La Corte Costituzionale, con sentenza n. 213 depositata il 23 settembre 2016, ha riconosciuto la illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della l. 104/1992, c.d. (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), per violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
Secondo la Corte Costituzionale è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità. L’art. 3 Cost. , afferma la Consulta, va invocato non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente, ma per la contraddittorietà logica della esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile. E ciò in particolare – ma non solo – nei casi in cui la convivenza si fondi su una relazione affettiva, tipica del “rapporto familiare”, nell’ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle “aggregazioni” cui fa riferimento l’art. 2 Cost.. E’ ovvio, ritiene la Corte che esiste la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale; ma in questo caso l’elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave, nella sua accezione più ampia, collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.