La Corte di Cassazione si è espressa la scorsa settimana con la sentenza 1663 2020, sulla vertenza fra i ciclofattorini e l'impresa Foodora confermando la sentenza del tribunale di Torino che ha statuito l'obbligo di parificazione delle tutele per i lavoratori, inquadrati come autonomi dall'azienda, con quelle riservate al lavoro subordinato.
La Suprema Corte analizza l'evoluzione normativa ma anche socioeconomica che fa da sfondo a queste nuove attività.
Non concorda del tutto con le conclusioni della Corte di appello che aveva definito la forma delle collaborazioni descritta dal d.lgd 81 2015 una sorta di"terza specie" tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato .
Ricorda che " In attuazione della delega di cui alla legge n. 183 del 2014, cui sono seguiti i decreti delegati che vanno sotto il nome di Jobs Act, il legislatore dopo aver indicato nel lavoro subordinato a tempo indeterminato il modello di riferimento nella gestione dei rapporti di lavoro, ha infatti affrontato il tema del lavoro "flessibile" inteso come tale in relazione alla durata della prestazione (part-time e lavoro intermittente o a chiamata), alla durata del vincolo contrattuale (lavoro a termine), alla presenza di un intermediario (lavoro in somministrazione), al contenuto anche formativo dell'obbligo contrattuale (apprendistato), nonché all'assenza di un vincolo contrattuale (lavoro accessorio). Per quanto riguarda lo svolgimento del rapporto, il legislatore delegato ha poi introdotto un ulteriore incentivo indiretto alle assunzioni, innovando profondamente la disciplina delle mansioni attraverso l'art.3 d.lgs. n.81 del 2015, con la riformulazione dell'art. 2103 cod. civ.
La finalità complessiva degli interventi l'abolizione dei contratti di lavoro a progetto, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partite IVA e la disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente si collocano dunque nella medesima prospettiva.
È venuta meno, perciò, una normativa che, avendo previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle garanzie per il lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale più ampia che, come tale, comporta il rischio di abusi.
Quindi, dal 10 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente (art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015).
Il legislatore si è limitato a valorizzare taluni indici ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi
Detto questo, la Corte non considera necessario inquadrare la fattispecie "litigiosa" come invece ha fatto la Corte di appello di Torino, in un tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione, con la conseguente esigenza di selezionare la disciplina applicabile.
Più semplicemente, secondo la suprema Corte , al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie.
Il collegio sottolinea infine le motivazioni di questa impostazione, che intende"tutelare una posizione lavorativa più debole, per l'evidente asimmetria tra committente e lavoratore, con esigenza di un regime di tutela più forte, in funzione equilibratrice."