Speciale Pubblicato il 25/10/2013

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Studi di Settore: come difendersi alla luce della piu’ recente giurisprudenza e prassi

di Dott. Giovanni Cataldi

L’articolo prende in esame la piu recente giurisprudenza e prassi indicando quali ragioni sono state ritenute valide, in sede di contraddittorio, per difendersi da un accertamento da studi di settore.



Gli Studi di settore sono uno strumento statistico-induttivo in grado di determinare il ricavo o il compenso che con la massima probabilità può attribuirsi a un contribuente in funzione dei dati contabili ed extracontabili che, unitamente ad alcuni fattori esterni quali la territorialità e la congiuntura economica, ne caratterizzano l’attività produttiva.
Negli ultimi anni lo strumento accertativo de quo è stato oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali e di prassi volti a rendere il risultato statistico ancor più confacente alla realtà scrutinata.

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La prassi e la giurisprudenza per difendersi dall'accertamento da studi di settore

In primis vanno rilevate, in quanto dirimenti ai fini della valenza probatoria, della centralità del contraddittorio e della suddivisione dell’onere della prova, le sentenze della Corte di Cassazione depositate il 18 dicembre 2009 le nn. 26635, 26236, 26637, 26638.
In quella sede i Massimi Giudici si sono espressi circa la necessità da parte dell’Amministrazione Finanziaria di supportare la non congruità derivante dall’applicazione degli studi di settore con ulteriori prove riferite specificatamente all’attività “monitorata”, non essendo sufficienti, allo scopo, elementi solo genericamente riferibili al contribuente. La Suprema Corte ha altresì rilevato la centralità del contraddittorio, che deve ritenersi un elemento essenziale ed imprescindibile del cosiddetto “giusto procedimento”, in grado di essere il mezzo più efficace per consentire di adeguare i dati statistici, elaborati dagli studi o parametri, alla concreta realtà monitorata. In altre parole, l’astrattezza dell’elaborazione derivante dagli strumenti “standardizzati”può essere efficacemente verificata e corretta nel contraddittorio preventivo. L’Agenzia delle Entrate, quindi, non può prescindere dal chiamare in contraddittorio il contribuente, pena la nullità dell’eventuale successivo atto accertativo (in ogni caso occorre considerare che “… in materia di contenzioso tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile, qualora venga proposta per la prima volta nelle successive fasi ….” Cfr. Cass. 37312 del 27 marzo 1993). In caso di mancata presenza del contribuente al contraddittorio l’ufficio impositore potrà, quale eccezione alla regola generale, motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione dei parametri o studi di settore.
La Suprema Corte si è espressa anche in relazione alla necessaria presenza di congrue motivazioni dell’atto di accertamento. Più in particolare, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilevo dello scostamento dal ricavo puntuale, ma deve essere integrata con le ragioni sollevate dall’Ufficio, in sede di contraddittorio, in risposta alle eventuali contestazioni sollevate dal contribuente. Tutto ciò e in linea con la citata insufficienza dei dati statistici espressi dagli studi, che possono essere validati solo attraverso una contrapposizione con il contribuente, il quale dovrà difendersi illustrando la reale situazione della propria attività.
L’Amministrazione Finanziaria ha avuto modo di recepire le indicazioni fornite dai Massimi Giudici. Invero con la circolare n. 19 /E del 14 aprile 2010 l’Agenzia delle Entrate accogliendo i rilievi mossi dai giudici di legittimità non ha mancato di pronunciarsi nel senso di “…riesaminare le controversie pendenti… ed abbandonare la pretesa tributaria in presenza di avvisi di accertamento basati sulle risultanze degli studi di settore, nei casi in cui non sia stata attivata la fase del contraddittorio…”.
Passando ad esaminare la cause giustificative da poter esperire in contraddittorio a difesa di una possibile inapplicabilità dello studio, assai frequenti sono i casi di situazioni contingenti “soggettive” attribuibili tanto al soggetto dell’imprenditore, quanto alla struttura imprenditoriale.
Con la sentenza del 28 dicembre 2011, la n. 29185, i giudici di legittimità si sono espressi nel senso di dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento basato sullo studio di settore nel caso in cui i soci di una società avessero dovuto interrompere temporaneamente l’attività a causa di un periodo di malattia. Riguardo alle possibili giustificazioni da esperire in riferimento alla struttura aziendale spesso si menziona l’assoluta “marginalità economica”. Esempi sono strutture locate in periferia ove l’elemento della territorialità non è in grado di identificare il luogo ove è locata l’attività d’impresa. In tal senso è opportuno menzionare la Corte di Cassazione del 12 febbraio 2013 la n. 3349 che “apertis verbis” chiarisce l’inapplicabilità dello studio in caso di “negozio piccolo ed in periferia”, ed in assenza di collaboratori.
Come notorio l’art. 62 sexies, comma tre D.L. n. 331 del 1993 sancisce espressamente che per l’applicabilità degli studi di settore deve verificarsi una “grave” incongruenza tra i ricavi ed i compensi dichiarati e quelli desumibili dallo studio.
Sul concetto di gravità hanno avuto modo di esprimersi i giudici di merito, confermando che la gravità sussisterebbe laddove si realizzasse uno scostamento superiore al 25% (Cfr. ex multis CTP di Milano, sentenza n. 60 del 29/08/2005).
Infine per completezza è opportuno rilevare l’assoluta applicabilità dello studio di settore più evoluto (ergo applicabilità retroattiva) in sostituzione di quello in vigore nel periodo immediatamente precedente, in particolare quando nel periodo considerato l’attività del contribuente è variata, pur nello stesso ambito, e la nuova formulazione risulti più coerente (Cfr. ex multis Cass. 11 settembre 2013, n. 20809).


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