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LAVORARE NELL’IMPRESA FAMILIARE DEL CONVIVENTE DÀ DIRITTO AGLI UTILI

3 minuti, Redazione , 30/10/2017

Lavorare nell’impresa familiare del convivente dà diritto agli utili

Imputazione degli utili al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente nella Risoluzione dell'Agenzia

Ascolta la versione audio dell'articolo

Con la Risoluzione 134 qui allegata, l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sull'imputazione degli utili al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente.

Il quesito posto con l’istanza di interpello riguarda il corretto trattamento fiscale della quota che l’istante intenderebbe imputare, a titolo di partecipazione agli utili ed a decorrere dal 2017, alla convivente di fatto.
Si ricorda che la legge 20 maggio 2016, n. 76  Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e disciplinato il regime delle convivenze di fatto, definendole come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (art. 1, comma 36).

La citata legge (c.d. Legge Cirinnà) ha apprestato forme di tutela differenziate tra le parti dell’unione civile ed i conviventi, estendendo solo alle prime “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti….contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi nonché nei contratti collettivi”.

La Legge Cirinnà è intervenuta altresì sulla disciplina dell’impresa familiare:

  • estendendo alle unioni civili la disciplina civilistica dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del c.c.;
  • introducendo nel codice civile l’articolo 230-ter, rubricato “Diritti del convivente” contenente la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente more uxorio.

Come chiarito nella Risoluzione, quest'ultima norma riconosce “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente…il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato”.
Elementi costitutivi della fattispecie delineata dall’art. 230-ter del c.c. sono:
a) il rapporto di convivenza;

b) lo svolgimento stabile di prestazioni di lavoro;

c) l’esistenza di un’impresa cui risulti connessa la prestazione lavorativa.
La disciplina recata dall’art. 230-ter c.c. è una disciplina residuale, applicabile solo laddove non sia configurabile tra i conviventi un diverso rapporto, “di società o di lavoro subordinato”.
Il regime tributario dell’impresa familiare è regolato dal comma 4 dell’articolo 5 del TUIR, recante la disciplina fiscale dei redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile. La citata norma stabilisce che tali redditi siano imputati, “limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore…a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”. Detta imputazione proporzionale non può superare complessivamente il 49% dell’ammontare del reddito risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore ed è subordinata al rispetto delle condizioni elencate alle lettere a), b) e c) del comma 4 della
medesima norma. L’imputazione proporzionale con il limite del 49% presuppone a sua volta la partecipazione all’impresa di un soggetto avente lo status
di ‘familiare’, ovvero “il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado” (comma 5).
Il comma 4 dell’articolo 5 del Tuir richiama solo l’articolo 230-bis del codice civile e la disciplina autonoma della collaborazione del convivente di fatto contenuta nel successivo articolo 230-ter cc sembrerebbe escludere l’applicazione a tale ultimo istituto della norma fiscale richiamata.
Tuttavia, il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare”, contenuto nello stesso articolo 230-ter cc, consente di estendere a tale fattispecie i principi generali che presiedono all’imputazione dei redditi prodotti dall’impresa familiare come regolati dall’articolo 5 del Tuir, e di attribuire, conseguentemente, il reddito spettante alla convivente di fatto, derivante dalla partecipazione agli utili dell’impresa dell’altro, in proporzione alla sua quota di partecipazione.

Segui tutti gli approfondimento sul dossier Unioni Civili e Convivenze di fatto

Allegato

Risoluzione 134 del 26.10.2017

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