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VIDEOREGISTRAZIONI COME PROVA E QUANDO POSSONO RITENERSI INQUINATE

Videoregistrazioni come prova e quando possono ritenersi inquinate

Non inquina la prova la dipendente che visiona le immagini della spycam posta dal titolare nel bagno dello studio

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Una recente pronuncia della Cassazione (22695/2017), emessa in materia di acquisizione della prova, ha richiamato il disposto dell’art. 354 del Codice di Procedura Penale (finalizzato a prevenire il rischio di inquinamento della prova stessa) affermando che lo stesso trova applicazione solo per il processo acquisitivo posto in essere dalla polizia giudiziaria.

Detto in altri termini, la regola contenuta nell’art. 354 c.p.p. non può essere spesa per fattispecie diverse da quella richiamata dal legislatore.

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1) Il fatto di specie

L’imputato aveva installato presso il bagno del proprio studio un dispositivo atto a registrare le immagini delle dipendenti che ivi si recavano per espletare i bisogni fisiologici. Il dispositivo, trattavasi di una penna dotata di telecamera, era stato scoperto da una delle dipendenti che aveva visionato le riprese (più volte) e le aveva registrate su un proprio supporto.

Successivamente, la stessa, aveva consegnato il dispositivo di video-registrazione alla polizia giudiziaria.

L’imputato era stato condannato sia in primo che in secondo grado di giudizio per il reato di interferenze illecite nella vita privata, così come disciplinato dall’art. 615 bis c.p.p.

Il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.) richiede pertanto il dolo generico, consistente nella volontà cosciente dell'agente di procurarsi indebitamente immagini inerenti la “privacy” altrui.

2) La Sentenza - Cassazione - Sezione V Penale Sentenza del 10 maggio 2017 n. 22695

Lo stesso aveva, quindi, proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello richiamando il disposto di cui all’art. 354 c.p.p. adducendo la circostanza che le prove sarebbero state alterate a seguito delle registrazioni del loro contenuto effettuate dalla dipendente.

I Giudici di legittimità hanno affermato che in tema di acquisizione della prova, l’articolo 354 del Codice di Procedura Penale, finalizzato a prevenire il rischio di inquinamento della stessa, si applica esclusivamente al procedimento acquisitivo posto in essere dalla polizia giudiziaria e non può essere utilizzato per coprire altre fattispecie che non rientrano, appunto, nell’alveo disciplinato dall’articolo in commento.

Nella sentenza della Cassazione si dispone infatti che “la suddetta disposizione prevede unicamente l’obbligo per la polizia giudiziaria di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originalmente rinvenuti dalla stessa, giacché la genuinità di questi ultimi – e cioè la loro corrispondenza a quelli in origine formati – può soltanto essere oggetto di valutazione in concreto da parte del giudice laddove dalle risultanze processuali emerga il sospetto di eventuali alterazioni precedenti all’intervento della polizia giudiziaria e non può, com’è ovvio, essere disciplinata dalla legge processuale”.

Il tutto a significare che, “la norma di cui si tratta riguarda esclusivamente il procedimento acquisitivo della prova nel corso dell’indagine ed è finalizzata a prevenire il rischio del suo inquinamento nel corso del medesimo, mentre la genuinità originaria della stessa è questione che attiene al merito della sua valutazione, che non può essere dedotta sotto il profilo della violazione di legge – e men che meno, per le ragioni anzidette, dell’art. 354 c.p.p. – bensì della tenuta della motivazione con la quale il giudice ha escluso il sospetto della sua alterazione”, pertanto sotto un profilo di vizio della motivazione.

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Allegato

Cassazione - Sezione Quinta Penale - Sentenza del 10 maggio 2017 n. 22695
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