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LE SOCIETÀ DI COMODO: UNA SINTESI PER CAPIRE DI CHE COSA SI TRATTA

Le società di comodo: una sintesi per capire di che cosa si tratta

Il Fisco ha introdotto un sistema di norme apposito per contrastare l’utilizzo delle cosiddette società di comodo per ostacolare e impedire la consolidata abitudine adottata da molti contribuenti, che per ottenere significativi risparmi d’imposta, utilizzavano impropriamente la struttura fiscale delle società commerciali.

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Fino all’anno 1994 era infatti possibile utilizzare, senza alcuna limitazione, i vantaggi di un sistema fiscale pensato per l’esercizio dell’attività d’impresa anche quando si trattava di un mero godimento di beni: ad esempio se una persona fisica voleva acquistare un immobile industriale allo scopo di mero di investimento, risultava più conveniente non effettuare l’acquisto diretto ma acquisire il bene a nome di una società magari appositamente costituita, in modo da permettere non solo il recupero dell’iva sull’acquisto ma anche di trattare eventuali affitti come provento commerciale e recuperarne così i costi inerenti quali ammortamenti, oneri finanziari e i costi di gestione.
Il vantaggio era forte considerato che la stessa persona fisica oltre a subire per intero il peso dell’iva non recuperata avrebbe pagato le imposte sul valore lordo degli affitti al netto di un abbattimento forfettario!
Questa situazione oggi non è più possibile essendo stato posto un sistema di regole che limita o annulla, con finalità chiaramente antielusiva, l’utilizzo improprio di società commerciali; tale sistema viene denominato disciplina sulle società di comodo ed è stato introdotto dalla L. 724 del 1994 e successivamente oggetto di ripetute modifiche da ultime la legge finanziaria 2007 e la legge finanziaria 2008.

1) Quali sono i soggetti interessati alla normativa delle società di comodo


Per essere considerati come potenzialmente “di comodo” e dunque perché sia applicabile la specifica disciplina la società deve essere rientrare tra uno dei seguenti tipi :
• società per azioni,
• società in accomandita per azioni,
• società a responsabilità limitata,
• società in nome collettivo,
• società in accomandita semplice e società ad esse equiparate ai sensi dell’art. 5 del t.u.i.r.
• società ed enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nello stato italiano

Sono invece esclusi dall’applicazione delle norme , in quanto non richiamati in essa:
• società cooperative e di mutua assicurazione;
• enti commerciali e non commerciali residenti nello stato italiano;
• società consortili;
• società ed enti non residenti, privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Dunque perché si ricada nella disciplina più rigida della società di comodo la società non deve essere tra i tipi che si considerano esclusi di diritto; sono poi previste alcune ulteriori cause automatiche di esclusione che tengono conto di una ampia casistica in cui evidentemente si può difficilmente supporre la motivazione elusiva.

Si tratta di :
• soggetti obbligati a costituirsi con la forma giuridica della società di capitali;
• soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta;
• società in amministrazione controllata o straordinaria;
• società ed enti che controllano società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri nonché le stesse società ed enti quotati e le società da essi controllate, anche indirettamente;
• società esercenti pubblici servizi di trasporto;
• società con un numero di soci non inferiore a 50;
• società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore a 10 unità;
• società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa e in concordato preventivo;
• società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione superiore al totale attivo dello stato patrimoniale;
• società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale;
• società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore.

2) Che cos'è il test di operatività

Le società potenzialmente assoggettabili alla disciplina delle società di comodo sono obbligate ad eseguire il c.d. test di operatività, con il quale si determina se la società è di comodo o meno.

Si tratta di una verifica dell’operatività della società con la quale si mette a confronto:
• la media dei proventi effettivi conseguiti nell’esercizio e nei due anni precedenti;
• l’importo risultante dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dalla norma ai beni presenti nell’attivo patrimoniale

L’ammontare dei proventi effettivi è dato prendendo in considerazione i seguenti elementi:
• i ricavi indicati alle voci A1 e A5 del conto economico;
• gli incrementi di rimanenze costituiti dalle variazioni positive delle voci A2, A3 e B11;
• i proventi indicati alle voci C15 e C16, escludendo i proventi straordinari.

Una volta determinato l’ammontare dei ricavi effettivi del triennio, occorre individuare i beni dell’attivo patrimoniale posseduti nell’esercizio, in base al valore fiscalmente rilevante ai sensi dell’art. 110 del t.u.i.r., ed applicare agli stessi determinati coefficienti fissati per legge. Con tale operazione si determinerà un valore di ricavi presunti da attribuire alla società per il periodo di imposta.

I coefficienti da applicare sono :
• 2% del valore dei beni indicati all’art. 85 comma 1, lett. c), d) ed e) del tuir, aumentato del valore dei crediti
• 5% del valore degli immobili categoria A10
• 4% del valore degli immobili abitativi
• 6% del valore degli altri immobili e dei beni indicati nell’art. 8 bis, comma 1, lett. a) del d.p.r. 633/1972
• 1% del valore degli immobili di qualunque tipo ubicati in comuni con meno di 1.000 abitanti
• 15% del valore delle altre immobilizzazioni

Se il volume dei ricavi effettivi è inferiore a quello che risulta dall’individuazione dei ricavi minimi sia pure calcolati in modo presunto allora la società è considerata a tutti gli effetti di comodo con le conseguenze che vedremo.

3) Come si calcola il reddito delle società di comodo


In questo caso il reddito che essa è obbligata a dichiarare e su cui calcolare le imposte non è più quello risultante dalla contabilità ma ad essa viene attribuito un reddito minimo presunto, calcolato applicando le seguenti percentuali ( diverse rispetto ai coefficienti utilizzati per il test di operatività ) ai beni dell’attivo patrimoniale posseduti nell’esercizio:

• 1,5% del valore dei beni indicati all’art. 85 comma 1, lett. c), d) ed e) del tuir, aumentato del valore dei crediti
• 3% dei beni immobili a destinazione abitativa
• 4% dei beni immobili categoria catastale A10
• 4,75% del valore degli altri immobili e dei beni indicati nell’art. 8 bis, comma 1, lett. a) del d.p.r. 633/1972
• 0,9% del valore degli Immobili di qualunque tipo ubicati in comuni con meno di 1.000 abitanti
• 12% del valore delle altre immobilizzazioni
In pratica il reddito minimo sarà dato dalla somma di dei valori ottenuti applicando le percentuali di calcolo.

4) Effetti fiscali della non operatività


Un primo effetto come visto è quello ai fini Ires/Irpef per cui società che, dopo la verifica del test di operatività, risulti di comodo, deve determinare le imposte sulla base di un reddito che non può essere inferiore al minimo presunto. Anche il riporto delle perdite subisce pesanti limitazioni.

Anche ai fini dell’ Irap per la società che risulta non operativa la base imponibile è presunta e deve essere almeno pari al reddito minimo determinato ai fini delle imposte dirette, aumentato dei componenti indeducibili ai fini Irap, quali: retribuzioni sostenute per il personale dipendente, compensi spettanti ai collaboratori coordinati e continuativi, compensi per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, interessi passivi.

Da ultimo ai fini Iva, l’eventuale credito risultante dalla dichiarazione presentata dal soggetto di comodo se pure non viene immediatamente “perso” può essere solo riportato nei periodi successivi e non può essere né rimborsato, né utilizzato in compensazione né ceduto a terzi.
Se poi per tre periodi d’imposta consecutivi la società risulta di comodo essa perde del tutto il credito Iva risultante dalla dichiarazione Iva del terzo anno non essendo nemmeno più possibile il riporto nei periodi successivi.
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