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NUOVO CONTENZIOSO A RISCHIO PER LE CARTELLE DI PAGAMENTO

Nuovo contenzioso a rischio per le cartelle di pagamento

Le novità sul contenzioso tributario e le cartelle di pagamento: cosa prevede la Riforma Fiscale in atto

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I decreti legislativi 30.12.2023, n. 219220, rendono ardua, se non impossibile, la difesa personale del contribuente se la pretesa del fisco è di valore, limitati alle sole imposte, non superiore a 3.000 euro.

1) La soppressione del reclamo-mediazione

Fino al giorno 1.9.2024, è ancora possibile notificare il ricorso in forma cartacea, mediante consegna diretta o plico raccomandato con avviso di ricevimento. 

Tuttavia, va prestata attenzione al fatto che dal 4.1.2024 è stato abrogato l’istituto del reclamo-mediazione di cui all’art. 17-bis del d.lgs. 31.12.1992, n. 545, per cui entro 30 giorni va effettuato il deposito del fascicolo corrispondendo anche il contributo unificato (€ 30 se il valore della controversia non supera € 2.582,28 e € 60 se è superiore): mentre la procedura cancellata consentiva di operare un esame preventivo della durata di 90 giorni per esaminare la pratica ed annullare l’atto impositivo evitando il contenzioso.

Il nuovo art. 6-bis della l. 27.7.2000, n. 212, ha introdotto il c.d. “principio del contraddittorio” in base al quale tutti gli atti autonomamente impugnabili “sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo”

Ma questa regola non si applica per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni “individuati con d.m.”.

L’esclusione sussiste per i c.d. “avvisi bonari” che contengono l’invito “al contribuente a fornire, in via preventiva, elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione e non sono, dunque, espressione, di un potere pubblicistico autoritario” (risoluzione 22.10.2020, n. 110).

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2) Il contraddittorio negato per la cartella di pagamento

L’esclusione dal “principio del contraddittorio” di cui al citato art. 6-bis sussiste, in via derivata, anche per le cartelle di pagamento trattandosi di un atto sostanzialmente automatizzato: l’iscrizione a ruolo deriva automaticamente dall’esclusione dal “principio del contraddittorio”, di cui al citato art. 6-bis, del mancato pagamento dell’avviso bonario o dal mancato annullamento della richiesta di autotutela.

Il contribuente non può presentare l’istanza di accertamento con adesione non solo per ottenere una riduzione della pretesa a titolo di imposta ma neppure per beneficiare della riduzione della sanzione a 1/3 (art. 2, comma 5, del dlgs. 19.6.1997, n. 218).

Il contribuente deve decidere se presentare il ricorso o presentare un’istanza di autotutela, che, però, è differenziata tra: 

  • a) “autotutela obbligatoria” dell’Agenzia delle entrate, che è ammessa soltanto per errore di persona e di calcolo, sull’individuazione del tributo, per errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile, per errore sul presupposto dell’imposta, per mancata considerazione di pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti e per mancanza di documenti successivamente sanata entro i termini di decadenza;
  • b) “autotutela facoltativa”, ammessa fuori dai casi suddetti.

In qualsiasi caso, la presentazione dell’istanza non sospende il termine di proposizione del ricorso fissato in 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento.

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3) Il ricorso contro la cartella di pagamento

Non è facile impugnare la cartella di pagamento difendendosi personalmente, non solo con modalità cartacea, dovendo affrontare problematiche procedurali e normative, ma anche se il contribuente decide di scegliere la modalità telematica.

In altri termini, è opportuno affidarsi ad un difensore le cui prestazioni vanno retribuite.

Il ricorso deve essere intestato alla Corte di Giustizia tributaria di primo grado ma va notificato all’Agenzia delle entrate. Tuttavia se il contribuente eccepisce sia il merito dell’atto sia i vizi di notifica deve notificare il ricorso sia all’Agenzia delle entrate sia all’Agenzia delle entrate riscossione per effetto del nuovo comma 6-bis del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, introdotto con il d.lgs. 30.12.2023, n. 220.

Copia del ricorso, munita dell’attestato di conformità va depositata presso la segreteria della corte di giustizia di primo grado, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dall’avvenuta notifica dovendo corrispondere il contributo unificato e soggiacendo al rischio della sentenza negativa.

Ma, anche se la sentenza dovesse essere positiva, la sorpresa non manca. 

A propria difesa, l’interessato ha dovuto depositare anche documenti decisivi a proprio favore che sono stati decisivi per ottenere l’annullamento della pretesa fiscale (ad es., modelli F24, fatture quietanze, ecc.).

Tuttavia, secondo l’art. 15, comma 2, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, “le spese del giudizio sono compensate .. quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio”.

In altri termini, l’Agenzia delle entrate è stata condannata solo all’annullamento della cartella ma non anche alla refusione del compenso del professionista e, inoltre, non è tenuta neppure a rimborsare il contributo unificato tributario. 

Questa è l’interpretazione letterale.

Che farà la giurisprudenza?

Per ovviare a tale rischio, del tutto negativo, è opportuno, quindi, inoltrare dapprima l’istanza di autotutela per avere il supporto a proprio favore di avere prodotti documenti necessari già in via amministrativa e quindi presentare il ricorso allegando la copia dell’istanza.

In questa maniera, la dichiarazione di compensazione delle spese processuali viene evitata. 

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