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COMPORTO E DISABILI: LA CORTE UE RIDIMENSIONA LA CASSAZIONE

Comporto e disabili: la Corte UE ridimensiona la Cassazione

La sentenza C-5/24 dell’11 .9. 2025 afferma che il comporto previsto dai CCNL non è di per sé discriminatorio, resta l’obbligo di accomodamenti ragionevoli verificati dal giudice

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Negli ultimi anni la Corte di Cassazione aveva consolidato un orientamento severo in materia di comporto applicato ai lavoratori disabili. Sentenze come la n. 9095/2023 e la n. 11731/2024 avevano affermato che considerare indistintamente lavoratori normodotati e lavoratori con handicap nella disciplina del comporto costituiva una forma di discriminazione indiretta. 

Leggi in merito Superamento del comporto non applicabile a disabili

La Suprema Corte aveva quindi spinto verso la necessità di una regolamentazione specifica, stigmatizzando i contratti collettivi che ponevano tutti sullo stesso piano. In questo quadro si inserisce il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Ravenna, chiamato a decidere sulla legittimità del licenziamento di una dipendente di una piccola impresa che aveva superato il limite dei 180 giorni di comporto previsto dal CCNL Commercio, con possibilità di ulteriori 120 giorni di aspettativa non rinnovabile. L’incertezza del giudice  nasceva  dalla considerazione che la specifica  contrattazione collettiva,  garantiva periodi di conservazione del posto molto lunghi e articolati.

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1) La decisione della Corte di giustizia dell’11 settembre 2025

Con la sentenza dell’11 settembre 2025, causa C-5/24, la Corte di giustizia UE ha fornito una risposta articolata che ridimensiona le piu recenti conclusioni della Cassazione in tema di durata del periodo di comporto.

 La Corte ha chiarito che la direttiva 2000/78/CE non contiene norme specifiche sul licenziamento, ma si limita a prescrivere l’adozione di provvedimenti appropriati a favore delle persone con disabilità. Pertanto, una disciplina nazionale che preveda un comporto “uguale per tutti” non è, di per sé, incompatibile con il diritto europeo e non costituisce automaticamente una discriminazione. Tuttavia, questo non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di introdurre “accomodamenti ragionevoli” – soluzioni organizzative, adattamenti del posto di lavoro o anche un’estensione del comporto – purché non gravosi in modo sproporzionato. Il compito di verificare se il datore abbia adempiuto a questo obbligo ricade sul giudice nazionale, chiamato a valutare caso per caso la congruità delle misure adottate.

 La Corte ha inoltre sottolineato che la mera concessione di un’aspettativa standard, prevista indistintamente per tutti, non può essere considerata un accomodamento ragionevole per il lavoratore disabile.

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2) Le prospettive per imprese e lavoratori

La decisione europea potrebbe modificare lo scenario giuridico italiano, attribuendo un peso maggiore alle valutazioni del giudice di merito.

 Se prima l’orientamento della Cassazione conduceva a considerare discriminatori quasi tutti i licenziamenti per superamento del comporto in presenza di disabilità, oggi il baricentro si sposta verso una valutazione più equilibrata e casistica. Non è più la disciplina generale del comporto a essere in discussione, ma il modo in cui viene concretamente applicata al singolo lavoratore disabile. Questo implica che le imprese, in mancanza di una normativa o di una contrattazione collettiva specifica, dovranno adottare cautele ulteriori: valutare accomodamenti individualizzati, documentare le soluzioni prese in considerazione, e motivare adeguatamente la decisione di licenziare. 

Per i lavoratori, invece, la tutela non è cancellata ma cambia terreno: non sarà sufficiente invocare la nullità per applicazione uniforme del comporto, ma occorrerà dimostrare che il datore non ha predisposto accomodamenti ragionevoli. Si delinea così una prospettiva in cui il ruolo del giudice nazionale diventa centrale, chiamato a bilanciare il diritto alla parità di trattamento con le esigenze organizzative dell’impresa.

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