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LA DIVISIONE DEI BENI EREDITARI

La divisione dei beni ereditari

Le operazioni che precedono la divisione

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La divisione ereditaria[1] è l’atto mediante il quale i coeredi pongono fine alla comunione ereditaria.

La divisione dei beni ereditati è la fase residuale della successione ereditaria. Infatti dopo la morte del de cuius vanno presentate la dichiarazione di successione e le domande di voltura catastale per le operazioni di trasferimento dei relativi immo­bili dal de cuius agli eredi; la divisione avviene in un secondo tempo.

È anche nella predetta prima fase che va eventualmente pubblicato il testamento, reintegrate le quote dei legittimari, formalizzate le rinuncie all’eredità e pagati i debiti del de cuius. Non di rado la divisione avviene dopo alcuni anni dalla successione.

Ovviamente gli immobili assegnati per testamento non fanno più parte della comu­nione (salvo la riduzione per l’eventuale lesione di quota dei leggittimari).

Orbene, non si presenta il problema della divisione se l’erede è unico oppure se il defunto ha lasciato un testamento divisionale (art. 734 c.c.) con il quale attribuisce precisi beni agli eredi e legatari (quel fabbricato a Tizio; il terreno in catasto indicato con la particella n. tot, a Sempronio, ecc.), salvo reintegrazione di quota (art. 735 c.c.).

In tutti gli altri casi in cui la proprietà si trasferisce agli eredi in comunione o in quote (ad esempio l’intera proprietà ai due fratelli Tizio e Caio; oppure a Tizio per 1/4 ed a Sempronio per 3/4, ecc.) successivamente si presenta il problema della divisione, operazione mediante la quale viene estinta la comunione ed a ciascun erede va attribuita definitivamente la parte concreta del patrimonio, secondo il proprio diritto (art. 1111 c.c.).

Le operazioni necessarie per eseguire la divisione dei beni ereditari, in sintesi, sono le seguenti:

  • Inventario di tutti i beni e delle passività lasciate dal de cuius. Per gli immobili va richiesta la relativa documentazione catastale.
  • Valutazione dei singoli beni dell’asse ereditario netto.
  • Divisione di diritto (consiste nello stabilire le quote di legge spettanti agli eredi) e determinazione della disponibile e della legittima nel caso che il de cuius abbia fatto testamento o donazione.
  • Divisione di fatto (cioè formazione e attribuzione delle quote concrete) e relativa relazione.
  • Atto notarile di divisione (e presentazione della domanda di voltura catastale, per i beni immobili)

[1] Essa può essere bonaria o giudiziaria (v. par. 7.9.4). Se ai beni da dividere sono interessati anche dei minorenni, interdetti o inabilitati, per essi va richiesto un tutore speciale (la competenza è del tribunale dei minorenni) affinché intervenga in nome e per conto loro (artt. 320-321 e 424 c.c.).

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Questo articolo è stato estratto dal libro: "La divisione dei beni ereditari" di Virginio Panecaldo pubblicato nel mese di marzo 2021 da Maggioli Editore

1) Inventario dei beni e delle passività

Non è altro che l’elenco e la valutazione degli immobili oggetto di divisione nonché l’indicazione dei beni che a suo tempo il de cuius donò a qualche erede e soggetti a collazione.

Per questi ultimi beni, le parti interessate devono provare l’avvenuta donazione qualora il presunto beneficiato (fino a prova contraria) contesti il fatto.

Per le passività, ciascun erede è tenuto a rispondere in proporzione della propria quota; in mancanza, se la massa ereditaria contiene il danaro liquido, si fa il pre­lievo su questo per soddisfare i creditori, diversamente si vende all’incanto una parte dei beni[1].


Questo articolo è stato estratto dal libro: "La divisione dei beni ereditari" di Virgionio Panecaldo pubblicato nel mese di marzo 2021 da Maggioli Editore

[1] Vedi «Pagamento dei debiti del de cuius», par. 1.8.

Per quanto concerne l’inventario dei beni che andranno a formare la massa ereditaria, cioè quella massa di beni, che, al netto delle passività, dovrà essere divisa fra gli eredi, è ovvio che non vi rientra tutto ciò che il de cuius (nei limiti della disponibile) a suo tempo donò con espressa dispensa dalla collazione.

2) Valutazione degli immobili ai fini fiscali

 I beni immobili

Vanno valutati in base ai prezzi medi di mercato correnti all’epoca della divisione, tenendo conto della loro eventuale suscettività, ossia della maggiore redditività allo stato potenziale e sviluppabile in seguito di possibili miglioramenti ordinari.

Per questa operazione estimativa è necessario richiedere all’Ufficio catastale della provincia nel cui territorio ricadono i beni oggetto della divisione, il certificato di tutti i beni immobili del defunto (terreni e fabbricati urbani) nonché (all’occorrenza) l’estratto di mappa delle particelle in successione da frazionare.

Anche per gli immobili urbani occorrono le relative planimetrie, aggiornate, le quali possono essere richieste al Catasto Urbano oppure all’Ufficio Tecnico comunale[1].

Formazione della massa dei beni ereditati in comunione, oggetto di divisione

In base al disposto dell’art. 34 del T.U. Imposta di Registro, n. 131/1986 (1° com­ma, 2° periodo), possiamo dire che, in pratica, possono comprendersi in unico atto divisionale non soltanto i beni ereditati da entrambi i genitori, ma anche quelli ad essi diversamente pervenuti e per i quali sia stata scontata la propria imposta di trasferimento[2].

Valore da attribuire agli immobili, ai fini fiscali[3]

A seguito della più recente evoluzione della normativa in tema di accertamento del valore degli immobili a fini fiscali (tra tutti, oltre al D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, si ricordano il decreto legge n. 223 del 2006, ovvero il cosiddetto «Decreto Bersani», convertito con legge n. 248 del 2006, nonché il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147), l’attività di riscontro e controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate ha trovato un rinnovato impulso. Pertanto, il contribuente che oggi si trovi alle prese con la compravendita di un bene immobile è indotto sempre più a dichiarare l’effettivo prezzo di cessione, senza sottrarre nulla in termini di minori valori dichiarati, e ciò al fine di evitare i conseguenti accertamenti fiscali in relazione al presunto maggiore valore immobiliare rispetto a quello indicato nell’atto di vendita.

Attualmente – a seguito del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 27 luglio 2007 – per gli immobili è previsto che il valore ragionevole (o «normale», per usare il termine rigoroso introdotto dalla stessa Agenzia) da dichiarare ai fini fiscali sia individuato, fondamentalmente, sulla base di provvedimenti periodici stabiliti in relazione ai valori delle quotazioni forniti dall’Osservatorio del Mercato Immo­biliare dell’Agenzia delle Entrate (OMI). 

Di regola, per le cessioni di beni immobiliari il valore minimo da dichiarare nell’atto, per evitare l’accertamento automatico, è pari alla rendita catastale rivalutata del 5% e moltiplicata per un opportuno coefficiente catastale. Tali coefficienti, per i casi più frequenti che possono interessare i soggetti privati, attualmente sono i seguenti:

  • fabbricati abitativi con agevolazione prima casa: 115,5;
  • fabbricati appartenenti alle categorie catastali A e C (sono escluse le categorie A/10 – uffici e studi privati – e C/1 – negozi e botteghe): 126;
  • fabbricati in categoria catastale B: 176,4;
  • fabbricati in categoria catastale A/10 (uffici) e gruppo D: 63;
  • fabbricati in categoria catastale C/1 e gruppo E: 42,84;
  • terreni agricoli: 112,5 (con riferimento al reddito domenicale).

È bene precisare che la Legge n. 88 del 2009 (Legge comunitaria del 2008) ha apportato significative modifiche interpretative all’applicazione dell’art. 54, comma 3 dell’accertamento fiscale (Testo Unico dell’IVA), dando alla differenza tra prezzo dichiarato e valore stabilito fiscalmente («valore normale») un significato di mera presunzione, di fatto obbligando l’Agenzia delle Entrate, in occasione di contestazioni mosse ai contribuenti, a dimostrare concretamente la sussistenza delle necessarie condizioni di gravità, precisione e concordanza. Sulla questione è intervenuta più volte la Corte di Cassazione, con sentenze concordi.

Ai fini della valutazione dei terreni, al Comune va richiesto il certificato di desti­nazione urbanistica, il quale va poi allegato all’atto notarile di divisione. Per la valutazione dei suoli edificatori, ai fini fiscali, si consiglia consultare l’apposito prontuario allestito dal Comune ai fini IMU; per il loro valore di libero mercato, che è quello reale da assumere nella divisione dei beni ereditati, vedasi par. 8.3.

I beni mobili 

Saranno valutati secondo il loro stato e valore all’epoca della divisione.

[1] Per i beni di recente acquisizione non ancora volturati in catasto, richiedere alle parti una copia dell’atto di acquisto.

[2] Vedansi anche gli artt. 720-722 e 846 c.c., nonché il cap. 19, dove sono riportati i valori di mercato (approssimativi) di alcuni beni immobili, la cui consultazione può essere utile in fase di divisione, nella formazione delle quote.

[3] v. par. 7.9.5

Questo articolo è stato estratto dal libro: "La divisione dei beni ereditari" di Virgionio Panecaldo pubblicato nel mese di marzo 2021 da Maggioli Editore

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