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DETRAZIONE IVA FATTURE INESISTENTI

Detrazione Iva fatture inesistenti

Fatture per operazioni soggettivamente inesistenti: detrazione IVA e regola sull’onere della prova, il problema all'esame della Corte di Cassazione

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Con la sentenza n. 973 del 20 gennaio 2016 la Corte di Cassazione ha affrontato la tematica legata alla detrazione dell’IVA in seguito alla contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Come specificato dall’art. 1 del D. Lgs. 10 marzo 2000 n. 74: “Per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi:

  • a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte,
  • o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale,
  • ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi “.

L’ultima fattispecie a cui la norma fa riferimento è quella relativa, appunto, alle c.d. "fatture soggettivamente inesistenti", ovverosia a quei documenti fiscali emessi nei casi in cui l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi) è stata effettivamente posta in essere, ma uno dei soggetti indicati nel documento fiscale non è quello che realmente ha effettuato l’operazione.

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1) Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione

Nel caso esaminato dalla Corte, una società destinataria di fatture emesse da altro soggetto giuridico, qualificato come società “cartiera”, ha portato in detrazione l’IVA relativa ad operazioni fatturate da detto operatore, ritenute dall’Amministrazione finanziaria come “soggettivamente inesistenti”.

Al verificarsi di situazioni come quelle giudicate dalla Corte nella sentenza in commento, il percorso logico-giuridico indicato dalla Cassazione è quello riscontrabile in giurisprudenza comunitaria[1].

Nello specifico il giudice comunitario ha stabilito che “va negato il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte”.

Come evidenziato dai giudici di legittimità, la Corte di Giustizia UE ha inoltre affermato che è legittimo “esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione fiscale”, ma la diligenza esigibile dall’operatore dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie.

Quindi “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”.

Alla luce di tali considerazioni, muovendo dalla giurisprudenza comunitaria testè citata e rifacendosi a pregresso percorso giurisprudenziale di legittimità[2], la Corte di Cassazione ha chiarito che “qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni”.

La Cassazione in questa sentenza ha inoltre specificato che l’onere probatorio richiesto all’Amministrazione finanziaria non può essere circoscritto alla sola consapevolezza della fittizietà dell’operazione, essendo sufficiente dimostrare che il contribuente avrebbe dovuto essere a conoscenza di tale fittizietà, adoperandosi con la diligenza esigibile in tale contesto.

Con esplicito riguardo al concetto di diligenza e come ricordato in altra sentenza della Cassazione[3] (riportando sempre quanto affermato dal giudice comunitario), sebbene ci si aspetti che, qualora sussistano indizi di irregolarità o di evasione, un operatore accorto prenda informazioni (secondo le circostanze del caso di specie) sugli operatori con cui intende avviare una transazione commerciale al fine di sincerarsi della loro affidabilità, di contro “l’amministrazione finanziaria non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione IVA, da un lato – al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte – verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o, dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo. Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità ed evasioni in materia di IVA nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni”.

In dottrina questo concetto è stato recentemente riassunto nel documento datato 15 giugno 2015, intitolato “Operazioni IVA soggettivamente inesistenti. Ripartizione dell’ordine probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente e conseguenze ai fini delle Imposte Dirette”, scaturito dal confronto tra il Comitato Scientifico della Fondazione Nazionale dei Commercialisti e la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.

Sul punto poc’anzi rappresentato, viene affermato che non si può esigere dal contribuente una diligenza non misurata sugli ordinari canoni della prassi commerciale. Sarebbe come trasferire in toto all’operatore la funzione ispettiva riservata alle autorità fiscali.

Ciò nonostante, prosegue il documento in parola, la Corte del Lussemburgo attribuisce al contribuente un dovere di diligenza fiscale, un ruolo attivo nel dispositivo di contrasto alle frodi: non possono riconoscersi tutele all’operatore sprovveduto che non ha adottato le misure ragionevoli richieste da una normale ratio commerciale.

-------------------

[1] Cfr. Corte di Giustizia UE 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e 142/11.

[2] Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 23560 del 20.12.2012.

[3] Cit. Corte di Cassazione, sentenza n. 23560 del 20.12.2012

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