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LE NOVITÀ DELL’ISTRUTTORIA NEL PROCESSO TRIBUTARIO

Le novità dell’istruttoria nel processo tributario

Nuovo processo tributario: il contraddittorio nell’accertamento con adesione, il ricorso-reclamo, la prova testimoniale, l'onere della prova, la proposta di conciliazione

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La riforma della disciplina del processo tributario, di cui alla l. 31.8.2022, n. 130, innova sostanzialmente il testo dell’art. 7 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, laddove vengono introdotte la prova testimoniale (nuovo testo del comma 4) e la disciplina dell’onere della prova (innovazione sostanziale introdotta con il comma 5-bis), nonché le regole sul mancato accoglimento della proposta di mediazione (nuovo comma 9-bis dell’art. 17-bis) e sulla conciliazione proposta dalla Corte di giustizia tributaria (nuovo art. 48-bis.1).

Come regola generale, il comma 1 dell’art. 7 recita “Le commissioni tributarie (n.d.r.: attualmente denominate “Corti di giustizia tributaria” di primo e di secondo grado, come disposto dall’art. 4, comma 1, lett. a) della suddetta legge), ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazione di chiarimenti conferite agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta”.

In questa cornice il legislatore ha inteso allargare le facoltà attribuite all’organo giudicante il quale ha l’onere di attivare i propri poteri istruttori entro la cornice circoscritta dei fatti dedotti dalle parti ma, ora,  ha la facoltà di allargare le proprie competenze anche in relazione non solo dell’esito del giudizio ma anche all’addebito di responsabilità delle parti già in relazione alla procedura di reclamo-mediazione.

1) Nuovo processo tributario: il contraddittorio nell’accertamento con adesione

La procedura di accertamento è sempre documentata mediante un processo verbale dal quale è possibile rilevare le ispezioni e le rivelazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente e le risposte ricevute.

Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta, ovvero deve indicare il motivo della mancata sottoscrizione. 

Il contribuente ha diritto di avere copia (art. 52, 6° comma, del d.p.r. 26.10.1972, n. 633). 

Come regola generale l’art. 24 della l. 7.1.1929, n. 4 dispone che “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”.

E’ indubbio che nel corso della verifica vengono chiesti chiarimenti e fornite delucidazioni al fine di definire in maniera esatta le contestazioni, ovvero di evitare di sollevare problematiche che appesantiscono la procedura.

Le osservazione e i rilievi del contribuente (e del professionista che eventualmente lo assiste) devono emergere nel processo verbale delle operazioni di verifica (art. 12, comma 4, della l. 27.7.2000, n. 212).

Soltanto l’art. 5-ter del d.lgs. 19.6.1997, n. 248, dispone che fuori del caso in cui è stata rilasciata copia del processo verbale di constatazione, prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio notifica l’invito a comparire per l‘avvio del procedimento di definizione dell’accertamento. 

Tuttavia, la comparizione è una facoltà del contribuente. 

Ma va tenuto in debito conto che:

  1. nel caso di mancata adesione, “l’avviso di accertamento è specificatamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio” (comma 3);
  2. nel casi “di particolare urgenza, specificatamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l’ufficio può notificare direttamente l’avviso di accertamento “non preceduto dall’invito a comparire (comma 4); fuori tale ipotesi, il mancato avvio del contradditorio mediante il citato invito “comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato (comma 5);
  3. restano ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell’emissione di un avviso di accertamento (comma 6)

Ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 19.6.1997, n. 218, il contribuente, nei cui confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche ai sensi degli artt. 33 del d.p.r. 29.9.1973, n. 600, e 52 del d.p.r. 26.10.1972, n. 633, può chiedere all’ufficio dell’Agenzia delle entrate la formulazione di una proposta di accertamento con adesione, avviando l’instaurazione del contraddittorio evidenziando le proprie ragioni e osservazioni e verificando le argomentazioni contrarie dell’amministrazione, evitando di attivare la procedura contenziosa con il perfezionamento della sottoscrizione dell’atto e del pagamento delle somme dovute. 

Il termine per l’impugnazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall’invito di cui all’art. 5 è sospeso per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.

Qualora la procedura non si perfezioni, il contribuente che vuole insistere nelle proprie ragioni, deve impugnare l’atto impositivo avendo l’onere, però, di allegare la dimostrazione di essere stato parte dell’accertamento con adesione onde evitare che la Corte di giustizia di primo grado respinga il ricorso per tardività della sua proposizione.

E’ presumibile che anche tale documentazione verrà esaminata, sia pure in forma sommaria nel giudizio di primo grado per focalizzare la materia del contendere.

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2) Nuovo processo tributario: il ricorso-reclamo

Se la controversia è di valore non superiore a 50.000 euro in termini di imposte (ovvero di sanzioni se queste costituiscono l’unico addebito) si apre la procedura pre-contenziosa  che è parte integrante del processo tributario pur se la controversia è contenuta nell’ambito amministrativo, essendo assente ancora il coinvolgimento dell’organo  giudicante.

In questa fase il confronto è fatto tra il contribuente e la nuova controparte che rappresenta una sezione dell’ente impositore diversa da quella che ha  notificato l’atto impositivo e ha curato la fase dell’accertamento con adesione.

La procedura può dilungarsi al massimo per 90 giorni dalla data di notifica, ma se l’esito è ritenuto insoddisfacente il contribuente ha l’onere di costituirsi in giudizio entro il 30° giorno  successivo.

La verifica della proposta conciliativa

L’organo giudicante è chiamato a svolgere un’attività istruttoria sommaria limitandosi a verificare:

  • il contenuto del ricorso, 
  • la procura conferita al difensore, 
  • la regolarità delle notifiche, 
  • la tempestività dell’impugnazione e della costituzione in giudizio 
  • nonché la produzione di documenti e motivi aggiunti e il deposito di documenti e memorie.

Tuttavia, secondo l’art. 15, comma 2-octies, il potere istruttorio si allarga in materia di spese processuali poiché la Corte di giustizia tributaria (e non soltanto una delle parti) ha il potere di formulare autonomamente una proposta conciliativa nel corso del processo. 

Se questa non è “accettata dall’altra parte senza giustificato motivo”, le spese del giudizio restano a carico di quest’ultima “maggiorate del 50%, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata”.

In altri termini, l’esame preliminare della controversia può generare una proposta conciliativa senza dover consultare preventivamente le parti ma dovendo constatare le presenza o meno della condizione di “senza giustificato motivo”. 

Quindi, dal punto di vista procedurale, la parte interessata ha l’onere di depositare una memoria che sia idonea a confutare la proposta conciliativa ricevuta adducendo prove e argomenti idonei a dimostrare il “giustificato morivo” del rifiuto onde evitare la penalizzazione delle spese di giudizio

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3) Nuovo processo tributario: la prova testimoniale

L’art. 17, comma 4, non ammette il giuramento. 

Tuttavia, anche senza l’accordo delle parti, se la Corte di giustizia  tributaria lo ritiene necessario ai fini della decisione, è ammessa la prova testimoniale, assunta con le forme previste dall’art. 257-bis c.p.c., anche in assenza del fatto che la pretesa fiscale sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso. Il legislatore ha precisato che la procedura istruttoria “è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate da pubblico ufficiale”.

Va ricordato (Corte di cassazione, ordinanza 4.11.2021, n. 31588) che “le dichiarazioni di terzi sono ammissibili e utilizzabili nel rapporto processuale  tributario, nel rispetto dell’art.  6 CEDU (Cass. Sez. 6-5, ordinanza n. 6616 del 16.3.2018) con riferimento alle sanzioni e in genere del principio di parità delle armi di cui alla Corte dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47, espressione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., ed hanno valore di elemento indiziario.

Tale elemento può essere fatto valere non solo dall’amministrazione con inserimento nel processo verbale di constatazione delle dichiarazioni raccolte in sede di verifica (Cass. Sez. 5, sentenza n. 7707 del 2013; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4746 del 26.10.2010), ma anche dal contribuente (Cass. sez. 5, ordinanza n. 3161 del 2012), il quale può anche loro tramite opporsi alle pretese dell’Agenzia, dovendone il giudice tributario tener conto in quanto parte del quadro indiziario complessivo (Cass. Sez. 5, sentenza n. 9958 del 16.4.2008). pertanto, nell’ambito processuale:

  • “la dichiarazione di terzo sostitutiva di atto notorio non è ammissibile alla prova testimoniale”;
  •  “in tema di prova per presunzioni semplici, valgono i medesimi criteri di cui all’art. 2729 c.c., e, pertanto, non è sufficiente il fatto che le dichiarazioni di terzo sostitutive di atto notorio prodotte nel processo siano plurime e di contenuto analogo (“concordanza”) perché l’indizio in esso contenuto assurga a prova critica, essendo necessario un approfondimento da parte del giudice circa la “precisione del fatto storico noto”.

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4) Nuovo processo tributario: l’onere della prova

Secondo il comma 5-bis dell’art. 7 “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”.

Va tenuto presente che il contribuente ricorre al processo tributario per impugnare e annullare l’atto impositivo per cui la norma precisa che il giudice “fonda la decisone sugli elementi di prova che emergono dal giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e le sanzioni”.

La norma, però, incontra le insidie della procedura di formalizzazione dell’atto impositivo nel quale vengono riassunti e documentati i rilievi già presenti nel processo verbale di constatazione e, magari, anche nella procedura di accertamento con adesione e di reclamo-mediazione.

La sentenza deve essere fondata sull’idoneità degli elementi di prova che sono indicati nell’atto impositivo il quale va annullato se la loro fondatezza è assente o se è contraddittoria o se è insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale e coerente con la normativa sostanziale, l‘oggettività della fondatezza della pretesa e dell’irrogazione delle sanzioni.

Nell’atto impositivo devono essere indicati i presupposti di fatto e di diritto della pretesa poiché in caso contrario il ricorso va accolto. Tuttavia, l’onere della prova è posto a carico del contribuente nei casi di presunzione ammessi dalla normativa (ad es., i movimenti bancari, ecc.).

All’inverso, se l’oggetto del contendere è un’istanza di rimborso, il contribuente ha l’onere di fornire le ragioni del proprio credito.

Questa regola si applica soltanto se l’azione è stata attivata al di fuori delle somme che sono state pagate in via provvisoria in pendenza del giudizio relativamente ad atti impositivi non definitivi ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. 29.9.1973, n. 602, e dell’art. 68 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546.

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5) Nuovo processo tributario: la proposta di conciliazione

Limitatamente alle controversie soggette al reclamo di cui all’art.17-bis, ove possibile, la Corte di giustizia tributaria “può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione”.

L’iniziativa, però, salvo eccezioni sarà difficilmente percorribile: se la procedura di reclamo-mediazione è stata infruttuosa, ben difficilmente l’iniziativa dell’organo giudicante andrà a buon fine poiché se la controversia è di facile e pronta soluzione essa è già cessata con l’atto di mediazione.

Il nuovo comma 9-bis dell’art. 17-bis responsabilizza il comportamento del funzionario dell’ente impositore.

Nel caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione formulata ai sensi del comma 5, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

La condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che immotivatamente ha rigettato o non accolto la proposta di mediazione.

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