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REATI FISCALI: I RESPONSABILI E LE PENE ACCESSORIE

Reati fiscali: i responsabili e le pene accessorie

Responsabilità in materia di reati fiscali e pene previste con analisi degli orientamenti giurispurdenziali aggiornati

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In tema di reati fiscali,  relativamente alle persone giuridiche, l'individuazione  dei soggetti penalmente responsabili diventa più  ardua, vista l'esistenza, all'interno di tali tipologie di società (in particolare quelle più rilevanti e complesse), di una pluralità di "organi collegiali" deputati ad occuparsi di :

  • politica societaria (assemblea),
  • amministrazione e gestione (consiglio di amministrazione) e
  • controllo (collegio sindacale).


In generale, dottrina e giurisprudenza (Cass., Sez. III pen., 14 dicembre 1989; Trib. di Torino, 31 ottobre 1986  Cass., Sez. III pen., 11 marzo 1987; Cass., Sez. III pen., 9 dicembre 1985.44) hanno rivolto l'attenzione nei confronti dell'amministratore (unico o delegato) dotato di "poteri e responsabilità, tra cui, sotto il profilo fiscale, quello di predisporre la dichiarazione dei redditi, come rappresentante dell'ente", senza così fare "ricorso alla disciplina sul concorso eventuale".

Ed un esplicito richiamo all'amministratore, quale soggetto attivo dei delitti dichiarativi tributari, è contenuto nell'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 74/2000, laddove è specificato che "per 'dichiarazioni' si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore ... di società, enti o persone fisiche".
Occorre evidenziare inoltre che, nel settore tributario penale, può essere chiamato a rispondere dei delitti dichiarativi, oltre a quelli istituzionalmente qualificati,  la figura del cosiddetto amministratore di fatto, che tra l'altro trova uno specifico richiamo normativo agli artt. 8, comma 4 , e 42 del D.P.R. n. 600/1973, e all'art. 37 del D.P.R. n. 633/1972 .
Sia in dottrina che in giurisprudenza si è concordi nell'includere l'amministratore di fatto tra i soggetti attivi dei delitti dichiarativi (a titolo diretto o concorsuale), in considerazione del fatto che "il carattere prettamente effettuale dell'imputazione penale impone di prendere in considerazione la situazione reale piuttosto che le mere etichette formali" (...)

Ai fini della corretta individuazione dell’amministratore di fatto di una società, è necessario l’accertamento del suo inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società. Ciò vale anche in relazione agli aspetti meramente “amministrativi”.

Quanto esposto coinvolge anche al figura del  mero prestanome; se da una parte la giurisprudenza ritiene estensibile la responsabilità penale in capo all’amministratore di fatto, dall’altra non esclude la responsabilità concorsuale del prestanome quando ne venga provato un qualche coinvolgimento nell’azione criminosa. Difatti, la Suprema Corte con la sentenza 20286/2012, ha chiarito che il rappresentante legale di una società, che si dichiara essere mero prestanome, risponde del delitto di omessa dichiarazione, nel caso venga dimostrata la sua partecipazione attiva alla gestione della società, pur se la stessa è diretta di fatto da un altro imprenditore.

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Per approfondire scarica il Commento "Reati fiscali, ok all’applicazione delle pene accessorie" con sentenza integrale 

 

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1) Pene accessorie nei reati fiscali : orientamenti giurisprudenziali

Come noto l'art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 stabilisce che la condanna per taluno dei delitti dichiarativi tributari previsti dal D.Lgs. medesimo,  comporta le seguenti pene :

  1.  l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
  2.  l'incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni;
  3.  l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
  4.  l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di Commissione tributaria;
  5.  la pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 36 del codice penale.

Il comma 2, inoltre, precisa che la condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000  importa altresì l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3 e 8, comma 3, del D.Lgs. n. 74/2000.

Si tratta di pene che assolvono a una funzione sanzionatoria non esclusivamente retributiva, ma altresì, se non essenzialmente, preventiva, anche nell'ottica di una tutela dei terzi, sancendo la perdita di "requisiti di onorabilità" richiesti "per lo svolgimento di attività o funzioni che presuppongono un habitus di correttezza nei rapporti con il fisco (rappresentanza e assistenza in materia tributaria, partecipazioni a commissioni tributarie, contrattazione con la pubblica amministrazione, pubblici uffici), o che offrono comunque 'istituzionalmente' occasioni per reiterare la condotta criminosa (uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese)" .

L'art. 12 del D.Lgs. n. 74/2000 è considerato un sistema sanzionatorio autonomo ed autosufficiente che ha in sé recepito anche il complesso delle pene accessorie comuni che il legislatore ha inteso applicare alla materia penale tributaria, con conseguente impossibilità di applicazione delle ulteriori pene accessorie comuni presenti nel codice penale (ad esempio, interdizione da una professione o un'arte).
In ordine alla durata delle pene accessorie, l’art. 37 c.p. stabilisce che, salvo che la legge non determini espressamente la durata della pena accessoria, si applica il principio della equivalenza nella commisurazione della pena principale e di quella accessoria. Tale regola, apparentemente chiara, ha dato adito a dubbi interpretativi in ordine alla individuazione dei casi nei quali è la legge stessa a determinare la durata della pena accessoria con conseguente inapplicabilità del criterio del parallelismo temporale.
Nessuna incertezza sussiste allorché la durata delle pene accessorie sia espressamente determinata in misura fissa. Parimenti, non opera l'art. 37 nelle ipotesi in cui la pena accessoria sia determinata in misura proporzionale rispetto alla pena principale - ad esempio l'art. 34 in ordine alla sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori - la quale va commisurata ad un periodo di tempo doppio rispetto alla pena inflitta.

Questioni problematiche si pongono, invece, nelle ipotesi in cui la legge si limita a determinare il minimo e il massimo edittale della pena accessoria, ovvero solo il minimo o il massimo, come avviene per i reati fiscali.
L'orientamento prevalente della dottrina ritiene che, in queste ipotesi, la durata della pena accessoria non possa considerarsi espressamente determinata,  con conseguente applicazione del principio di equivalenza temporale tra sanzione principale ed accessoria.
La questione è molto dibattuta in giurisprudenza e, anche di recente, ha dato luogo a pronunce dal contenuto opposto. (..)

Con la sentenza della Corte di cassazione n. 29397/2016 si consolida l'orientamento secondo cui le pene accessorie stabilite per i reati tributari rientrano nel novero di pena accessoria non espressamente determinata dalla legge, con la conseguenza che è il giudice a doverne stabilire, nella pronuncia della sentenza di condanna, la relativa durata; peraltro, alla luce di quanto dispone l'art. 37 c.p., la durata di tali pene va parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta, rispetto alla quale la pena accessoria deve avere la medesima durata.

Va infine precisato che, la pena principale inflitta può anche essere pecuniaria, come si ricava dall'espresso riferimento contenuto nell'art. 37 alla «pena principale inflitta o che dovrebbe scontarsi nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato».
Peraltro, quando la sanzione principale comporti una condanna sia alla pena detentiva sia a quella pecuniaria, occorrerà sommare anche quest'ultima - previa conversione ideale ex art. 135, ai fini della determinazione in concreto della durata della sanzione accessoria ( C., Sez. VI, 17.10.1978; C., Sez. VI, 2.3.1967; C., Sez. III, 21.11.1966).
L'applicazione di una pena accessoria extra o contra legem da parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione, purché essa sia determinata per legge (o determinabile, senza alcuna discrezionalità) nella specie e nella durata, e non derivi da un errore valutativo del giudice della cognizione (C., S.U., 27.11.2014-12.2.2015, n. 6240).

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