Le scale e l'androne, essendo elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in assenza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell'art. 1117 c.c., anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio.
La norma dell’art. 1102 c.c. riconosce a ciascun condomino il diritto di servirsi delle parti comuni dell’edificio, come scale e pianerottoli, anche collocando davanti alla propria porta oggetti ornamentali come zerbini, tappeti o piante, purché tale utilizzo non ne alteri la destinazione né ostacoli il pari godimento da parte degli altri.
In altre parole, questo diritto incontra un limite invalicabile: la particolare funzione del vano scale come spazio destinato al transito sicuro.
Poiché l’uso delle scale comporta già un rischio generico, non è consentito intensificarlo con la collocazione di suppellettili nelle zone più vicine alle rampe, se ciò costringe gli altri condomini a movimenti scomodi o potenzialmente pericolosi.
In definitiva, l’uso individuale della cosa comune deve sempre rispettare il principio del pari utilizzo: ogni condomino può trarre vantaggio dalla cosa comune, ma senza compromettere la sicurezza, la funzionalità o il diritto degli altri a farne un uso equivalente.
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1) L’oscuramento delle scale
In considerazione di quanto sopra si può affermare che ogni partecipante alla comunione è tenuto a rispettare la destinazione e la funzione delle parti comuni, evitando comportamenti che ne limitino l’utilizzo da parte degli altri.
Quando un’apertura posta su un muro dell’edificio, come una finestra che illumina e arieggia il vano scala, viene oscurata da interventi privati, si crea una situazione di squilibrio che incide sul diritto collettivo al godimento del bene.
L’uso delle strutture condivise deve avvenire in modo compatibile con le esigenze di tutti i condomini, senza trasformazioni che ne alterino la natura o ne riducano l’efficacia.
A maggior ragione la chiusura di tale apertura, ad esempio mediante muratura, costituisce una trasformazione rilevante che compromette la funzione essenziale del bene condiviso, destinato a garantire aerazione e illuminazione agli spazi interni.
Un’operazione del genere, se effettuata senza il consenso dell’assemblea condominiale, è da considerarsi non conforme alla normativa, poiché incide negativamente sull’utilizzo collettivo e peggiora le condizioni generali dell’immobile.
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2) Il panorama dal vano scale: un caso concreto
Un condomino cita in giudizio altro condomino che aveva arbitrariamente posizionato sul balcone una parete in plastica, limitando la luce e la veduta all’esterno dal vano scala; malgrado gli inviti bonari all’eliminazione di detta parete, il convenuto continua con ogni mezzo a limitare la luce e il panorama visibile dal vano scala, posizionando sul proprio balcone ostacoli di diversa natura, posizionando tendaggi, armadi ed altro sul balcone del proprio appartamento adiacente al finestrone del vano scala.
Il Tribunale ha riconosciuto il diritto del singolo condomino di agire per la rimozione di opere abusive realizzate da altri condomini su beni comuni, senza necessità di coinvolgere tutti i comproprietari.
Tuttavia il giudice ha rigettato la domanda dell’attore, ritenendo non provata l’esistenza della “servitù di panorama” attraverso la finestra del vano scale. In particolare, non è stato prodotto alcun titolo costitutivo — come un contratto, una sentenza, o una situazione di fatto consolidata — idoneo a dimostrarne la legittima costituzione (Trib. Crotone 7 dicembre 2021 n. 1020).
3) Pluralità di abusi nel condominio: quando più condomini compromettono le parti comuni
La Cassazione ha recentemente affrontato una vicenda relativa alla collocazione, da parte di un condomino, di pannelli in cartongesso sulla parete vetrata originaria, che separava il suo balcone dalla proprietà del vicino.
Un partecipante al condominio si rivolgeva al Tribunale ritenendo tale collocazione illecita in quanto riduceva la luce nelle scale.
Il giudice di primo grado dava torto all’attore.
Allo stesso modo la Corte di Appello riteneva che tale operazione non avesse ridotto la luminosità del vano scala, rispetto alla situazione precedente, poiché l’oscuramento della parete vetrata era già stato operato da un terzo condomino, con apposizione di pannelli.
Il ragionamento della Corte di Appello non ha convinto la Cassazione. S<
econdo i giudici supremi, aderire alla tesi accolta dalla Corte d’Appello comporterebbe una violazione dei consolidati principi giuridici in materia di responsabilità per fatto illecito, soprattutto nei casi in cui il danno derivi da condotte concorrenti poste in essere da più soggetti.
In tali circostanze, ciascun autore dell’illecito è chiamato a rispondere in via solidale per l’intero pregiudizio arrecato, indipendentemente dall’ordine cronologico con cui le condotte siano state realizzate.
Se il danno (oscuramento delle scale) deriva da condotte concorrenti di più soggetti, ciascuno è responsabile per l’intero risarcimento.
Il danneggiato può chiedere l’intera somma a uno qualsiasi dei responsabili, senza doverli citare tutti in giudizio.
Secondo i giudici supremi, anche in tema di rapporti condominiali, del fatto illecito di un condomino che si aggiunga al fatto illecito di altro condomino nei confronti della cosa comune può essere chiamato a rispondere indifferentemente l’uno o l’altro degli autori, senza che debba aversi riguardo alla priorità nella commissione del fatto (Cass. civ., sez. II, 26/06/2025, n. 17237).
Questo principio tutela chi subisce il danno e semplifica la richiesta di risarcimento, evitando che la responsabilità venga scaricata da uno all’altro solo perché il suo intervento è stato successivo.