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COME CAMBIA IL LICENZIAMENTO DOPO IL JOBS ACT

Come cambia il licenziamento dopo il Jobs Act

Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo dopo il decreto sul contratto di lavoro a tutele crescenti: dalla legge Fornero al Jobs Act.

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Nella G.U. n. 54 del 6 marzo 2015, è stato pubblicato il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, il quale contiene disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
La disciplina   entrata in vigore  il 7 marzo 2015  si occupa in particolare del nuovo licenziamento per giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico), giustificato motivo soggettivo o giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare), nel senso di una riduzione dell’area della tutela reale (ossia della reintegrazione nel posto di lavoro) e, contemporaneamente, di un ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in caso di licenziamento illegittimo
I sindacati hanno attaccato duramente  la riforma e  hanno raccolto le firme per un referendum abrogativo della nuova disciplina che però la Corte Costituzionale  con decisione giunta nello scorso mese di gennaio 2017 non ha ritenuto ammissibile . Il segretario della CGIL Camusso ha annunciato però che la battaglia sindacale non si ferma e che intende portare la questione dinnanzi alla Corte Europea.
 In attesa di ulteriori sviluppi, rivediamo l'evoluzione normativa sul tema fino ad oggi.

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1) Licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo

Come noto, il licenziamento nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avvenire solo per giusta causa o per giustificato motivo (art. 1 della legge n. 604/1966)
La giusta causa ricorre allorché siano commessi fatti di particolare gravità i quali, valutati oggettivamente e soggettivamente, sono tali da configurare una grave e irrimediabile negazione degli elementi essenziali del rapporto.
Il giustificato motivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3 della legge n. 604/1966).Tipico in questo senso  il motivo economico per difficoltà finanziarie dell'azienda.

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2) Le regole per i licenziamenti secondo la legge Fornero

Nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo “soggettivo”, rispetto alla disciplina previgente, che prevedeva in ogni caso l’obbligo di reintegrazione del lavoratore nelle imprese oltre i 15 dipendenti (o oltre i 5 se si tratta di imprenditore agricolo), la legge n.90/2012 - legge Fornero - ha introdotto una distinzione tra:
mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a insussistenza del fatto contestato ovvero a fatto che rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti o dei codici disciplinari: in questi casi continua a valere la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (prevista dalla normativa previgente alla legge n.92/2012 nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
mancanza di giusta causa o di giustificato motivo connessi a tutte le restanti ipotesi: in questi casi non opera più la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (sempre prevista nelle imprese sopra i 15 dipendenti prima della legge n.92/2012) e il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro, riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale (in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo).
Nel caso di licenziamento illegittimo per mancanza di giustificato motivo “oggettivo”, per effetto della legge 92/2012 (legge Fornero) non trova più applicazione la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) (prevista dalla normativa previgente nelle imprese sopra i 15 dipendenti) e il giudice riconosce un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale; tuttavia, il giudice, nel caso in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo, può disporre la reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale) e riconoscere un’indennità risarcitoria pari a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

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3) Le regole per i licenziamenti dopo il Jobs Act

L’art. 3 del D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, entrato in vigore il 7 marzo 2015, disciplina il licenziamento per :
  • giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento economico) e
  • giustificato motivo soggettivo o giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare),
nel senso di una riduzione del diritto alla  reintegrazione nel posto di lavoro) e, contemporaneamente, :
  • un ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (indennità) in caso di licenziamento illegittimo.
Il comma 1 regola la tutela obbligatoria, prevedendo che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico) o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa (licenziamento disciplinare), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Il comma 2 regola la tutela reale, limitandola alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (c.d. licenziamento disciplinare) in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento; in tali casi il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 181/2000. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all’articolo 2, comma 3, ossia di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, non assoggettata a contribuzione previdenziale (c.d. opting out).
 Va sottolineato che la disciplina si applica ai contratti o conversioni di contratti stipulati dopo la data del 7 marzo 2015. 
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Commenti

Marco - 20/08/2015

sono stato assunto con il Jobs Act dopo una collaborazione continuativa e precaria (rinnovi di anche solo 4 gg) durata per ben tre anni! ho pensato che fosse un giusto riconoscimento alle mie capacità e all'impegno dimostrato, ma dopo soli tre mesi mi ritrovo ad essere stato di fatto declassato e a compiere le stesse mansioni con cui avevo incominciato la mia collaborazione nel 2012. Sapete dirmi cosa succede?

Giovanni - 20/07/2015

Con questo nuovo sistema di tutele crescenti è stato di fatto "ingessato" il mercato del lavoro e sono stati creati due nuovi soggetti lavorativi: quelli pre e quelli post job act. Poche settimane fa ho ricevuto una proposta di lavoro da un'altra azienda che mi offriva una retribuzione un pochetto più alta e maggiori prospettive di crescita. Ero propenso ad eddettuare il cambio azienda non tanto per lo stipendo più alto (circa 100 euro in più al mese) con il quale certo non sarei diventato più ricco ma per le prospettive e per trovare altri stimoli. Questo cambio avrebbe comportato il passaggio al sistema tutelativo del job act e sinceramente non me la sono sentita. Come me penso altre persone sono o saranno scoraggiate a cambiare e ciò a discapito della concorrenza e della crescita personale e delle aziende.

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