Con l’ordinanza n. 28212 del 23 ottobre 2025 (udienza del 16 settembre 2025), la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro Civile ha chiarito un principio di rilievo in materia di indennità di accompagnamento: anche la supervisione continua nella deambulazione può integrare il requisito dell’“impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore”, previsto dalla legge n. 18/1980 e dalla legge n. 508/1988.
La pronuncia rappresenta un importante passo interpretativo nel riconoscimento dei diritti delle persone con invalidità civile, evidenziando che il diritto all’indennità non dipende solo dalla totale incapacità fisica di muoversi, ma anche dalla necessità di una costante assistenza o vigilanza per svolgere attività di base in sicurezza.
Il principio rafforza l’orientamento giurisprudenziale volto a valorizzare la condizione reale di non autosufficienza e tutela della persona, superando interpretazioni eccessivamente restrittive delle norme assistenziali.
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1) Il caso: invalidità e aiuto alla deambulazione
Il procedimento trae origine da un ricorso proposto davanti al Tribunale di Macerata da un cittadino che chiedeva il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, sostenendo di non essere più in grado di deambulare autonomamente a causa di gravi limitazioni fisiche.
La prima decisione del tribunale aveva rigettato la domanda, ma la Cassazione, con una precedente ordinanza n. 16611 del 25 giugno 2018, aveva annullato quella pronuncia per vizi di motivazione e rinviato la causa a un diverso magistrato.
Nel giudizio di rinvio, il Tribunale di Macerata, con sentenza n. 176/2021, aveva riconosciuto il diritto del ricorrente all’indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1° novembre 2014 sino alla data del decesso, disponendo il pagamento delle somme dovute agli eredi.
L’INPS aveva proposto nuovo ricorso per cassazione, sostenendo che la condizione di “deambulazione con appoggio e supervisione continua” non potesse essere equiparata alla “necessità di aiuto permanente”, come richiesto dalla norma.
La documentazione medica allegata descriveva però un quadro clinico con “andatura a piccoli passi, rischio elevato di cadute e necessità di aiuto o supervisione in tutti gli spostamenti”. Tale descrizione, dimostra una dipendenza costante dall’assistenza di terzi, anche quando l’intervento dell’accompagnatore non è fisicamente continuo ma richiede una vigilanza permanente.
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2) Le decisioni di merito e di Cassazione: supervisione equivale ad aiuto
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28212/2025, ha accolto il ricorso degli eredi, ritenendo errata la decisione del giudice di merito.
Secondo la Suprema Corte, la valutazione del Tribunale aveva escluso ingiustificatamente il requisito previsto dall’art. 1 della legge n. 18/1980, poiché la necessità di “supervisione continua” implica l’impossibilità di deambulare in modo autonomo e sicuro. Tale condizione deve quindi essere considerata alla stregua dell’“aiuto permanente” richiesto dalla norma.
Il collegio ha osservato che la supervisione costante da parte di un accompagnatore non costituisce una forma episodica di assistenza, ma una vera e propria esigenza permanente che limita l’autonomia del soggetto. Pertanto, anche in assenza di un contatto fisico continuo, la persona che non può spostarsi senza vigilanza rientra pienamente nel perimetro della tutela assistenziale prevista per gli invalidi civili.
La Corte ha inoltre precisato che la residua autonomia funzionale – ad esempio valutata tramite la scala di Barthel – non può essere utilizzata per escludere il diritto alla prestazione, poiché tale parametro attiene al diverso requisito dell’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita.
La decisione finale dispone la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, demandando al Tribunale di Macerata, in persona di un diverso magistrato, il riesame della causa e la liquidazione delle spese processuali.
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