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LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING

La disciplina del contratto di franchising

Le garanzie per le imprese affiliate nel contratto di franchising secondo la legge 129 del 2004

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La Legge n° 129 del 2004, intitolata “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”, il nostro paese ha introdotto, alcuni anni fa, la disciplina legale del contratto di franchising. Questo contratto fra imprese, nato nei paesi anglosassoni e che si è diffuso in Italia a partire dagli anni settanta ed ha conosciuto spesso tassi di crescita a due cifre negli ultimi venti anni, prima non era regolato dalla legge e veniva quindi qualificato come contratto atipico, non essendo previsto dal Codice Civile o dalle leggi speciali, ma prodotto dall’autonomia privata, mentre adesso è un contratto “tipico” essendo previsto e regolato dalla legge citata.


La situazione di vuoto normativo precedente alla Legge 129/2004 si rifletteva su tutte le attività economiche regolate da questo contratto dando luogo ad una disparità fortissima dei trattamenti delle imprese affiliate che godevano di poche garanzie che non fossero quelle concesse dalle imprese affilianti, queste ultime di solito di dimensioni molto maggiori e con un potere contrattuale di gran lunga superiore. Infatti, prima della Legge 129/2004, l’unica normativa su questo contratto era quella dettata dal Regolamento CEE n° 4087 del 1988 che ha terminato il suo periodo di validità in data 31 Dicembre 1999 ed è stato sostituito dal Regolamento CE n° 2790 del 1999 la cui validità è terminata il 31 Maggio 2010.

Essa però aveva un contenuto solo definitorio degli elementi del contratto (soprattutto la prima), in quanto il suo obbiettivo era quello di sottrarre gli accordi fra imprese contenuti nei contratti di franchising all’applicazione della normativa europea sulla tutela della concorrenza, in particolare dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE, in quanto tali accordi aumentano l’efficienza economica del sistema distributivo e producono vantaggi per i consumatori, in termini di minori costi e maggiore qualità dei prodotti, di maggior numero e migliore localizzazione dei punti vendita, ecc.

La Legge n° 129 del 2004 ha, pertanto, il chiaro obbiettivo di riequilibrare la disparità di potere contrattuale fra associante ed associato e di creare un sistema di garanzie e di tutele minime per quest’ultimo, pur garantendo un’ampia autonomia contrattuale alle parti.


Infine, dobbiamo notare che la Legge 129/2004 si applica a tutte e tre le tipologie di contratto di franchising individuate dagli studi di gestione aziendale:
1) il franchising di distribuzione che presuppone che l’affiliante abbia messo a punto e sperimentato tecniche e metodi commerciali costituenti il suo know-how, che egli cede all’affiliato dietro corrispettivo di un diritto di entrata (il c.d. fee o diritto di ingresso) e/o di canoni periodici (le c.d. royalties);
2) il franchising di servizi che è un sistema nel quale l’affiliato non vende alcun prodotto, ma offre la prestazione di servizi inventati, messi a punto e sperimentati dall’affiliante. Esso è diffuso nei settori della ristorazione, del turismo, degli istituti di bellezza, ecc.;
3) il franchising industriale, infine, che presuppone un rapporto fra due imprese industriali: la prima, affiliante, concede all’altra la licenza dei brevetti di fabbricazione ed i marchi, la seconda, l’affiliato, fabbrica e commercializza le merci.

Si tenga presente che questo fatto non era scontato, in quanto l’ultima tipologia di affiliazione commerciale è abbastanza diversa dalle prime due.


Inoltre, nell’economia aziendale si tende a distinguere l’associazione o affiliazione commerciale dal franchising vero e proprio, sulla base del grado di controllo che l’impresa affiliante (franchisor) ha sull’impresa affiliata (franchisee). Se l’affiliante ha sull’affiliato un controllo molto penetrante, sostanzialmente attraverso quello del magazzino e della fatturazione (e delle prenotazioni, nel turismo), si parla di franchising vero e proprio, se no si parla di affiliazione o associazione commerciale. Come vedremo tra poco, per la Legge 129/2004 questa differenza gestionale non ha importanza ed entrambi i fenomeni vengono chiamati, indifferentemente, affiliazione commerciale o franchising.

1) La disciplina legale del franchising

Esaminiamo ora gli aspetti salienti della disciplina legale del franchising.

L’articolo 1° della Legge 129/2004 definisce il contratto di franchising e cosa si intende per know-how, per diritto d’ingresso (o “initial fee” o “fee d’ingresso”, nella terminologia usata nella pratica, nel senso di somma pagata una tantum dall’affiliato all’affiliante come compenso per l’ingresso nella sua rete di franchising) e royalties.

L’art. 1°, al 1° comma, dispone infatti che “L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti (che sono sempre due imprese: l’affiliante od associante o franchisor e l’affiliato od associato o franchisee), in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”.

Pertanto, la finalità del contratto di franchising (la c.d. “causa” del contratto) è quella, per l’impresa affiliante (o franchisor), di costituire una rete distributiva (commerciale) dei suoi prodotti o servizi senza sostenere i costi, di gran lunga superiori, che le deriverebbero dalla creazione e gestione diretta di essa e, per l’impresa affiliata (o franchisee) quella di diminuire il suo rischio di impresa associandosi alla rete distributiva di un’impresa che ha già un marchio ed una marca noti sul mercato e può fornirle, oltre ai prodotti o servizi, formazione e conoscenze tecniche (il c.d. know – how, traducibile alla lettera in “sapere come” e, pertanto, “conoscenze tecniche”) che la mettano in grado di operare ed affermarsi in breve tempo sul mercato con un’attività economica che produca rapidamente un utile.


Il comma 2° dell’art. 1° stabilisce che “il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica” (nella pratica, la maggior parte delle reti di franchising opera nel settore dei servizi: turismo, distribuzione commerciale, ristorazione, servizi finanziari, agenzie immobiliari, ecc.).


Il comma 3° dell’art. 1° dispone poi che “nel contratto di affiliazione commerciale, si intende:

a) per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; intendendo per “segreto”, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per “sostanziale”, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita o la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per “individuato”, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità;


b) per diritto di ingresso (o “initial fee” o “fee di ingresso”), una cifra fissa (e, quindi, un pagamento una tantum e non periodico come quello di cui al punto successivo, che può essere corrisposto in unica soluzione od anche a rate) rapportata anche al valore economico ed alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale;


c) per royalties, una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del medesimo o in quota fissa da versarsi anche in quote fisse periodiche (la legge usa il termine “royalties” al plurale e non “royalty” al singolare perché questo è un pagamento periodico, di solito annuale o con cadenze inferiori all’anno);
d) per beni (o servizi, nella maggioranza dei casi) dell’affiliante, i beni (o servizi) prodotti dall’affiliante o secondo le sue istruzioni e contrassegnati dal nome (o dal marchio) dell’affiliante”.


Come si comprende facilmente, questa legge è stata la risposta del legislatore alla necessità di creare una disciplina ad hoc per un fenomeno economico in continua crescita, e soprattutto a quella di tutelare la parte più debole di questo rapporto che non può che essere il franchisee (o affiliato).

Proprio per quest’ultimo scopo il 1° comma dell’art. 4 della Legge 129/2004 stabilisce una serie di obblighi di informazione precontrattuale a carico dell’affiliante (o franchisor) nei rapporti col potenziale affiliato e, precisamente, che “almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l’affiliante deve consegnare all’aspirante affiliato una copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato dei seguenti allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza"  (secondo noi da esplicitare nel contratto, dato il tenore dell’art. 6), che comunque dovranno essere citati nel contratto:

a) i principali dati relativi all’affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell’aspirante affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni;
b) l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l’uso concreto del marchio;
c) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione commerciale (previsione, questa, molto blanda di obbligo informativo che non permette certo all’interessato di valutare appieno la validità e la convenienza dell’affiliazione, motivo per cui è consigliabile richiedere sempre di poter leggere e valutare con un congruo anticipo il contratto di franchising, i cui contenuti sono stabiliti con precisione dal comma 4° dell’art. 3 della Legge 129/2004, prima di firmarlo e di approfondire tutti i punti poco chiari di esso con i rappresentanti dell’impresa associante);
d) una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti (cioè di proprietà ed a gestione diretta) dell’affiliante;
e) l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa ubicazione di essi negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività dell’affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni;
f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali nei confronti dell’affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativi al sistema di affiliazione commerciale in esame, promossi sia da affiliati, sia da terzi privati o da Pubbliche Autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.”


Il comma 2° dell’art. 4 prevede che negli allegati di cui alle lettere d), e) ed f) del comma 1°, l’affiliante può limitarsi ad offrire le informazioni relative alle sole attività in franchising svolte in Italia e che un Decreto del Ministro delle Attività Produttive (già dell’Industria ed ora dello Sviluppo Economico) dovrà definire le informazioni che, in relazione alle predette lettere d), e) ed f), dovranno essere fornite dagli affiliati che in precedenza abbiano operato esclusivamente all’estero. Il Decreto Ministeriale in questione è quello n° 204 del 2 Settembre 2005 che prevede l’uso obbligatorio della lingua italiana nella documentazione che l’affiliante deve fornire all’aspirante affiliato e l’obbligo, per quest’ultimo, di utilizzare tale documentazione solo ai fini della valutazione dell’offerta di affiliazione, senza diffonderla in alcun modo.

L’art. 6, inoltre, fissando gli obblighi precontrattuali di comportamento stabilisce che entrambe parti non devono tenere per sé alcun tipo di informazione necessaria od utile per la stipulazione del contratto di franchising (commi 1° e 3°). In particolare l’affiliante o franchisor deve tenere nei confronti dell’aspirante affiliato un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede (la c.d. “buona fede oggettiva”), e lo stesso vale per l’affiliato, ma solo l’affiliante ha l’obbligo di motivare all’affiliato la mancata comunicazione delle informazioni e dei dati da questo richiesti (comma 2°).


L’art. 8 stabilisce la sanzione nel caso che una parte abbia fornito false informazioni all’altra. In questo caso l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 del Codice Civile (è l’annullamento del contratto per dolo, vale a dire del contratto che è stato concluso a causa dei raggiri operati da una parte a danno dell’altra), nonché il risarcimento del danno, se dovuto, cioè se queste false informazioni le hanno procurato un danno (è un caso di responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’art. 2043 e ss. c.c.).

Per quanto riguarda la forma ed il contenuto del contratto di franchising, l’art. 3, commi 1° e 2°, dispone che esso “deve essere redatto per iscritto a pena di nullità” e che, per poter costituire una nuova rete di affiliazione commerciale, l’affiliante deve aver testato sul mercato la sua formula commerciale (il disegno di legge originario prevedeva che questa sperimentazione avesse una durata minima di due anni con almeno due punti vendita, possibilmente in città diverse, ma questa previsione non è stata mantenuta nel testo definitivo della legge, forse perché troppo gravosa per gli affilianti, anche se molto garantista per gli affiliati).


Nel contratto di franchising l’affiliante che lo predispone deve indicare (art. 3, comma 4°):

a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso (il c.d. “initial fee” o “fee di ingresso”) che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso (fatturato) minimo da realizzare da parte dell’affiliato (è, quest’ultima, una clausola contrattuale a volte molto gravosa per gli affiliati);
c) l’ambito della eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione ai canali commerciali (per esempio, quello telematico via Internet) ed alle unità (punti) di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione all’affiliato;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.

Il limite di questa disciplina sta nel fatto che l’affiliato, che è quasi sempre il soggetto col minor potere contrattuale dato che di solito è un piccolo imprenditore che si associa alla rete commerciale di una grande o media impresa dal punto di vista dimensionale, non ha nessuna tutela contro clausole particolarmente gravose, in certi casi addirittura “vessatorie”, come quella prevista per il consumatore dagli artt. da 33 a 38 del “Codice del consumo”, contenuto nel Decreto Legislativo n° 208 del 2005. Pensiamo, per esempio, a quelle clausole, molto diffuse, che prevedono obbiettivi obbligatori di fatturato o di crescita dello stesso troppo difficili da raggiungere e su cui sono spesso calcolate le royalties annue che l’affiliato deve corrispondere all’affiliante.

Se il contratto è a tempo determinato, l’affiliante deve comunque garantire all’affiliato una durata minima di esso sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni, facendo salva, in ogni caso, la possibilità di risoluzione dello stesso per l’inadempimento di una delle due parti ai sensi degli artt. 1453 e ss. c.c. (art. 3, comma 3°).

Per quanto riguarda gli obblighi dell’affiliato (o franchisee), l’art. 5 prevede che l’affiliato non può trasferire la sede, qualora questa sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso dell’affiliante, se non per una causa di forza maggiore (comma 1°).
L’affiliato, inoltre, si impegna ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività (vale a dire, essenzialmente, al know-how) oggetto dell’affiliazione commerciale (comma 2°).

Per la gestione delle controversie che possono sorgere dal contratto di franchising, le parti possono convenire che, prima di adire l’Autorità Giudiziaria o ricorrere all’arbitrato, dovrà essere fatto un tentativo di mediazione finalizzato alla conciliazione della controversia presso la Camera di Commercio nel cui territorio ha sede l’affiliato (art. 9) o presso un altro organismo di mediazione. A questo procedimento si applica la disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali contenuta nel Decreto Legislativo n° 28 del 2010 e nel Decreto del Ministero della Giustizia n° 180 del 2010 e successive modifiche ed integrazioni.

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