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ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE E LAVORO SUBORDINATO

Associazione in partecipazione e lavoro subordinato

L'associazione in partecipazione deve risultare da un accordo tra datore di lavoro e lavoratore - Cass. lavoro sentenza n. 9032 del 07.4. 2017

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L'elemento differenziale tra il contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa e di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l'apporto della prestazione lavorativa da parte dell'associato e l'espletamento di analoga prestazione lavorativa da parte di un lavoratore subordinato. Questo il principio riaffermato dalla Cassazione nella sentenza n. 9032 del 7.4.2017.


IL CASO
Una società subiva l'accertamento da parte dell' Inps  per omessi contributi previdenziali per due lavoratrici che a detta della società erano associate in partecipazione con apporto di lavoro, mentre   secondo l'INPS , erano lavoratrici  subordinate dipendenti dell'azienda. 

La Corte d'Appello, accogliendo l'appello proposto dall'INPS ed in riforma della sentenza del tribunale di Ancona, respingeva l'opposizione della società .
A fondamento della decisione la Corte sosteneva che sull'onere della prova rispetto all'alternativa dedotta in causa tra sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o di una associazione in partecipazione, fosse da decidere secondo l'unica soluzione logicamente praticabile:   ossia il rapporto di lavoro subordinato risultava del tutto naturale e rispondente alle esigenze economiche ed organizzative  per la gestione di un negozio di vendita al minuto, da parte di un datore per lavoratori che nel negozio provvedevano alle operazioni di vendita ed alle attività accessorie come commessi.

 Inoltre la società non aveva provato da parte sua né dedotto alcun elemento del preteso rapporto di lavoro come associazione in partecipazione;  era risultato inoltre che  ciascuna lavoratrice aveva invece lavorato secondo le caratteristiche del lavoro subordinato senza che vi fosse prova  di un 'accordo intervenuto secondo lo schema dell'associazione in partecipazione.
La società ha proposto ricorso per cassazione che i giudici hanno rigettato  affermando che, in realtà, lo schema del lavoro subordinato era logicamente configurabile alla luce  del tipo di lavoro espletato dalle due lavoratrici, come commesse, che nel negozio provvedevano alle operazioni di vendita ed attività accessorie a fronte di una retribuzione.

In ogni caso, sulla natura del rapporto e sulla corretta gestione dell'onere della prova, la sentenza va esaminata alla luce di tutte le affermazioni in essa contenute; infatti secondo la Corte:
"ciascun lavoratore aveva lavorato senza che la prestazione fosse predeterminata e quindi deve ritenersi seguendo un orario e direttive ad esso impartite volta per volta",
era stato pure "retribuito senza che la retribuzione avesse il benché minimo riferimento ad una partecipazione agli utili o a qualsiasi elemento economico dipendente delle vicende imprenditoriali, bensì con erogazioni periodiche e, deve presumersi, corrispondenti alla attività lavorativa prestata, e non alla fantomatica associazione in partecipazione."
 

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1) Contratto di associazione in partecipazione e contratto di lavoro subordinato

In tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa , l’art. 2549 c.c., prevede che con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Il sinallagma è costituito dalla partecipazione agli utili (e quindi al rischio d'impresa, di norma esteso anche alla partecipazione alle perdite) a fronte di un "determinato apporto" dell'associato, che può consistere anche nella prestazione lavorativa del medesimo. In tal caso l'associato che offre la propria prestazione lavorativa,  si inserisce nell'assetto organizzativo aziendale e quindi - essendo la gestione dell'impresa nella disponibilità dell'assodante (art. 2552, comma 1, c.c.) - si sottopone al potere direttivo di quest'ultimo. E' ben possibile  che l'espletamento della prestazione lavorativa assuma caratteri in tutto simili a quelli della prestazione lavorativa svolta nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato.

Ed allora l'elemento differenziale  risiede essenzialmente nel contesto regolamentare pattizio in cui si inseriscono le prestazioni lavorative . Tale accertamento implica necessariamente una valutazione complessiva e comparativa dell'assetto negoziale, quale voluto dalle parti e quale in concreto posto in essere. 

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