Il recesso dal contratto di agenzia da parte o committente non puo trovare giusta causa nella minaccia dell'agente di far valere i propri diritti rispetto alle prestazioni lavorative aggiuntive di tipo subordinato .
Lo afferma la Cassazione con la sentenza 3917 del 17.2.2020 accogliendo il (doppio ) ricorso di una lavoratrice con contratto di agenzia che chiedeva di essere regolarizzata e remunerata per il lavoro subordinato che aveva svolto parallelamente a quello di agenzia. La società aveva comunicato il recesso dal contratto di agenzia per giusta causa ma tale definizione non aveva fondamento secondo la ricorrente che portava prove testimoniali del lavoro svolto e chiedeva il risarcimento della somma di euro 260.000,00 per retribuzioni non corrisposte, ferie, permessi non goduti e TFR. Sia il Tribunale che la Corte di appello avevano respinto il ricorso , considerando sussistente la giusta causa ex art. 2119 cod. civ. perche la pretesa avanzata dalla ricorrente veniva considerata "pesante " da primo giudice .
La Corte di appello di Brescia, dice la Cassazione, errava nel respingere l'impugnazione basata sulle seguenti considerazioni:
" le pretese formulate dall'appellante si fondavano su una rilettura del rapporto in essere, tale da portare a rivendicare corrispettivi di ingente entità, nascenti da fattispecie incompatibili, ossia la coesistenza del contratto di agenzia e del rapporto di lavoro subordinato; in tal senso doveva essere letta l'argomentazione del primo giudice;
- si era in presenza di un conflitto tra le rivendicazioni avanzate, restando irrilevante che le pretese avessero costituito oggetto di due distinte domande;
- può essere richiamato in via analogica l'art. 1438 cod. civ., fattispecie che si realizza quando il fine ultimo perseguito da una delle parti consiste nella realizzazione di un risultato abnorme, incompatibile con i principi giuridici;
- nel caso di specie, è giuridicamente inconcepibile che un unico rapporto sia caratterizzato dalla compresenza di due fattispecie diverse per natura e presupposti e dia luogo a pretese di natura economica che non possono essere cumulate;
- la minaccia di far valere il diritto di corrispettivi asseritamente spettanti per entrambe le fattispecie, del tutto differenti e non compatibili tra loro, non poteva che essere considerata ingiusta ed iniqua e come tale costituire giusta causa di recesso da parte del soggetto destinatario di tali rivendicazioni.
La cassazione respinge queste argomentazioni sulla presentazione formale del ricorso e ricorda invece che effettivamente la minaccia di far valere un diritto puo costituire causa di annullamento del contratto ma solo se punta ad risultato iniquo ed abnorme, diverso dall'affermazione del diritto stesso, o nell’ipotesi nella quale la minaccia abbia effettiva funzione intimidatoria della condotta, volta a condizionare la volontà dell’altro contraente . Situzione non verificatasi nel caso in oggetto.
La sentenza viene quindi cassata e rinviata alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.