Speciale Pubblicato il 10/01/2023

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Esenzione IMU enti religiosi: il punto della Cassazione

di Moroni Avv. Francesca

La Cassazione con sentenza n. 35123/2022 precisa l'ambito della esenzione dalla imposta municipale propria per gli enti religiosi. Il corrispettivo simbolico per l'attività svolta



Con Sentenza n. 35123 pubblicata il 29 novembre 2022, la Cassazione aggiunge un ulteriore tassello in tema di esenzione IMU per gli enti religiosi, stabilendo il principio per cui il livello della retta richiesta da una scuola paritaria non comporta automaticamente l’esenzione dall’imposta per l’ente medesimo.

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I fatti di causa

Nella fattispecie in esame, l'Istituto educativo, titolare di una scuola paritaria, opponeva gli avvisi di accertamento relativi all'ICI/IMU per gli anni 2010 -2015, invocando l’esenzione prevista dall’art 7 lett. i) del D.lgs. 504/1992. 

Il ricorso veniva parzialmente accolto in primo grado escludendo le sanzioni; di conseguenza proponevano appello tanto l'Istituto che il Comune ed entrambi gli appelli venivano rigettati dalla competente Commissione tributaria regionale: la CTR adita osservava, infatti, che mancava il requisito (oggettivo) per l'applicazione della chiesta esenzione, posto che risulta necessario a tal fine che le rette scolastiche siano di importo simbolico oppure idonee a coprire solo una frazione del costo effettivo del servizio scolastico. Di contro, nel caso di specie la retta applicata agli studenti mediamente supera il 50% del costo del servizio e, quindi, si può affermare che si tratti di attività commerciale non esente da imposta comunale.

Avverso la sentenza di secondo grado proponeva dunque ricorso principale l'Istituto scolastico paritario.

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Le motivazioni della Suprema Corte. La differenza tra ICI e IMU

La Suprema Corte sottolinea in primis come l’esenzione invocata dalla ricorrente sia stata negata ritenendo insussistente il requisito oggettivo, pur nella pacifica ricorrenza del requisito soggettivo. 

Al riguardo è interessante sottolineare come le due imposte presentino un regime normativo, quanto all’esenzione, formulato in termini leggermente differenti, il che tuttavia non ne ha impedito una uniforme interpretazione alla luce dei principi di diritto eurounitario (in particolare il riferimento va al divieto di aiuti di Stato stabilito dall’art. 107 del TFUE).

In particolare, la norma dell’articolo 7, comma 2-bis, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, come modificato dall’articolo 39, comma 1, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, dispone che l'esenzione dall’ICI si intende applicabile alle attività indicate che “non abbiano esclusivamente natura commerciale”, mentre dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 1/2002, convertito con legge n. 27/2012, l’esenzione prevista dall’articolo 7, primo comma, lettera i), del decreto legislativo n. 504/92 si applica agli immobili degli enti non commerciali soltanto se le attività ivi elencate vengono svolte con “modalità non commerciali”.

Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte si è nel tempo consolidata nell’affermare che l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, in relazione ai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR, presuppone la ricorrenza cumulativa sia del requisito soggettivo (natura non commerciale dell'ente), sia del requisito oggettivo (diretta destinazione dell'immobile allo svolgimento delle attività previste dal medesimo art. 7, tra cui rientrano quelle volte alla didattica e all’educazione).

Risulta invece del tutto irrilevante la successiva destinazione degli utili, eventualmente ricavati, al perseguimento di fini sociali o religiosi, siccome riguardante un momento successivo alla loro produzione, tale da non far venir meno l'eventuale carattere commerciale dell'attività. 

In sintesi, l’esenzione è compatibile con il divieto di aiuti di Stato, sancito dalla normativa unionale, soltanto qualora 

Deve tenersi conto, infatti, della nota decisione della Commissione dell'Unione Europea del 19 dicembre 2012, che, nel valutare se tanto l’ICI che l’IMU costituiscano aiuto di Stato in violazione del diritto dell'Unione (articolo 107, paragrafo 1, del Trattato) ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato

La Commissione ha osservato che anche laddove un’attività abbia una finalità sociale, questa non basta da sola a escluderne la classificazione di attività economica: è necessario, quindi, al fine dell'esclusione del carattere economico dell'attività, che quest'ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico. 

Con la predetta decisione la Commissione UE ha valutato la compatibilità delle disposizioni legislative italiane nel tempo susseguitesi e ha osservato che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (v. CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell'Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e altri, punti 74 e 75): pertanto, anche un soggetto che in base alla normativa nazionale è classificato come un'associazione o una società sportiva può essere considerato come un'impresa ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato. L’unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un’attività economica

Inoltre, osserva la Commissione, l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poiché anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato. Rese queste premesse la Commissione ha concluso nel senso che: 

Inoltre, la Commissione UE, con specifico riferimento alla attività didattica, rimarca che l’attività deve essere svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico, tale da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso.

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La nozione di imprenditore e il criterio del corrispettivo simbolico

La Corte peraltro precisa come non abbia rilievo il fatto che la gestione operi in perdita poiché la nozione di imprenditore, ai sensi dell'art. 2082 c.c., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata ricollegabile ad un dato obiettivo, inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. 

Di contro si deve escludere il suddetto carattere imprenditoriale dell'attività nel caso in cui essa sia svolta in modo gratuito (Cass. 14225/2015). 

In altri termini, la circostanza di conseguire o meno un guadagno e di pareggiare effettivamente i costi con i proventi è irrilevante se l’attività si connota economicamente e cioè per il fatto che i beni ed i servizi siano offerti al pubblico con prezzi non simbolici, essendo sufficiente che vi sia l'idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio. 

Le precedenti considerazioni consentono anche di definire il significato e la portata dei i criteri stabiliti dal DM 19.11.2012 n. 200 e e dal DM 26.6.2014, che devono essere applicati in armonia con quanto stabilito dalla Commissione UE con decisone 19.12.2012, e secondo i principi posti dalla giurisprudenza nazionale. 

Il testo di entrambi i decreti è chiaro nel ricordare che per beneficiare della esenzione in parola le attività devono essere svolte gratuitamente o dietro versamento di corrispettivo di importo simbolico. 

In particolare, il DM 26.6.2014 e il relativo allegato, ribadendo la regola del corrispettivo simbolico, richiamano la decisione della Commissione europea, laddove si stabilisce che per avere natura simbolica 

Pertanto, la circostanza che la parte possa avere dichiarato un CM (corrispettivo medio) inferiore al CMS (costo medio per studente sopportato dallo Stato) non dà automaticamente diritto alla esenzione perché non incide sul potere del Comune di eseguire un controllo e una valutazione (nei termini di cui sopra si è detto) né sul potere del giudice di merito di operare un accertamento sulla effettiva sussistenza delle modalità non commerciali. 

Tanto è chiarito nello stesso allegato al DM 26.6.2014 laddove si precisa “sulla base degli anzidetti principi enucleati dalla decisione della Commissione europea spetta quindi al Comune in sede di verifica delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dagli enti non commerciali valutare la simbolicità dei corrispettivi praticati da ciascun ente commerciale non potendosi effettuare in astratto una definizione di corrispettivo simbolico perché in tal modo si violerebbe la finalità perseguita dalla decisione della Commissione”.

In altri termini non si può configurare nessun automatismo – se non quello di escludere la applicabilità della esenzione - collegato al rapporto tra corrispettivo e costo medio. 

Vero è che le istruzioni allegate al decreto del 2014 tendono a semplificare - come è per certi versi insito nella natura di istruzioni per la compilazione di un modello- la questione, ma in ogni caso, deve qui affermarsi la natura non vincolante delle predette istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IMU, posto che esse non possono derogare né alla normativa primaria, da interpretarsi in senso conforme alla citata decisione della Commissione UE, né alla stessa normativa secondaria alla quale accedono, laddove si ribadisce il criterio del corrispettivo simbolico. 

Si conclude dunque nel senso per cui essendo pacifico che le rette applicate negli studenti superano il 50% del costo del servizio si tratta di una attività commerciale non esente da imposta comunale.

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