti fondamentali. In particolare, viene impedita la rinuncia volontaria all’iscrizione anche in presenza di condizioni oggettive che rendano impossibile l’esercizio della professione, come nel caso di malattia grave. Questo si traduce, secondo la Consulta, in una violazione della libertà individuale, poiché si obbliga l’individuo a permanere in un gruppo professionale contro la propria volontà, senza alcuna utilità sociale reale.
La Corte ha sottolineato che l’iscrizione all’albo deve restare una scelta libera e consapevole. Non può essere imposta in modo coattivo per il solo scopo di evitare che l’avvocato sfugga al procedimento disciplinare. A giudizio della Consulta, esistono strumenti alternativi meno lesivi per garantire la prosecuzione dell’azione disciplinare, come la sospensione dei termini di prescrizione o la riattivazione del procedimento in caso di reiscrizione.
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2) Le conseguenze operative
Con questa sentenza, la Corte costituzionale apre la strada a un diverso bilanciamento tra esigenze disciplinari e tutela dei diritti individuali.
Il divieto in questione, pur nato per evitare comportamenti elusivi da parte degli iscritti, finiva per colpire indiscriminatamente anche situazioni di oggettiva impossibilità all’esercizio della professione. La cancellazione volontaria, da oggi, non potrà più essere impedita in nome di un procedimento disciplinare in corso.
Di fatto la cancellazione dall’albo comporterà l’estinzione del procedimento disciplinare. Tuttavia, se il professionista chiederà in futuro la reiscrizione, l’azione disciplinare potrà essere riattivata per gli stessi fatti, ove ancora non prescritta.
Il legislatore è ora chiamato a intervenire per definire nuove modalità, costituzionalmente compatibili, per la gestione dei procedimenti disciplinari in presenza di richieste motivate di cancellazione dall’albo.
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