Nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 807 del 13 gennaio scorso vengono chiariti ulteriormente i vincoli che la normativa del lavoro e il Regolamento sulla privacy pongono ai datori di lavoro in merito all'utilizzo dei dispositivi elettronici aziendali . La nuova pronuncia si occupa in particolare di un caso di licenziamento a seguito di indagini sul pc di un dipendente a causa di fondati sospetti di attività illecita , nel quale la Suprema corte conferma la decisione di merito sottolineando che il controllo sui periodi precedenti il sospetto, è vietato, per cui le eventuali informazioni acquisite non sono utilizzabili a fini di una contestazione disciplinare verso il dipendente.
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1) Controllo posta elettronica : i limiti dello Statuto dei lavoratori e Jobs At
La Cassazione afferma ancora una volta come , i controlli tecnologici sugli strumenti digitali aziendali, sebbene ammessi dallo Statuto dei lavoratori modificato dal Jobs Act del 2015, devono rispettare specifici parametri di bilanciamento tra il rispetto della privacy del lavoratore e le esigenze di tutela degli interessi aziendali.
In particolare, le verifiche sono ammesse:
- solo in presenza di un fondato sospetto di attività illecite e
- devono limitarsi ai dati raccolti successivamente al suo insorgere .
Qualsiasi verifica retrospettiva, come quella effettuata nel caso analizzato, viola l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che consente controlli unicamente ex post.
Inoltre, viene precisato che l’informativa sulla privacy regolarmente visionata e accettata dal dipendente , non può sanare l’illegittimità di controlli eseguiti in violazione delle norme, poiché tale adempimento ha finalità diverse.
La sentenza sottolinea che l’azione disciplinare può basarsi solo su dati raccolti nel rispetto di questi limiti, impedendo al datore di lavoro di utilizzare prove raccolte in modo improprio o di cercare conferme di un sospetto esplorando dati archiviati precedentemente.
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