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RESPONSABILITÀ PENALE PERSONE GIURIDICHE E MODELLI ORGANIZZATIVI

Responsabilità penale persone giuridiche e modelli organizzativi

La responsabilità penale che nell'ordinamento italiano è solo delle persone fisiche viene estesa anche alle persone giuridiche da norme sovranazionali

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Nell’ordinamento italiano possono essere considerate penalmente responsabili, stricto sensu, soltanto le persone fisiche.

Nondimeno, la sottoscrizione da parte dell’Italia di Convenzioni sovranazionali ed europee tese a contrastare fenomeni corruttivi ha consentito la penetrazione nel nostro Paese di modelli di responsabilità penale, elaborati nell’ambito di sistemi giuridico-economici sensibilmente diversi dal nostro, aventi quali destinatari le persone giuridiche.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 anche agli enti possono essere applicate sanzioni preordinate ad assolvere uno scopo intimidatorio e repressivo, cioè sostanzialmente penali, ancorché ammantate dalla più rassicurante etichetta normativa di sanzioni amministrative.

A onor del vero, il dibattito sulla natura giuridica della responsabilità delle persone morali, che costituisce la premessa della qualificazione in termini penalistici o no dell’apparato sanzionatorio regimentato nel d.lgs. n. 231 del 2001, appare tutt’altro che sopito e testimonia, tra l’altro, la dissociazione dei formanti (legale, sapienziale e giurisprudenziale) che nel nostro ordinamento concorrono alla produzione di diritto.

1) In estrema sintesi, le tesi in contrapposizione sono tre:

Secondo un approccio di matrice nominalistica, il paradigma responsabilitario introdotto dal d.lgs. n. 231/2001 ha natura amministrativa. Principalmente, depone a favore di questa soluzione, oltre al nomen iuris dell’articolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”, la reiterata citazione nel testo normativo del predicato «amministrativa» o «amministrativi» riferito alla responsabilità (artt. 2, 3 e 71) o al tipo di illeciti (art. 1) e «amministrative» in relazione alle sanzioni (art. 9).

Tuttavia, questi rilievi non hanno persuaso fino in fondo. Dal punto di vista strettamente interpretativo, la principale obiezione che si può opporre a questa tesi è che se la rubrica è smentita dagli enunciati che compongono il testo legale è a questi che si deve accordare prevalenza nella ricerca del significato normativo, derivando così l’opzione nominalistica di consistenza teoretica.

Il meccanismo di imputazione dell’illecito all’ente, la finalità e i contenuti delle sanzioni comminate, il giudice competente ad applicare dette sanzioni offrono non indifferenti elementi interpretativi ai fautori della teoria sostanzialistica. A ben vedere, invero, il fatto storico che attiva la risposta sanzionatoria nei confronti dell’ente è il medesimo reato commesso dalla persona fisica, che presenta un rapporto, de jure o de facto, di rappresentanza, amministrazione, direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale ovvero di sottoposizione alla direzione e vigilanza dei predetti soggetti.

Secondariamente si osserva che l’architettura del d.lgs. n. 231/2001 e il procedimento diretto ad accertare la responsabilità dell’ente ivi previsto ricalcano rispettivamente lo schema della parte generale del codice penale e del codice di procedura penale.

Infine, si enfatizza l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica sancita dall’art. 8.

Sebbene alcune delle argomentazioni addotte a sostegno di questa tesi appaiono controvertibili, in particolare il contenuto dell’art. 8 costituisce un vero punctum dolens del sistema, essa sembra essere quella più congrua alle indicazioni provenienti dal decreto.

Alla base della predilezione per la tesi sostanzialistica si trova la nozione di diritto penale proposta dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fin dagli anni settanta del secolo scorso.

Segnatamente, rispetto alle persone fisiche, i giudici francesi ritengono che nell’approccio formalistico/nominalistico si annida il rischio di comminare e applicare misure sanzionatorie sostanzialmente penali, celate in illeciti nominalisiticamente amministrativi o disciplinari, vanificando i diritti dei cittadini degli Stati contraenti proclamati nella Convenzione. Per scongiurare questo scenario esiziale la Corte di Strasburgo enuncia la cosiddetta ‘tesi autonomista’, secondo la quale per l’applicazione delle garanzie penalistiche riconosciute dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è indifferente la qualificazione, penale o extrapenale degli illeciti e delle sanzioni, formalmente adottata dal diritto interno degli Stati aderenti. In secondo luogo, la Corte considera penali gli illeciti amministrativi presidiati da una sanzione punitiva, vale a dire ogni misura repressiva preordinata a dissuadere dall’inottemperanza a un messaggio normativo tramite il deterrente costituito dalla minaccia di una misura afflittiva pecuniaria oppure privativa della libertà.

Questi rilievi collocano evidentemente nella sfera penalistica il sistema di responsabilità delineato nel d.lgs. n. 231 del 2001 il quale si distingue per sanzioni orientate a dissuadere dalla trasgressione a un precetto mediante il deterrente costituito da una misura punitiva (pubblicazione della sentenza di condanna che presenta carattere infamante), in quanto ablativa di denaro (sanzioni pecuniarie) o beni (confisca), privativa di diritti o interdittiva dell’esercizio di diritti (sanzioni interdittive), nemmeno indirettamente ripristinatoria di una situazione uguale o equivalente a quella risultante dall’ottemperanza al messaggio normativo implicito nel periodo ipotetico legale.

I compilatori, nella relazione accompagnatoria al decreto, indicano, invece, una terza via affermando che «Tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla L. 689 del 1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia».

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2) I problemi interpretativi e applicativi generati dall’introduzione degli illeciti colposi nel d.lgs. n. 231/2001

Il cuore del sistema d’imputazione dell’illecito all’ente consiste nell’interesse o nel vantaggio che l’ente ha tratto dalla commissione del reato presupposto da parte della persona fisica che fa capo ad esso (apicale o sottoposto) e dalla mancanza o inadeguatezza di presidi organizzativi (c.d. modelli di organizzazione e gestione) idonei a prevenire i reati delle specie di quello verificatosi.

Entro questa cornice ascrittiva, originariamente configurata per i soli illeciti presupposti dolosi, sono stati inseriti, prima riguardo alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (l. n. 123 del 2007) e successivamente rispetto alla tutela dell’ambiente (prima con il d.lgs. n. 121 del 2011 e poi con la l. n. 68 del 2015), delitti imputati a titolo di colpa.

L’introduzione di illeciti colposi nel catalogo di reati idonei a impegnare l’ente su terreno sanzionatorio ha introdotto un ulteriore punto di minor resistenza nella coerenza sistematica del d.lgs. n. 231 del 2001.

I problemi che ne sono scaturiti riguardano in particolare la compatibilità del criterio ascrittivo dell’interesse o vantaggio per l’ente con il reato commesso colposamente dalla persona fisica, nonché, sul piano degli elementi di cui l’ente deve fornire la prova per andare esente da responsabilità, la dimostrazione dell’elusione fraudolenta del modello organizzativo adottato a fronte della condotta di un agente cui è coessenziale la mancanza di volizione dell’evento offensivo attorno al quale è costruito l’illecito colposo.

La complessità del dibattito consente di offrire in questa sede soltanto alcune indicazioni orientative.

Muovendo dal criterio ascrittivo dell’illecito all’ente, dottrina e giurisprudenza attualmente convengono nel ritenere che i concetti di interesse e vantaggio devono essere riferiti alla condotta (colposa) della persona fisica e non all’esito offensivo di questa, consistente nella lesione della vita o della incolumità fisica del lavoratore ovvero nell’inquinamento o nel disastro ambientale.

La conclusione, presentata come l’unica idonea a salvare la ragionevolezza della disciplina, pena lo scivolamento nell’aporia di sostenere che gli enti abbiano un interesse o si procurino un vantaggio dall’inverarsi di delitti colposi, deve essere condivisa. Nondimeno, non può essere condiviso l’iter argomentativo, che fagocita l’iter interpretativo secondo la tradizione tipica di un approccio economico-praticistico al diritto di cui il d.lgs. n. 231 del 2001 costituisce coerente epifania, che conduce alla predetta conclusione.

In realtà, ponendo a premessa che il sistema punitivo previsto nel d.lgs. n. 231 del 2001 configura sostanzialmente una culpa in vigilando dell’ente per fatto altrui, rilievo che dischiude un orizzonte problematico degno della più attenta considerazione rispetto alla compatibilità dell’opzione del legislatore del 2001 con l’art. 27, comma 1 Cost. ma non indagabile in questa sede ratione materiae, se il rimprovero che si muove all’ente è quello di una negligenza, imprudenza ovvero imperizia organizzativa (c.d. colpa di organizzazione) idonea a provocare la commissione di uno dei reati c.d. presupposto, non vi è ragione di sovrapporre il titolo di imputazione soggettivo del reato presupposto (doloso o colposo) commesso dalla persona fisica (apicale o sottoposto dell’ente) all’imputazione (solo colposa) dell’illecito dell’ente dipendente da reato. Questo rilievo, nei termini più ampiamente tematizzati nell’opera, consente di ritrovare una coerenza sistematica nei casi di delitti colposi commessi nell’interesse o vantaggio dell’ente da apicali o sottoposti.

Per quanto concerne la prova dell’elusione fraudolenta dei presidi organizzativi implementati dall’ente parte dell’autore di una condotta colposamente realizzata, la giurisprudenza è giunta financo a prospettare un dubbio di legittimità costituzionale degli art. 6, comma 1, lett. c) e 25 septies, d.lgs. n. 231 del 2001 con il diritto di difesa garantito nell’art. 24, comma 2, Cost.

La situazione problematica presenta un diverso coefficiente di difficoltà nei casi i cui il fatto sia stato commesso con colpa cosciente ovvero con colpa incosciente.

Senza dubbio il terreno più insidioso è il secondo. Nondimeno, una riconfigurazione del problema in ragione della qualifica dei soggetti attivi autori dei delitti colposi consente di ridimensionare la portata della questione, ferma restando la sensazione che il d.lgs. n. 231 del 2001 dimostra in più punti una scarsa sintonia con la platea dei soggetti collettivi ai quali si rivolge.

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3) Le prospettive della qualificazione delle imprese

Il tentativo di un migliore adeguamento del quadro normativo vigente alla evoluzione dei modelli organizzativi d’impresa, secondo l’orientamento che trova conforto nella lettura evolutiva dell’articolo 2087 del Codice Civile, rappresenta uno dei tratti caratterizzanti del decreto legislativo n. 81 del 2008. Il corpus normativo, anche attraverso le disposizioni di cui al citato articolo 30 esprime così un più moderno approccio alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e pone le basi per un nuovo modello culturale per la gestione del rischio in cui il dato prescrittivo della norma si accompagna necessariamente all’elemento aziendale/organizzativo quale indispensabile complemento per una maggiore effettività delle tutele.

Oltre all’articolo 30, tuttavia, vi sono ulteriori disposizioni che, sebbene non ancora adeguatamente coltivate, appaiono funzionali allo sviluppo di buone prassi di gestione della sicurezza dei lavoratori. Tra queste si inscrive l’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008, relativo al sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi; disposizione più volte rimaneggiata nel tempo  ed oggi - a ben sette anni dalla entrata in vigore del Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro - ancora posta tra le norme inattuate, eccetto che per il circoscritto ambito dei lavori svolti in ambienti confinati o sospetti di inquinamento.

L’articolo 27, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 contiene infatti una disposizione normativa molto più articolata che prevedeva espressamente che “nell’ambito della Commissione di cui all’articolo 6, anche tenendo conto delle indicazioni provenienti da organismi paritetici, vengono individuati settori, ivi compreso il settore della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, e criteri finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati, e sulla base delle attività di cui all’articolo 21, comma 2, nonché sulla applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile, certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.

La disposizione ha posto in capo alle istituzioni competenti il compito di predisporre un sistema innovativo di selezione degli operatori del mercato, basato sulla sussistenza di elementi sostanziali afferenti alla concreta organizzazione del lavoro in azienda, alla struttura di processi formativi e di valorizzazione della acquisizione di competenze mirati e validati, alla assenza di violazioni specifiche in tema di tutela delle condizioni di lavoro, oltre che alla adozione di standard contrattuali ed organizzativi, ivi inclusi gli appalti, la cui qualità e genuinità siano attestate mediante la certificazione volontaria dei contratti di lavoro e di appalto di cui all’art. 75 e seguenti del d.lgs. n. 276/2003.

In relazione alla partecipazione ai pubblici appalti, l’articolo 27, comma 2, del d. lgs. n. 81/2008 precisa inoltre che il possesso della qualificazione e dei relativi requisiti di cui al comma 1 costituisce elemento preferenziale per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti.

Ai sensi dell’art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008, i medesimi criteri sono altresì alla base della revisione dei requisiti di idoneità tecnico-professionale degli appaltatori e dei lavoratori autonomi, la cui verifica è richiesta in generale in capo al committente nel caso di affidamento di lavori in appalto (sia negli appalti privati che in quelli pubblici per quanto non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, come da ultimo modificate dall’articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123).

La predetta disposizione infatti espressamente prevede che: “l datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo: a) verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo che precede, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:

- acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;

- acquisizione dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell’articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445”.

Per tale via si conferma chiaramente che la selezione dei soggetti operanti sul mercato, tanto per l’accesso a pubblici appalti, quanto per l’accesso agli appalti privati, deve basarsi in ogni caso sulla verifica e sull’effettivo possesso, da parte degli aggiudicatari, degli appaltatori e subappaltatori, di requisiti sostanziali afferenti alla idoneità tecnico-professionale delle imprese fondati sull’adozione di standard contrattuali ed organizzativi adeguati e di qualità, sulla genuinità dei contratti di lavoro e degli appalti utilizzati, eventualmente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, nonché sull’adozione di percorsi formativi efficaci ed effettivi.

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4) Il ruolo della Commissione Consultiva permanente

 Oltre ai settori identificati ope legis, il legislatore aveva rimesso alla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro il compito di individuare ulteriori settori – oltre che i criteri – del sistema di qualificazione.

Nell’impianto normativo appena descritto la Commissione consultiva ha pertanto svolto, nel periodo del suo mandato tra il 2010 e il 2012, un lavoro preliminare fondamentale per la definizione e la disciplina del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi ed alla sua successiva trasfusione in un Decreto del Presidente della Repubblica contenente la disciplina normativa specifica.

La commissione, in attuazione del combinato disposto di cui  agli artt. 6, comma 8, lettera g) e 27, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008, ha così individuato i settori e i criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi.

In tale contesto e nel raggiungimento del predetto fine, instauratosi nel febbraio 2010, il comitato tecnico n. 3 impegnato in seno alla Commissione nella attività istruttoria, dibattimentale e redazionale relativa alla identificazione dei predetti settori e criteri, la commissione ha realizzato, per mezzo di un lavoro capillare (non ancora giunto a completamento) una graduale mappatura che ha consentito di individuare cinque aree di attività lavorative, ulteriori rispetto a quelle previste ope legis, per la costruzione di primi prototipi di qualificazione da sperimentare, implementare ed estendere, successivamente ad altri settori, dando conto, implicitamente, delle contingenze legate ad eventi infortunistici micidiali verificatisi nel corso del 2010 e del 2011 in settori ad alto rischio. La individuazione dei settori è stata condotta in ragione della relativa maggiore incidenza degli infortuni sul lavoro, nonché della complessità organizzativa e della pericolosità dei processi produttivi e delle sostanze utilizzate, della incidenza di impiego di contratti di lavoro non standard, di appalti e subappalti endo-aziendali e di contratti di prestazione d’opera, della esposizione del comparto a problematiche di dumping ingenerate dal ricorso ad appalti orientati al “massimo ribasso” e, infine, in ragione delle peculiari modalità di accadimento degli infortuni mortali e non. Il risultato di questa attività, tuttavia, non è ancora culminato nell’adozione della correlata norma regolamentare, se non per quanto riguarda la disciplina dei luoghi confinati.

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5) I settori e i criteri della qualificazione

Considerando le aree identificate ope legis, la Commissione Consultiva ha individuato dieci aree di attività lavorative strumentali alla prima applicazione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, nell’ottica di costruzione di “prototipi” da sperimentare, implementare ed estendere, successivamente, anche ad altri settori.

Il primo dei settori identificati ope legis dal d.lgs. n. 81/2008 è quello della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico. Esso si inscrive nella macro-area dell’industria dei servizi ed è caratterizzato dalle lavorazioni svolte dalle industrie di servizi tessili e medici affini così come previsti dall’art. 49, co. 1, lettera a), della legge n. 88/1989; debbono essere individuate come tali esclusivamente quelle che effettuano l’intero ciclo di lavorazione per mezzo di apparecchiature e macchinari automatici che escludono l’intervento meramente manuale nel ciclo di lavorazione. Tale attività, svolta con le suddette attrezzature, è conseguentemente rivolta a grandi committenze costituite da ospedali, comunità, alberghi, ristoranti, caserme, scuole, industrie farmaceutiche, chimiche, tessili, etc. Recentemente le parti sociali del settore hanno sottoscritto un protocollo specificamente dedicato alla qualificazione delle imprese operanti nella sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico con l’obiettivo di “accrescere la tutela dei lavoratori” e di perseguire la “lotta ai fenomeni di illegalità, concorrenza sleale e lavori sottocosto”. Le regole della qualificazione applicabili al settore vanno, pertanto, individuate avuto riguardo alle scelte condivise dalle parti sociali. Il secondo e ultimo settore individuato ope legis è quello dell’edilizia.

Oltre a quanto specificato nel dettato normativo, la Commissione Consultiva aveva individuato gli ulteriori settori di seguito indicati:

settore dei call center con specifico riferimento all’impiego di lavoratori coordinati e continuativi nella modalità a progetto, collaboratori occasionali e titolari di partita IVA prevalentemente in regime di mono-committenza (cosiddetti lavoratori autonomi economicamente dipendenti, sempre rientranti nell’alveo dell’art. 2222 c.c.);

settore dei trasporti, il quale ricomprende le seguenti lavorazioni: trasporti ferroviari o, comunque, su rotaia; trasporto di merci e trasporti postali con autotreni, autoarticolati, trattori con rimorchio; rimozione e traino di autoveicoli; servizi pubblici urbani ed extraurbani per trasporto di persone, effettuati con autoveicoli, autosnodati e filobus. Trasporti terrestri su guida (compresa la manutenzione connessa all’esercizio); trasporti con funivie, cabinovie, seggiovie, sciovie e simili;

settore dell’utilizzo, indiretto o mediato, di manodopera per il tramite di agenzie del lavoro (c.d. somministrazione di manodopera), il quale si configura anch’esso come estremamente trasversale a molteplici comparti produttivi che andranno a tal fine presi in esame;

lavori in ambienti confinati, ai sensi degli artt. 66 e 121 e dell’allegato IV, punto 3, del d.lgs. n. 81 del 2008, vale a dire in vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos e simili (es.: pozzi, cisterne) connotati da una elevato rischio di infortuni, anche mortali. Al riguardo, si rinvia a quanto nel D.P.R. n. 177/2011, in vigore dal 28 novembre 2011;

settore dei servizi di vigilanza privata, nell’ambito del quale è molto forte la necessità di una rinnovata e organica regolamentazione degli standard contrattuali (a livello individuale e collettivo), di organizzazione del lavoro e di professionalità, all’insegna di maggiore qualità, professionalità e competitività dei servizi resi. come definite e disciplinate rispettivamente dall’articolo 133 e ss. del T.U.L.P.S. (Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza), e dall’art. 249 e ss. del R.D. n. 635/1931.

settore della ristorazione collettiva, il quale si inscrive nella macro-area dell’industria dei servizi e ha ad oggetto la attività di fornitura, produzione e somministrazione di alimenti e bevande a gruppi definiti di persone, su incarico di un committente pubblico o privato. Tale servizio è conseguentemente destinato a scuole, ospedali, carceri, comunità, caserme (oltre che a singoli utenti) ed ha una notevole rilevanza in termini sociali e di sicurezza, data la natura degli utenti finali che possono ricomprendere categorie di soggetti particolarmente a rischio come bambini, anziani e persone malate.

settore dei servizi sanitari pubblici, caratterizzati dalla compresenza di rischi tra soggetti ospitanti e ospitati (ospedali e strutture sanitarie pubbliche) che determinano la necessità di una gestione di rischi (quali, ad esempio, rischi chimici, biologici e simili) spesso rilevanti imponendo sia la scelta, in caso di appalti, di imprese totalmente rispettose delle disposizioni di salute e sicurezza sul lavoro, sia la adozione di procedure dirette specificamente alla eliminazione o, se impossibile, alla riduzione al minimo, dei rischi tipici del settore (si pensi, per tutti, ai rischi da malattie infettive o da agenti chimici, biologici…).

settore degli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e delle manifestazioni fieristiche, comprendenti attività del tutto peculiari, le quali richiedono l’adozione di procedure specifiche, finalizzate alla migliore applicazione delle disposizioni di salute e sicurezza di cui al d.lgs. n. 81/2008.

Al fine di completare l’indicazione degli elementi (settori e criteri) della qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, sono stati elaborati criteri generali per il riconoscimento e l’attribuzione della qualificazione a tutti i settori sopra considerati. È stato così identificato un primo gruppo di criteri inderogabili, il cui possesso è indispensabile per il riconoscimento e l’attribuzione della qualificazione, ed un secondo gruppo di criteri preferenziali il cui possesso, in uno con il possesso dei primi, dà diritto alla maturazione di ulteriori requisiti per il riconoscimento della qualificazione.

I requisiti individuati come inderogabili per il riconoscimento della qualificazione sono pertanto:

il rispetto delle previsioni in materia di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori e, segnatamente, il compiuto svolgimento delle attività di informazione e formazione ai sensi degli artt. 34, 36 e 37 del n. d.lgs. 81/2008, nonché, con riferimento alle imprese familiari e ai lavoratori autonomi, le attività di cui all’art. 21, co. 2, del d.lgs. n. 81/2008;

il rispetto delle previsioni normative in materia di Documento Unico di Regolarità Contributiva;

la presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% degli addetti, con esperienza almeno triennale nel settore di riferimento e rispetto alla specifica attività lavorativa o lavorazione svolta, indipendentemente dalla tipologia contrattuale utilizzata. I titolari di impresa e/o i datori di lavoro direttamente impegnati nelle lavorazioni rientrano nel computo del 30% di cui sopra;

la idoneità allo svolgimento della attività di specifico riferimento, valutata tenendo conto del rispetto delle disposizioni in materia di valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria, misure di gestione delle emergenze, fornitura, possesso, corretto utilizzo e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale e di attrezzature di lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008;

l’integrale applicazione degli accordi o contratti collettivi di riferimento, compreso l’eventuale versamento della contribuzione all’ente bilaterale di riferimento, sottoscritti con le organizzazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o con le loro rappresentanze aziendali ai sensi della legislazione e degli accordi interconfederali vigenti.

Sono stati poi individuati i seguenti requisiti preferenziali per la qualificazione delle imprese:

la certificazione dei singoli contratti di lavoro, e dei singoli contratti di appalto o subappalto, ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del d.lgs. 276/2003 e nei limiti di cui all’art. 27 del d.lgs. 81/2008;

l’adozione e la efficace attuazione da parte delle imprese di modelli di organizzazione e gestione rispettosi delle disposizioni di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008;

ogni altro elemento espressamente indicato, a questo fine, negli accordi interconfederali o nei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti con le organizzazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

l’applicazione di codici di condotta ed etici e di iniziative di responsabilità sociale da parte delle imprese.

Le modalità peculiari per mezzo delle quali i criteri inderogabili e preferenziali sopra riportati avrebbero dovuto essere applicati nei settori di operatività della qualificazione sarebbero poi stati definiti in sede di attuazione delle previsioni di cui agli artt. 6, co. 8, lett. g), e 27 del d.lgs. n. 81/2008. Si prevedeva inoltre che, nei provvedimenti di cui al periodo precedente, si sarebbe proceduto ad individuare regimi transitori, finalizzati a consentire che le rispettive regolamentazioni entrassero in vigore compatibilmente con le esigenze di specifico riferimento.

Successivamente alla elaborazione di questo corposo lavoro e vista la mancata finalizzazione del regolamento sulla qualificazione delle imprese, se non per le attività svolte in ambienti confinati sopra già citate, l’art. 32 del d.l. n. 69/2013 (cosiddetto “decreto del fare”) era intervenuto sulla sfera di operatività della Commissione Consultiva modificandone le attribuzioni e prevedendo che la stessa si occupasse non più di elaborarne i criteri e i settori, come previsto dall’articolo 6, co. 8, lett. g) nella sua precedente versione,  bensì solo di discutere in ordine agli stessi. In questo quadro, dunque, il sistema di qualificazione delle imprese sarebbe stato disciplinato direttamente con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere della Conferenza per i rapporti permanenti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. La modifica, nell’intento di semplificare e velocizzare  la messa a regime del sistema di qualificazione delle imprese, in realtà non ha sortito gli effetti auspicati; di conseguenza l’art. 20 del d.lgs. n. 151/2015, intervenendo sulla composizione e sulle attribuzioni della Commissione Consultiva permanente, ha modificato nuovamente l’art. 6, co. 8, lett. g) riportando nell’alveo delle funzioni della Commissione la elaborazione dei criteri e dei settori di operatività del sistema di qualificazione delle imprese, funzionale alla successiva elaborazione del regolamento attuativo dell’art. 27 co. 1. La novella lascia così intravedere nuove prospettive di sviluppo per questo innovativo segmento della disciplina del Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro, di per sé volto ad una traduzione in termini di effettività delle tutele formalmente riconosciute dal legislatore.

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Autori: Russo avv. Yuri

Giovannone dott.ssa Maria

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