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REVERSE CHARGE COMMERCIO ORO: ATTIVITÀ EFFETTIVA E NON CAMERALE

Reverse charge commercio oro: attività effettiva e non camerale

Il reverse charge applicato al commercio dell'oro dagli operatori professionali deve basarsi sull'effettiva attività svolta e non su quella camerale.

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Una recente sentenza della Cassazione, che puo’ bene applicarsi agli esercenti professionali di commercio di oro che applicano il reverse charge, ha stabilito che l’attività di una società deve essere determinata secondo criteri sostanziali e non basarsi solo sulle risultanze della visura camerale.
Il criterio enunciato dalla sentenza che riguarda il caso di un accertamento in cui l’ufficio aveva disconosciuto l’applicazione del beneficio pex, si puo’ estendere anche al caso di applicazione del reverse charge in materia di oro, contestato dall’agenzia delle entrate secondo appunto quanto risulta dall’iscrizione camerale per gli esercenti in via professionale di commercio di metalli preziosi, costretti per una carenza della norma a iscriversi come commercianti di oggetti preziosi e di gioielleria

1) Sul valore probatorio del documento camerale si esprime la Suprema Corte

Sul valore probatorio delle informazioni contenute nel solo documento camerale, al fine di accertare lo stato e l’effettiva attività svolta da una impresa, lo scorso 7 ottobre 2014, con Sentenza n. 41686, la Suprema Corte si è espressa in senso negativo esortando i giudici di merito al vaglio di ulteriori e più sostanziali elementi di prova forniti. Il caso oggetto di detta sentenza è riferito alla determinazione dell’operatività commerciale, o meno, di una società le cui quote erano state cedute con il regime di “Participation exemption”. Mentre, dunque, il giudice di merito, per il disconoscimento del regime pex, riteneva sufficiente l’informazione di “inattività”, desunta dalla sola certificazione camerale, la suprema corte ha ritenuto che i togati di prime cure, per giustificare lo stato di inattività della società in questione, avrebbero dovuto considerare adeguatamente anche altri fatti più concreti e puntuali come la documentazione fornita che rappresenta un “criterio sostanziale”. Si rammenti, inoltre, che l’art. 56 del DPR 633/72 prevede che nell’Avviso di accertamento “devono essere indicati specificamente, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori”.

2) Il caso del reverse charge per le cessioni a fusione di gioielleria

La medesima situazione si presenta nell’ambito del commercio degli oggetti preziosi usati, in cui, in materia di applicazione IVA nelle cessioni a fusione di gioielleria, dopo i definitivi chiarimenti della Risoluzione n. 92/2013, che collega la legittima applicazione del Reverse Charge all’esclusiva attività di fusione o fabbricazione della società cessionaria, l’attenzione dell’A.F. è stata trasferita sull’attività esercitata dai cessionari dei commercianti di oggetti usati tralasciando lo stato fisico-merceologico degli oggetti stessi.
In tale contesto, si constata che per la mancata istituzione da parte della L. 7/2000 di un codice Ateco relativo al commercio dell’Oro di cui alla stessa legge, la quasi totalità degli Operatori Professionali in Oro, per lo svolgimento della propria attività, sono stati costretti ad utilizzare il codice previsto per l’attività di “Commercio di gioielleria e oreficeria” nel dichiarare il commercio dell’Oro fino e del Materiale d’oro.
Su tale anomalia (indotta), basata su criteri formali e non sostanziali, e sulla sua conseguente incertezza, l’Agenzia delle Entrate ha emesso Avvisi di accertamento con relativa contestazione del meccanismo del Reverse Charge IVA nelle cessioni di gioielleria usata destinata alla produzione di oro di cui alla legge 7/2000. Quindi, ha recuperato l’imposta indiretta per il presunto e contestuale esercizio dell’attività commerciale di oggetti preziosi in capo alle società cessionarie, desunto dalle sole certificazioni camerali, il che non garantisce la necessaria univoca e immodificabile destinazione a fusione richiesta per l’adozione dell’inversione contabile.
Caso pratico del principio fissato dalla suddetta Sentenza della Corte di Cassazione e del più generale principio di prevalenza della sostanza sulla forma si è manifestato presso la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Salerno.
Detto Ufficio, in prima istanza, notifica l’accertamento con recupero IVA fondando l’Atto sull’assenza delle necessarie condizioni soggettive in capo alle società cessionarie della ditta accertata; tanto sulla base dei dati ricavati dalla Certificazione camerale e sottovalutando completamente la documentazione prodotta dalla parte accertata, rappresentata da una “dichiarazione di notorietà” rilasciata dalle società cessionarie e dall’iscrizione delle stesse all’Albo degli Operatoti Professionali. Successivamente, in forza di documenti sopraggiunti, occasionalmente acquisiti e poi prodotti all’AdE, lo stesso Ufficio ritira l’Atto di accertamento con Autotutela.
Infatti, a smentire le informazioni registrate in CCIAA presso il registro delle imprese, nelle more del contenzioso e prima della pronuncia della Commissione adita, sono stati due PVC redatti dalla GdF di Napoli emessi a seguito di attività di verifica nei confronti di una società cessionaria della ditta accertata che era considerata, dall’Agenzia delle Entrate di Salerno, anche esercente il commercio di oggetti preziosi oltre che dell’attività di fusione e all’affinazione di metalli preziosi.
Tale documentazione, di fonte autorevole e di inequivocabile tenore, smentisce il contenuto dei dati camerali e, di conseguenza, della fondatezza dell’accertamento; tanto da confermare l’insufficienza probatoria dello stesso ai fini accertativi.
Emerge talmente chiara l’attività svolta dalla società verificata, che l’Ufficio accertatore di Salerno, con atto n° prot. 117958/2014, annulla in Autotutela l’Avviso di accertamento precedentemente emesso, così motivando:
In conclusione, l’atavica questione sull’applicazione dell’imposta IVA alle cessioni dei preziosi usati ha intrapreso un nuovo percorso definito progetto “Gold Scrap 2”, che basato, su elementi di prova esigui ed insufficienti, richiede un’attività istruttoria più accurata al fine di poter sostenere con solidità probatoria gli accertamenti fiscali.
 
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