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OBBLIGHI DI ADEGUATA VERIFICA DELLA CLIENTELA NEL NUOVO DECRETO ANTIRICICLAGGIO

Obblighi di adeguata verifica della clientela nel nuovo decreto antiriciclaggio

Convegno sull'Antiriciclaggio di Fisco e Tasse. Titolo del Convegno "Normativa Antiriciclaggio - Prassi e Controlli" Relazione dell'Avv. Luigi Ferrajoli di Brescia.

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Tratto dalla Relazione dell'Avv. Luigi Ferrajoli di Brescia, presentata al Convegno "Normativa Antiriciclaggio - Prassi e Controlli" organizzato da Fisco e Tasse il 12/12/2007 a Modena.

Con l’approvazione in via definitiva da parte del Consiglio dei Ministri nella seduta tenutasi il 16 novembre scorso dello schema di Decreto Legislativo attuativo della Terza Direttiva 2005/60/CE in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo entreranno a regime importanti e significative novità anche con riferimento alle modalità di adeguata verifica della clientela così come disciplinati dagli artt. 15 e seguenti del nuovo provvedimento.

Presupposti oggettivi dell’obbligo di adeguata verifica della clientela per intermediari finanziari
Sulla base dei principi generali sanciti dall’art. 15 del nuovo decreto, gli intermediari finanziari ed i soggetti esercanti attività finanziaria avranno innanzitutto l’obbligo di provvedere ad un’adeguata verifica della clientela in relazione ai rapporti ed alle operazioni riguardanti lo svolgimento della loro attività istituzionale o professionale.

In particolare gli intermediari finanziari ex art. 11 del nuovo Testo Unico e gli esercenti attività finanziaria dovranno procedere alla verifica della clientela quando instaureranno un rapporto di tipo continuativo ovverosia un rapporto che dia luogo a più operazioni di versamento, prelevamento o trasferimento di mezzi di pagamento non esauribile in un’unica operazione.

Il dovere di adempiere ad un obbligo di adeguata verifica della clientela dovrà essere in ogni caso osservato anche nell’ipotesi in cui l’intermediario esegua delle mere operazioni occasionali disposte dai clienti, la cui esecuzione comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 Euro indipendentemente dal fatto che il trasferimento sia effettuato mediante un’unica operazione ovvero tramite operazioni collegate o frazionate.
Non solo, la verifica del cliente dovrà comunque essere sempre garantita non solo quando l’operazione faccia insorgere nell’intermediario finanziario il sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo a prescindere da qualsiasi deroga, esenzione o soglia, ma anche nel caso in cui insorgano dei dubbi in ordine alla veridicità ed all’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione del cliente (Secondo quanto prescritto dall’art. 15 comma 2 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, gli intermediari finanziari hanno altresì la possibilità di individuare discrezionalmente una serie di classi di operazioni di importo non rilevante che possano tuttavia costituire un parametro per la rilevazione di operazioni collegate).

In forza del disposto ex art. 15 comma 3 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, le banche, gli istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.a. sono obbligati all’adempimento del dovere di adeguata verifica della clientela anche nel caso in cui agiscono da tramite o risultino parte nelle operazioni di trasferimento di denaro contante o titoli al portatore, in euro od in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti differenti di importo pari o superiore a 15.000 Euro.

Una deroga alla soglia di rilevanza è invece applicabile nei confronti degli agenti in attività finanziaria di cui all’art. 11 comma 3 lettera d) del Testo Unico (con riferimento agli agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco ex art. 3 del D.lvo n. 374/1999), dal momento che tali soggetti debbono adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela anche per le operazioni di importo inferiore al limite dei 15.000 Euro.

Presupposti oggettivi per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela a carico dei professionisti
In forza del disposto ex art. 16 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, i professionisti di cui all’art. 12 del decreto sono tenuti ad osservare gli obblighi di adeguata verifica della clientela nell’ambito dello svolgimento della propria attività professionale indipendentemente dalle modalità di esercizio sia essa difatti svolta in modo individuale, associata o societaria.
In linea generale l’obbligo di adeguata verifica della clientela scatta quando la prestazione professionale ha ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilità di valore pari o superiore alla soglia dei 15.000 Euro.

In termini analoghi il professionista dovrà provvedere ad identificare il cliente anche per prestazioni professionali occasionali sempre che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo superiore a 15.000 Euro.
Si tratta di un presupposto che prescinde dal fatto che la movimentazione sia effettuata attraverso una unica operazione ovvero con l’ausilio di più operazioni collegate o frazionate.

Rimane in ogni caso fermo l’obbligo di adeguata verifica della clientela quando l’operazione ha un valore indeterminato od indeterminabile, come nell’ipotesi in cui il professionista presti la propria opera professionale per la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Anche il semplice sospetto della possibile contaminazione dell’operazione dal rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo fa scattare l’obbligo di adeguata verifica della clientela, prescindendo da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile ovvero nel caso in cui il professionista abbia dei dubbi in ordine alla veridicità od adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione del cliente, così come avviene anche per gli intermediari finanziari.

Per quanto concerne invece la posizione dei revisori contabili, l’obbligo di identificazione del cliente e di verifica dei dati acquisiti nello svolgimento della propria attività professionale è limitata ai casi indicati nell’art. 16 comma 1 lettere a), d) ed e), innanzittutto quando la prestazione richiesta ha ad oggetto mezzi di pagamento o beni di valore pari o superioe a 15.000 Euro, nonché quando vi sia un sospetto di riciclaggio o dubbi in ordine alla veridicità ed adeguatezza delle informazioni raccolte dal professionista.

1) Obblighi di adeguata verifica della clientela per i soggetti indicati all’art. 14 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio

L’obbligo di adeguata verifica della clientela trova applicazione anche nei confronti dei soggetti indicati nell’art. 14 comma 1, lett. a), b), c) ed f) del nuovo Testo Unico antiriciclaggio.
E’ il caso dei soggetti che svolgono attività di recupero credito per conto terzi in presenza della licenza ex art. 115 TULPS, degli operatori che svolgono attività di custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori a mezzo di guardie giurate in presenza della licenza ex art. 134 TULPS o della Legge n. 298/1974, nonché dei soggetti che svolgono l’attività di agenzia di affari in mediazione immobiliare iscritti alla Camera di commercio ex Legge n. 39/1989.

Gli operatori testé indicati hanno l’obbligo di procedere ad una adeguata verifica del cliente quando la loro prestazione professionale si inserisce nell’ambito dell’instaurazione di un rapporto continuativo ovvero nel momento del conferimento dell’incarico da parte del cliente.

Tali soggetti inoltre sono tenuti all’identificazione del cliente anche quando eseguono delle operazioni di tipo occasionale che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore alla soglia dei 15.000 Euro, a prescindere dal fatto che le operazioni di trasferimento siano effettuate attraverso una unica operazione o più operazioni collegate o frazionate.

In termini analoghi a quanto avviene per i professionisti e gli intermediari finanziari, gli operatori ex art. 14 comma 1 lettere a), b), c) ed f) sono altresì obbligati a provvedere all’identificazione del cliente anche quanto vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo ovvero quando insorgano dubbi in ordine alla veridicità od adeguatezza dei dati precedentemente raccolti ai fini della identificazione.


Il contenuto degli obblighi di adeguata verifica della clientela e relative modalità di adempimento


L’art. 18 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio prescrive che l’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica della clientela comporta non solo la semplice identificazione del cliente, ma anche l’obbligo di verificarne direttamente l’identità.
Per poter procedere all’attività di identificazione e di verifica i soggetti obbligati non solo hanno il dovere di utilizzare documenti, dati od informazioni ottenute da una fonte affidabile ed indipendente., ma hanno anche il dovere di identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità.

L’ambito di indagine si estende peraltro anche alle informazioni riguardanti lo scopo e la natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale, sul quale il soggetto obbligato ha il dovere di svolgere un controllo costante.
In linea generale, l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela dovranno essere effettuate mediante l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo con la presenza contemporanea del cliente, anche mediante l’ausilio di propri collaboratori o dipendenti, così come previsto dall’art. 19 comma 1 lettera a) del nuovo Testo Unico antiriciclaggio.

La procedura di identificazione e di verifica potrà essere espletata attraverso l’acquisizione di un documento di identità non scaduto prima dell’instaurazione del rapporto continuativo ovvero al momento del conferimento dell’incarico professionale o dell’esecuzione dell’operazione.
Nel caso in cui fosse invece necessario identificare come cliente una società od un ente, l’identificazione dovrà essere preceduta dalla verifica dell’esistenza effettiva del potere di rappresentanza rispetto a colui che appare appunto come il legale rappresentante della società. Inoltre il soggetto obbligato dovrà altresì acquisire tutte le informazioni necessarie per individuare e verificare l’identità dei rappresentanti delegati con potere di firma per l’operazione professionale oggetto di conferimento dell’incarico.
Ne consegue che l’identificazione e la verifica dell’identità del titolare effettivo va espletata contestualmente all’identificazione del cliente.

Per quanto concerne le persone giuridiche, i trust ed i soggetti giuridici analoghi, la procedura di identificazione non può pertanto non prescindere dall’adozione di misure sufficientemente adeguate alla situazione di rischio.
Ciò al fine di compredere la struttura di proprietà (assetto proprietario) e di controllo del cliente.
Per poter identificare e verificare l’identità del titolare effettivo del rapporto, i soggetti obbligati possono poi fare anche ricorso a pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque e contenenti informazioni riguardanti i titolari effettivi.
Non solo, la richiesta di notizie può essere rivolta anche ai clienti relativamente ai dati pertinenti od acquisire le informazioni secondo qualsiasi altra modalità.
Il rispetto degli obblighi di adeguata verifica della clientela trovano inoltre la loro ragione giustificativa nell’esigenza di esercitare un controllo costante del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
L’attività di controllo viene realizzata anche attraverso l’analisi delle transazioni concluse nel corso di tutta la durata del rapporto.
Si tratta di un’operazione che si attua mediante la verifica della compatibilità delle transazioni rispetto alla conoscenza reale del cliente, delle sue attività commerciali e del suo profilo di rischio.
In questo senso il controllo può finanche spingersi, qualora risulti necessario, sino alla verifica della origine della provenienza dei fondi e può richiedere l’aggiornamento dei dati, documenti ed informazioni detenute.


Obblighi di adeguata verifica della clientela ed approccio basato sul rischio


Con l’introduzione dell’art. 20 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, il nostro legislatore ha inoltre previsto una nuovo criterio di approccio che incide sulle modalità di identificazione del cliente, dal momento che l’adeguata verifica della clientela deve essere sempre effettuata e parametrata secondo un sistema strettamente basato sul rischio di riciclaggio.
Gli obblighi di adeguata verifica della clientela devono difatti essere assolti attraverso la preventiva commisurazione del rischio di riciclaggio in rapporto al tipo di cliente, rapporto continuativo, prestazione professionale, operazione, prodotto o transazione posta in essere.

Con riferimento al cliente, la valutazione del rischio andrà innanzitutto condotta tenendo conto della natura giuridica del soggetto e del tipo di attività che lo stesso svolge in prevalenza.
Inoltre la valutazione dovrà necessariamente essere orientata anche al comportamento tenuto dal cliente al momento del compimento dell’operazione o dell’instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
Finanche l’area geografica di residenza od il luogo ove ha sede la persona giuridica cliente o la controparte dell’operazione costituiscono fattori che gli enti e le persone soggette agli obblighi di adeguata verifica della clientela devono obbligatoriamente prendere in considerazione.

L’approccio basato sul rischio ha altresì come ulteriore parametro di riferimento rappresentato dall’analisi della tipologia di operazione, rapporto continuativo o prestazione poste in essere al professionista per conto del proprio cliente.
In questo senso è fondamentale verificare non solo le concrete modalità di svolgimento dell’operazione, al fine di individuare eventuali elementi di anomalia, ma anche l’esatta determinazione dell’ammontare della prestazione.
Costituiscono inoltre ulteriore fattori di rilevanza anche il termine temporale, costituito dalla frequenza con la quale viene richiesta ed effettuata l’operazione o stipulato il rapporto continuativo.

L’esame critico della prestazione professionale deve essere poi osservata sotto il profilo della ragionevolezza dell’operazione in rapporto al tipo di attività svolta dal cliente, così come assume rilevanza anche in questo caso l’area geografica di destinazione del prodotto oggetto dell’operazione o del rapporto continuativo.
Si noti infine che gli obblighi di adeguata verifica della clientela troveranno sin da subito applicazione non solo nei confronti dei nuovi clienti, ma anche rispetto alla clientela già precedentemente acquisita alla quale dovranno applicarsi i principi che regolano la valutazione del rischio di riciclaggio.

Di conseguenza gli enti e le persone obbligate dovranno pertanto essere in grado di dimostrare alle autorità di vigilanza del settore ex art. 7 del nuovo Testo Unico ovvero agli ordini professionali di aver adottato misure adeguate all’entità del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.


Obbligo di adeguata verifica della clientela ed astensione dal compimento dell’operazione od esecuzione incarico professionale


Secondo quanto prescritto dall’art. 23 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, gli enti e le persone soggette agli obblighi previsti dal decreto non possono instaurare alcun rapporto continuativo né tantomeno eseguire operazioni o prestazioni professionali nel caso in cui non siano in grado di adempiere ai doveri previsti in materia di adeguata verifica della clientela ex art. 18, lettere a), b) e c).

Si tratta di una situazione che comporta non solo l’impossibilità di dare avvio ad una qualsiasi rapporto, ma determina altresì l’obbligo di porre termine alle prestazioni che sono già state poste in essere.
In questo caso, i soggetti obbligati hanno anche l’onere di valutare se effettuare una segnalazione all’UIF ai sensi del Titolo II, Capo III del decreto.

Ciò nonostante, è altresì possibile che l’astensione dall’esecuzione dell’operazione non sia praticabile ovvero sussista per legge un obbligo di ricevere un atto ovvero la natura dell’operazione non consenta un rinvio od ancora l’astensione può costituire motivo di ostacolo alla prosecuzione delle indagini.
In tutti questi casi i soggetti obbligati hanno la possibilità di eseguire l’operazione, ma hanno altresì il dovere di informare immediatamente l’UIF dell’esecuzione della prestazione.

In ogni caso i professionisti indicati ex art. 12 comma 1, letter a), b) e c) ed ex art. 13 non sono obbligati ad applicare le disposizioni contenute nell’art. 23, comma 1 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, quando debbono provvedere all’esame della posizione giuridica dei loro clienti o all’espletamento di compiti di difesa o di rappresentanza in un procedimento giudiziario ivi compresa l’attività di consulenza sulla eventualità di intentare cause od evitare l’instaurazione di un procedimento giudiziale.

Per contro gli enti e le persone hanno il dovere di astenersi dall’eseguire operazioni in relazione alle quali è insorto un sospetto dell’esistenza di una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo ed in questi casi debbono inviare una segnalazione all’UIF di operazione sospetta.

2) Obblighi semplificati e rafforzati di adeguata verifica della clientela

Secondo quanto previsto dall’art. 25 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio, il legislatore ha escluso l’applicabilità degli obblighi di adeguata verifica della clientela quando il cliente da sottoporre ad identificazione e verifica dell’identità è uno dei soggetti rientranti nell’elencazione prevista dall’art. 11, comma 1 e comma 2 lettere b) e c) del decreto.

Non appare difatti necessario procedere all’adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela quando il cliente è un operatore rientrante nella categoria degli intermediari finanziari (E’ dunque escluso l’obbligo di adeguata verifica della clientela nei casi in cui il cliente appartenga alla categoria dei soggetti indicati nell’art. 11 comma 1 e comma 2 lettere b) e c): banche, Poste Italiane S.p.a, istituti di moneta elettronica, SIM, SGR e SICAV, imprese di assicurazione, agenti di cambio, società che gestiscono il servizio di riscossione dei tributi, intermediari finanziari ex art. 105 e 107 TUB e Casse deposito prestiti, nonché le società operanti nel settore finanziario iscritte nelle sezioni dell’elenco generale ex art. 155, comma 4 o comma 5 del TUB).

In termini analoghi gli obblighi di adeguata verifica della clientela non trovano applicazione nel caso in cui il cliente è un ente creditizio o finanziario comunitario soggetto alla direttiva 2005/60/CE ovvero un ente creditizio o finanziario situato in uno Stato extracomunitario, il cui ordinamento non solo imponga obblighi equivalenti rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, ma preveda anche specifiche misure di controllo e di vigilanza.

Sarà in ogni caso il Ministero dell’Economia e delle Finanze ad individuare con proprio decreto, previa audizione del Comitato di sicurezza finanziaria, quali sono i regimi giuridici degli Stati extracomunitari che prevedano strumenti normativamente equivalenti alle misure adottate dalla direttiva comunitaria.

E’ inoltre opportuno sottolineare che l’art. 25 comma 3 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio ha escluso l’obbligo di identificazione e verifica anche nel caso in cui il cliente costituisca un ufficio appartenente alla Pubblica Amministrazione ovvero quando lo stesso rientri nel novero delle istituzioni o degli organismi che svolgono funzioni di carattere pubblico in forza ed in esecuzione di disposizioni contenute nel Trattato dell’Unione Europea o nei Trattati comunitari o del diritto comunitario derivato.
In tutti questi casi, gli enti e le persone soggette alla disciplina prevista dal nuovo Testo Unico antiriciclaggio debbono comunque raccogliere tutte le informazioni necessarie per stabilire con sufficiente chiarezza se il cliente può o meno beneficiare dell’esenzione dall’obblighi previsti in materia di adeguata verifica della clientela.
Ed in particolare la procedura semplificata non potrà trovare difatti applicazione nel caso in cui il soggetto obbligato abbia giustificato motivo di ritenere che l’identificazione non appaia attendibile o non consenta l’acquisizione di informazioni sufficienti.
Per contro, il legislatore ha altresì imposto obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela in tutte quelle situazioni che presentano generalmente un rischio particolarmente elevato di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, così come nel caso delle fattispecie specificatamente stabilite dall’art. 28 commi 2, 4 e 5 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio.
Il nostro legislatore ha dunque contemplato una clausola generale che determina l’applicazione degli obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, individuando come criterio distintivo l’elemento rappresentato da un elevato profilo di rischio, indicando parallelamente specifici casi in cui il presupposto del rischio deve ritenersi implicitamente ammesso e riconosciuto.

In particolare l’art. 28 comma 2 lettera a) del nuovo Testo Unico richiede agli enti ed alle persone soggette alle disposizioni antiriciclaggio di adottare misure specifiche ed adeguate per la verifica della clientela, allorché il cliente non sia fisicamente presente all’atto dell’identificazione.
In questo caso, infatti, la norma richiede di compensare il rischio più elevato di riciclaggio attraverso l’accertamento dell’identità del cliente tramite documenti, dati od informazioni supplementari rispetto, ad esempio, alla semplice presentazione di un documento di identità.
Per poter ovviare a tale situazione di rischio, i soggetti obbligati dovranno altresì adottare misure addizionali ed integrative per la corretta verifica o la certificazione dei documenti messi a disposizione dal cliente oltre a poter richiedere una certificazione di conferma da parte di un ente creditizio o finanziario.
Al fine di rafforzare l’attività di controllo, gli enti e le persone soggette alla disciplina antiriciclaggio potranno altresì assicurarsi che il primo pagamento relativo all’operazione posta in essere dal cliente sia effettuato attraverso l’utilizzazione di un conto corrente al medesimo intestato presso un ente creditizio, in modo da garantire la tracciabilità dell’operazione.

In forza del disposto ex art. 28 comma 3 del nuovo Testo Unico, gli obblighi di adeguata verifica della clientela sono da ritenersi comunque soddisfatti anche nel caso in cui il cliente sia stato già precedentemente identificato in relazione al rapporto od alla operazione posta già in essere, a condizione che le informazioni possedute siano sufficientemente aggiornate.

In senso conforme, gli obblighi di adeguata verifica della clientela si considerano di per sé adeguatamente assolti con riferimento ai clienti i cui dati identificativi e le altre informazioni da acquisire risultino da atti pubblici, scritture private autenticate, certificati qualificati utilizzati per la generazione di una firma digitale associata a documenti informatici o da dichiarazioni della autorità consolare italiana.

Per quanto riguarda il caso particolare delle operazioni effettuate con sistemi di cassa continua o sportelli automatici e per le operazioni compiute per corrispondenza od attraverso soggetti che svolgono attività di trasporto di valori o carte di pagamento, le operazioni sono da considerarsi imputate al soggetto titolare del rapporto.
Per i conti di corrispondenza con enti equivalenti di Stati extracomunitari, gli enti creditizi hanno invece l’obbligo di raccogliere le informazioni necessarie per comprendere la natura dell’attività dell’ente corrispondente e per stabilire la reputazione e la qualità della vigilanza su quest’ultimo esercitata per mezzo di pubblici registri, elenchi, atti o documenti liberamente conoscibili da qualunque persona.

Gli enti creditizi devono inoltre non solo definire in forma scritta i termini dell’accordo per l’apertura di conti di corrispondenza con i soggetti di Stati extracomuntari, nonché stabilire i rispettivi obblighi, ma anche assicurarsi che l’ente di credito corrispondente abbia verificato l’identità dei clienti che hanno un accesso diretto ai conti di passaggio.
In questo caso, gli enti creditizi hanno altresì il dovere di verificare l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela oltre alla possibilità di fornire da parte dell’intermediario finanziario controparte i dati ottenuti per effetto dell’identificazione.

3) LA RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI DI CONTROLLO DELLE PERSONE GIURIDICHE SECONDO LA DISCIPLINA DEL D.LVO. 8 GIUGNO 231

Con l’entrata in vigore del nuovo Testo Unico antiriciclaggio il reato di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. entra formalmente e di diritto nel novero dei delitti, la cui consumazione può determinare l’insorgenza di una responsabilità amministrativa da reato degli enti, così come previsto dall’art. 63 del decreto attuativo della Terza Direttiva 2005/60/CE che ha inserito il nuovo art. 25 octies al D.lvo n. 231/2001.


Inquadramento generale del D.lvo n. 231/2001

Con l’emanazione del D.lvo. 8 giugno 2001 n. 231, il legislatore italiano ha difatti introdotto una novità significativa nel nostro ordinamento giuridico, avendo riconosciuto la possibile configurabilità della responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni per illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Si tratta di un’innovazione che ha avuto come principale effetto l’insorgenza di una responsabilità diretta degli enti come conseguenza della condotta illecita perpetrata da persone che agiscono in nome e per conto della società.
In forza del disposto ex art. 5, comma 1, lettera a) del D.lvo. n. 231/2001, un ente può vedersi ora difatti ascritta la responsabilità per reati commessi da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione della persona giuridica o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche meramente di fatto, l’attività di gestione e controllo dell’ente.

In termini analoghi, l’art. 5, comma 1, lettera b) del D.lvo. n. 231/2001 riconosce la responsabilità dell’ente anche nell’ipotesi in cui il reato è stato commesso da persone sottoposte alla direzione od alla vigilanza di uno dei soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza od amministrazione.

Il presupposto sostanziale per la configurabilità della responsabilità introdotta dal D.lvo. n. 231/2001 risiede dunque nell’indispensabile consumazione del reato attuata da soggetti “qualificati” cui sono conferiti compiti di direzione all’interno dell’ente, a condizione che la condotta illecita sia stata commessa nell’interesse od a vantaggio esclusivo della persona giuridica, essendo difatti essenziale, sotto il profilo soggettivo, la sussistenza di un dolo specifico.

Ne consegue che l’ente deve ritenersi soggetto responsabile, nel caso in cui il reato commesso da un soggetto con funzioni “apicali” sia stata coscienziosamente nonché volutamente concepita e consumata per esclusivo vantaggio dell’ente di modo da recare un beneficio per la società.
L’ente tuttavia non sarà invece chiamato a rispondere se le persone che ricoprono funzioni di direzione, amministrazione o gestione abbiano viceversa agito nel proprio esclusivo interesse o nell’interesse di terzi, così come sancito dall’art. 5 comma 2 del D.lvo n. 231/2001.

In genere si dovrebbe pertanto escludere la responsabilità dell’ente, quando la condotta dell’agente si sia manifestata in totale contrasto od in assoluta autonomia rispetto agli obiettivi e le finalità perseguite dalla persona giuridica o dalla società, essendo del tutto irrilevante il fatto che l’ente possa aver tratto un qualsivoglia vantaggio o beneficio dalla consumazione del reato.

Ciò nondimeno, da un’interpretazione restrittiva del combinato disposto ex art. 5, comma 2 ed ex art. 12 comma 1, lett. a) del D.lvo n. 231/2001 (L’art. 12 comma 1, lett. a) del D.lvo. n. 231/2001 prescrive che la sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a 103.291 Euro se:”l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato un vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo”), si può desumere che possa essere imputato all’ente un certo margine di responsabilità perfino quando il reo ha commesso il reato per soddisfare anche solo parzialmente interessi societari ovvero anche nel caso in cui la persona giuridica abbia tratto un seppur minimo vantaggio.

Sotto un profilo meramente oggettivo è altresì opportuno premettere che la responsabilità amministrativa da reato degli enti può essere riconosciuta solamente quando la condotta dell’autore del reato sia sussumibile in un archetipo di fattispecie incriminatrice rientrante nell’elencazione tassativamente formulata dal nostro legislatore legislatore agli artt. 24 e seguenti del D.lvo n. 231/2001.

Infatti la responsabilità dell’ente può configurasi nelle sole ipotesi della consumazione di reati rientranti nell’ambito tipicamente commerciale ed economico quali ad esempio l’indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316 ter c.p. o la truffa a danno dello Stato o di un ente pubblico ex art. 640 bis c.p., la corruzione e la concussione ex art. art. 317 c.p., la falsità in monete, in carte pubbliche o valori di bollo ex art. 453 c.p. e ss., i reati societari per violazione delle disposizioni civilistiche ex art. 2622 e s.s. c.c., nonché i delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico ex art. 270 bis. c.p. .
In ogni caso se il reato è stato commesso dalle persone che ricoprono funzioni “apicali” all’interno della persona giuridica, la responsabilità dell’ente deve ritenersi esclusa nei casi specificatamente indicati dall’art. 6 del D.lvo. n. 231/2001.

Più precisamente, l’ente non risponde allorquando l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto illecito, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la consumazione dei reati rientranti nella categoria della fattispecie incriminatrice verificatasi.
In termini analoghi, la commissione del reato non può essere ascritta all’ente, quando il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli è stato affidato ad un organismo della persona giuridica dotato di poteri autonomi di iniziativa e di controllo ovvero nel caso in cui l’autore materiale del reato ha fraudolentemente eluso i riferiti modelli di organizzazione e gestione.

Si noti infine che la sanzione principale in cui l’ente può incorrere per gli illeciti dipendenti da reato ex art. 9 el D.lvo. n. 231/2001 consiste principalmente nell’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, la cui commisurazione viene determinata sulla base della gravità del fatto, del grado di responsabilità della persona giuridica, nonché dall’eventuale attività svolta per eliminare od attenuare le conseguenze derivanti dal fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti (la sanzione pecuniaria va applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille e l’importo della quota va da un minimo di 258 Euro a un massimo di 1.549 Euro).

L’ente può inoltre rischiare di vedersi applicate sanzioni interdittive quali: l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e la revoca di quelli precedentemente concessi, nonché il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

L’applicazione delle sanzioni interdittive, la cui durata non può essere inferiore a tre mesi e non superiore a due anni, può trovare giustificazione solamente nel caso in cui la persona giuridica abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e la fattispecie incriminatrice sia stata commessa da soggetti in posizione “apicale” ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione se la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative. L’applicazione di una sanzione interdittiva può poi essere giustificata dall’eventuale consumata reiterazione degli illeciti.
Non è comunque da escludere la possibile configurabilità di sanzioni interdittive dall’esercizio della attività in via definitiva nell’ipotesi in cui l’ente abbia realizzato un profitto di entità rilevante ed è già stato precedentemente condannato, almeno tre volte, negli ultimi sette anni all’interdizione temporanea.
Ed è altresì possibile l’applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione o pubblicizzazione dei beni o servizi quando l’ente è stato condannato alla medesima sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni.
Residuali sono poi le sanzioni che comportanto la confisca del prezzo o del profitto del reato e la pubblicazione della sentenza di condanna per intero o per estratto su uno o più quotidiani e mediante affissione nel comune ove l’ente ha la propria sede principale.


Equiparazione tra riciclaggio e finanziamento del terrorismo nel D.lvo n. 231/2001 secondo il nuovo Testo Unico antiriciclaggio

Nonostante l’elencazione delle fattispecie incriminatrici da cui il nostro legislatore fa dipendere la configurazione di una responsabilità amministrativa da reato dell’ente non contenga un chiaro, inequivocabile e specifico riferimento all’art. 648 bis c.p., si deve tuttavia ritenere che la disciplina contenuta nel D.lvo n. 231/2001 sia sin d’ora applicabile anche nell’ipotesi di consumazione del delitto di riciclaggio per effetto di una sostanziale equiparazione con i delitti commessi per finalità di terrorismo od eversione dell’ordine democratico sancito dal decreto, così come emerge anche dall’interpretazione della ratio e dalle disposizioni della Direttiva 2005/60/CE (relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e finanziamento del terrorismo).

La ragione giustificativa posta alla base del riconoscimento di una equiparazione tra il reato di riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo risiede difatti nel significato funzionale della norma in quanto finalizzata a tutelare l’esigenza di garantire la stabilità del sistema finanziario e le regole di mercato.

Principio che è stato esplicitato al considerando n. 8 della Direttiva 2005/60/CEE, in forza del quale:”il fatto di sfruttare il sistema finanziario per trasferire fondi di provenienza criminosa o anche denaro pulito a scopo di finanziamento del terrorismo minaccia chiaramente l’integrità, il funzionamento regolare, la reputazione e la stabilità di tale sistema. Di conseguenza è opportuno che le misure preventive previste dalla […] direttiva coprano non soltanto la manipolazione di fondi di provenienza criminosa, ma anche la raccolta di beni o di denaro pulito a scopo di finanziamento del terrorismo”.
In questi termini l’art. 648 bis c.p. individua chiaramente la fattispecie incriminatrice che può configurarsi quando il reo ponga in essere attività finalizzate ad operare una sostituzione o trasferimento di denaro, beni od utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compiere operazioni finalizzate ad ostacolare od impedire la corretta identificazione della provenienza delittuosa dei mezzi di pagamento (In questo senso la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente specificato che la consumazione del reato di riciclaggio si configura quando si verifichi “il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere” (Cass. Pen. Sez. II, sent. n. 2818 del 12 gennaio 2006).

In ogni caso a breve, come premesso, sarà possibile prescindere da un esame interpretativo preliminare della questione della riconducibilità dell’art. 648 bis c.p. nel novero dei reati rientranti nella classificazione prevista dal D.lvo n. 231/2001, per effetto dell’imminente approvazione del Decreto Legislativo di recepimento della III direttiva antiriciclaggio.

In questo contesto normativo d’ordine generale si inseriscono difatti a pieno titolo le integrazioni che verranno apportate al D.lvo. n. 231/2001 da parte dell’art. 63 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio che consacrano l’attesa equiparazione formale tra riciclaggio e finanziamento al terrorismo anche ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa da reato dell’ente.

L’art. 63, comma 3 del Testo Unico antiriciclaggio inserirà il nuovo art. 25 octies al D.lvo. n. 231/2001 sotto la rubrica “Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”.
In relazione ai reati di cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter c.p., l’ente potrà vedersi pertanto applicata una sanzione pecuniaria minima da 200 a 800.

Nel caso il denaro, i beni o le utilità avessero una provenienza da un delitto per il quale il legislatore penale ha previsto l’irrogazione della pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria verrebbe invece calcolata nella misura da 400 a 1000 quote.
Non solo, l’ente dovrebbe altresì subire le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 del D.lvo n. 231/2001 (interdizione dall’esercizio della attività; sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrarre con la pubblica amministrazione; esclusione dalle agevolazioni di natura finanziaria, contributi o sussidi ed eventuale revoca dei precedentemente concessi) per una durata tuttavia non superiore a due anni.


Responsabilità amministrativa da reato dell’ente e violazione dell’art. 52 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio

Si noti che la disciplina che verrà dettata dal combinato disposto delle disposizioni contenute nel D.lvo n. 231/2001 e dall’art. 52 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio imporranno agli organi societari uno specifico obbligo di vigilanza in materia.
Secondo quanto previsto dall’art. 52 comma 1, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di gestione, l’organismo di vigilanza ex art. 6 comma 1, lettera b) del D.lvo. n. 231/2001 e tutti i soggetti incaricati alla funzione di controllo di gestione saranno difatti investiti dell’obbligo di vigilare sul rigoroso adempimento delle disposizioni contenute nel nuovo Testo Unico antiriciclaggio.
D’altronde l’art. 2403 c.c. individua specificatamente i doveri del collegio sindacale (analogamente rispetto a quanto avviene per il consiglio di sorveglianza ed il comitato di gestione), che come organo societario ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, nonché sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo corretto funzionamento.
Ed è quantomeno emblematico il profilo di responsabilità in cui sindaci possono incorrere ex art. 2407 c.c. dal momento che gli stessi rispondono solidalmente con gli amministratori per i fatti od omissioni commessi da questi ultimi in violazione degli obblighi di diligenza e controllo loro richiesti.

In particolare gli organi deputati all’attività di vigilanza avranno difatti il compito di comunicare, senza ritardo, alle autorità competenti del settore, tutti gli atti o i fatti cui sono venuti a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni che possano costituire la violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’art. 7 comma 2 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio.

L’ambito oggettivo dell’attività di controllo, la cui inosservanza può determinare l’insorgenza di una responsabilità degli organi di vigilanza è pertanto innanzitutto riferibile alla violazione delle disposizioni dettate dalle autorità di vigilanza in materia di modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, organizzazione, registrazione, procedure ed i controlli interni finalizzati a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

In secondo luogo gli organi di vigilanza avranno anche il dovere di comunicare, senza ritardo, al titolare dell’attività od al legale rappresentante od a un suo delegato, le infrazioni rilevate nell’espletamento della propria attività di controllo dell’art. 41 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio.
Ne consegue pertanto che costituisce condotta rilevante ai fini della sussistenza di un comportamento rientrante nell’ambito di applicazione del D.lvo. n. 231/2001, l’inosservanza da parte dei responsabili “apicali” dell’ente o delle persone giuridiche rientranti nell’elencazione ex art. 10, 11 e 14 dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta aventi ad oggetto prestazioni in corso ovvero precedentemente compiute o semplicemente tentate per scopi di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.

Un ulteriore condotta rilevante ai fine del riconoscimento di una responsabilità secondo le disposizioni del D.lvo. n. 231/2001 riguarda l’omessa comunicazione entro il termine di trenta giorni, al Ministero dell’Economia e delle Finanze delle infrazioni alle disposizioni di cui all’art. 49, comma 1, 5, 6, 7, 12, 13 e 14 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio in materia di limitazioni all’utilizzazione del denaro contante e dei titoli al portatore.

In termini analoghi la responsabilità dell’ente può scattare nel caso in cui i soggetti responsabili omettano di comunicare, sempre entro il termine di trenta giorni, all’Unità di Informazione Finanziaria le infrazioni di cui hanno avuto notizia nell’espletamento delle funzioni di vigilanza loro attribuite, alle disposizioni contenute nell’art. 36 in materia di obblighi di registrazione e conservazione delle informazioni ottenute nel corso dell’adempimento della procedura di adeguata verifica della clientela.

La disciplina dettata dall’art. 52 del nuovo Testo Unico antiriciclaggio non svolge meramente la funzione di individuare un profilo di responsabilità degli organi societari deputati all’attività di vigilanza, ma trova implicitamente fondamento nell’indispensabile adozione da parte degli intermediari e delle società interessate di strumenti organizzativi di controllo e di sorveglianza in grado di calmierare il rischio di riciclaggio e salvaguardare la persona giuridica dal pericolo di incorrere nel profilo di responsabilità disciplinata dal D.lvo n. 231/2001.
D’altronde l’introduzione dell’art. 25 octies D.lvo n. 231/2001 e dell’art. 52 del decreto legislativo di attuazione della Terza Direttiva 2005/60/CE costituiscono uno strumento incentivante per forzare gli enti soggetti agli obblighi definiti dalla normativa antiriciclaggio a dotarsi e dare attuazione a modelli di organizzazione e gestione adeguati ed idonei a prevenire la consumazione del reato di riciclaggio ex art. 648 bis .cp.

Avv. Luigi Ferrajoli
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