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LICENZIAMENTO E LEGGE 104: OBBLIGO DI REPECHAGE PERSONALIZZATO

Licenziamento e legge 104: obbligo di repechage personalizzato

La Suprema Corte ribadisce l’obbligo di repêchage per il lavoratore caregiver anche con proposta di demansionamento, purche concreta e calibrata sulle esigenze di cura

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Con la sentenza n. 18063 del 3 luglio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – si è espressa in merito al licenziamento di un lavoratore beneficiario della legge 104/1992, avvenuto a seguito della soppressione del posto di lavoro e del rifiuto del dipendente di accettare una ricollocazione con diversa articolazione oraria.

 Il lavoratore, da vent’anni in azienda, aveva sempre prestato servizio con un orario a ciclo continuo e beneficiava dei permessi previsti dalla legge 104 per assistere la moglie con disabilità grave.

Il datore di lavoro, a fronte della soppressione della posizione occupata, gli aveva offerto un impiego alternativo come carrellista nel reparto spedizione, ma su doppio turno, rifiutata dal dipendente per incompatibilità con le esigenze di assistenza. 

In prima istanza, il Tribunale aveva annullato il licenziamento, ma in secondo grado la Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto legittimo il recesso dell'azienda, affermando che l’azienda avesse assolto all’obbligo di repêchage e che il rifiuto del lavoratore fosse ingiustificato

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1) L’intervento della Cassazione: errori nella valutazione del repêchage

La Cassazione ha ribaltato la sentenza della Corte d’Appello, accogliendo due dei motivi di ricorso presentati dal lavoratore: l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la mancata pronuncia sulla domanda di licenziamento discriminatorio (art. 112 c.p.c.). 

In particolare, è stato ritenuto erroneo non considerare che,  come evidenziato dagli atti di causa e dal Libro Unico del Lavoro (LUL), l’azienda aveva successivamente assunto altri dipendenti anche con l’orario richiesto dal lavoratore, dimostrando l’esistenza di soluzioni alternative alla cessazione del rapporto.

Secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro è tenuto – in forza del principio di buona fede e correttezza e ai sensi dell’art. 2103 c.c. – a ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori, qualora queste siano compatibili con le sue capacità e con l’organizzazione aziendale vigente. Tale obbligo risulta ancora più stringente nei confronti di lavoratori che fruiscono dei benefici previsti dalla legge 104/1992. La Corte ha anche richiamato i principi costituzionali a tutela del lavoro (artt. 4, 35 e 41 Cost.) e la giurisprudenza consolidata secondo cui il licenziamento deve essere sempre considerato una “extrema ratio”.


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2) Conclusione: illegittima la mancata verifica di possibile demansionamento

La Cassazione ha ritenuto che la Corte territoriale non abbia correttamente verificato se fosse davvero impossibile una ricollocazione del dipendente in mansioni compatibili con l’orario a ciclo continuo. Il fatto che altri lavoratori siano stati successivamente assunti con tale regime orario, e che lo stesso fosse ancora in uso in vari reparti aziendali, dimostra che l’opzione era praticabile e andava valutata attentamente.

Inoltre, la Corte ha censurato il mancato esame della domanda relativa alla natura discriminatoria o comunque illecita del licenziamento, ritenendo sufficiente la sua riproposizione da parte del lavoratore nella memoria di costituzione in appello.

Alla luce di tali considerazioni, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna è stata cassata con rinvio ad altra sezione, che dovrà riesaminare la vicenda considerando il principio per cui il repêchage, soprattutto in presenza di lavoratori tutelati dalla legge 104/1992, non può limitarsi a una proposta standard, ma deve essere concreto, documentato e calibrato anche sulle esigenze di cura e assistenza familiare del dipendente.

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Fonte immagine: Mohammad hassan by Pixabay
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