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SALE AND LEASE BACK: STRUMENTO UTILE PER LA LIQUIDITÀ AZIENDALE

Sale and lease back: strumento utile per la liquidità aziendale

Il sale and lease back permette all'imprenditore di godere del bene di cui è gia' proprietario favorendo la liquidità attraverso la locazione

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Il sale and lease back (ovvero anche locazione finanziaria di ritorno) è il contratto con cui il proprietario di un bene cede detto bene ad una società di leasing e quest’ultima, a sua volta, versato il prezzo di vendita pattuito, lo concede in leasing all’originario proprietario, dietro corrispettivo di un canone periodico pattuito e con facoltà dell’alienante/utilizzatore di riscattare il bene alla scadenza del leasing.

Si  distingue dallo schema di leasing tradizionale, poiché, diversamente da quest’ultimo, l’obiettivo dell’utilizzatore non è quello di godere di un bene estraneo alla sua sfera di disponibilità, ma di continuare a godere di un bene di cui è già proprietario e che, per esigenze organizzative e di liquidità, preferisce prendere in locazione.

Tale fattispecie contrattuale ha preso piede negli Stati Uniti, per poi svilupparsi di recente anche nel nostro Paese.

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Il presente approfondimento è un breve stralcio del testo: Leasing finanziario (eBook 2020) La disciplina civile, contabile e fiscale del leasing finanziario; pdf di 301 pagine

1) La giurisprudenza in tema di lease back

A riprova dell’evoluzione della fattispecie in esame, è sufficiente una lettura delle sentenze che hanno segnato l’evoluzione giurisprudenziale di questo istituto.

Si tratta, infatti, di un contratto che si distingue dallo schema di leasing tradizionale, poiché, diversamente da quest’ultimo, l’obiettivo dell’utilizzatore non è quello di godere di un bene estraneo alla sua sfera di disponibilità, ma di continuare a godere di un bene di cui è già proprietario e che, per esigenze organizzative e di liquidità, preferisce prendere in locazione.

Tanto è bastato per innescare un conflitto tra parte della dottrina e parte della giurisprudenza,le quali si sono soffermate essenzialmente su due questioni.

Una prima osservazione è connessa alla struttura del contratto di leasing. Il sale and lease back, infatti, pur continuando ad essere un’operazione complessa composta dall’interconnessione di due distinti e autonomi contratti, ovvero il contratto di fornitura e il contratto di leasing, difetta della sinergia trilaterale.

In questo tipo di contratto, infatti, sembra scomparire il terzo soggetto. In verità, se a primo impatto tale assenza potrebbe equipararsi ad un’anomalia strutturale, nonostante la conservazione dell’elemento bifasico che caratterizza il tradizionale contratto di leasing, con un’analisi poco più approfondita dell’istituto, si può affermare più correttamente che non vi è un’assenza assoluta della terza figura, in quanto l’utilizzatore viene ad identificarsi con la figura del fornitore.

Contestualmente, altro interrogativo si è posto in relazione all’elemento causale, inteso come requisito essenziale del contratto di locazione finanziaria “di ritorno”. Più precisamente, ci si è chiesti se l’interdipendenza strutturale di questi due rispettivi contratti (fornitura e leasing) fosse funzionale al conseguimento di uno scopo lecito oppure vietato dalla Legge, dal momento in cui, per una cospicua parte di tecnici, il sale and lease back presenta delle affinità con lo schema della vendita con patto di riscatto stipulata a scopo di garanzia.

Ad ogni modo, occorre ricordare che il dettato normativo di cui all’art. 2744 c.c. statuisce che: «è nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno»; la suddetta norma sancisce il divieto del c.d. “patto commissorio”.

Risulta chiaro, in questo caso, l’intento del Legislatore di reprimere qualsiasi tentativo teso a far accrescere la diffusione di negozi giuridici contrastanti con il disposto normativo appena enunciato.

La ratio è quella di vietare al creditore, in caso di inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore, di soddisfare la propria pretesa creditoria mediante una diretta acquisizione del bene nella propria sfera patrimoniale, pregiudicando i diritti degli eventuali creditori concorrenti (principio della c.d. par condicio creditorum) e di impedire, fra l’altro, che il contraente più debole, conscio della propria precaria posizione economica, sia indotto a programmare la futura attribuzione del bene all’acquirente/creditore prima ancora che si verifichi l’eventuale inadempimento, esponendosi in tal modo alla coartazione del contraente più forte.

In quest’ottica, l’opinione della Suprema Corte è rimasta immutata: «Il divieto del patto commissorio, con la conseguente sanzione di nullità radicale, si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito, ove esso venga impiegato per conseguire il fine concreto della illecita coercizione del debitore, costretto al trasferimento di un bene a scopo di garanzia nella ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta.

Infatti, si ritiene che il patto commissorio possa essere ravvisato anche di fronte a più negozi tra loro collegati, quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto» 18.

A fronte di questo convincimento, l’atteggiamento della giurisprudenza nei confronti dell’istituto del sale and lease back è stato altalenante, passando dallo scetticismo alla possibilità di intravedere, in tale fattispecie contrattuale, uno strumento finanziario alternativo ai tradizionali strumenti finanziari.

2) Il lease back strumento utile per la liquidità dell’impresa

Il sale and lease back offre all’imprenditore che abbisogna di liquidità la possibilità di smobilizzare beni strumentali senza privarsi dell’utilità apportata dagli stessi.

Di qui, l’esigenza tecnica di elaborare criteri idonei a distinguere un contratto simulato elusivo dell’art. 2744 c.c. da un contratto di leasing. In tal senso la giurisprudenza di merito è arrivata ad affermare che: «Il contratto di sale and lease back può nascondere l’intento fraudolento delle parti di realizzare un patto commissorio, ma a tal fine è necessario che ricorrano le seguenti circostanze:

  • esistenza di una situazione di debito e credito tra la società finanziaria e l’impresa utilizzatrice;
  • difficoltà economiche di quest’ultima;
  • sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente» 19.

È tuttavia bene precisare che non è richiesta la necessaria copresenza di tutti gli indici rivelatori appena descritti in un’unica operazione finanziaria.

Dalla lettura di un consistente numero di pronunce giurisprudenziali si comprende, peraltro, che l’eventuale presenza di questi indici rivelatori non rimanda direttamente alla configurazione di un patto contrario al divieto imposto dall’art. 2744 c.c.

Orbene, se per un verso non si esclude che attraverso il contratto d’impresa in parola, si possa perseguire un intento contrario alla Legge, per l’altro verso l’orientamento giurisprudenziale predominante ha sostenuto che il contratto di sale and lease back non è necessariamente preordinato a perseguire un intento fraudolento. Anzi, tale contratto è diretto a realizzare più che una funzione di garanzia, una funzione di scambio.

La vendita, difatti, in questo preciso caso è da considerarsi come passaggio propedeutico alla stipulazione del contratto di leasing.

A riprova di ciò vi è la stessa definizione di sale and lease back, il cui esame analitico, permette una contestuale indagine sulla reale causa del contratto.

Guardando alle rispettive figure, il proprietario/futuro utilizzatore è già in possesso del bene di cui ha ancora bisogno.

Ciò significa che costui, per definizione, non si priva mai del bene; di contro l’acquirente/futuro concedente non ha alcun tipo d’interesse in ordine all’uso che di quel bene s’intende fare.

Il concedente non acquisisce il possesso e nemmeno la detenzione del bene, bensì solo l’intestazione del diritto di proprietà. L’uno (l’utilizzatore) punta ad ottenere più liquidità per la propria azienda e a ridurre i costi tributari, l’altro (il concedente) acquista il bene al fine di cederlo in locazione e trarne un profitto.

In quest’ottica, appare senz’altro più convincente la tesi che ricollega l’istituto della vendita alla funzione prevalente di scambio. Ciò comporta, dunque, che la vendita diventa presupposto per la configurazione di un contratto di sale and lease back.

Da tali considerazioni ne discende che la complessiva o parziale presenza delle tipizzate anomalie deve essere valutata caso per caso per poter verificare la sussistenza o meno di un oggettivo collegamento fra la causa concreta del contratto e la causa contraria al divieto di patto commissorio.

A conferma di tutto quanto sinora esposto, esplicativa in tal senso appare una recente pronuncia della Suprema Corte, secondo cui: «Il contratto di sale and lease back è nullo se è stipulato in violazione del divieto di patto commissorio previsto dall’art. 2744 c.c. A ribadirlo è la Cassazione che precisa come tale contratto atipico non può essere considerato necessariamente preordinato a eludere in maniera fraudolenta il divieto in questione, ma occorre procedere a una valutazione nel caso concreto.

In particolare, la preesistenza di una situazione debitoria in capo al soggetto venditore utilizzatore nei confronti del soggetto acquirente-concedente non è rilevante in quanto tale, ma soltanto se si tratta di una delle possibili manifestazioni della situazione di difficoltà economica in cui si trovi il venditore-utilizzatore.

Tale situazione di difficoltà economica è, infatti, uno degli indici rivelatori della finalità elusiva perseguita mediante il contratto di lease back. Nel caso di specie, gli elementi sospetti integranti il divieto erano le difficoltà economiche dell’impresa venditrice e la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente»20.

Superate le riserve relative alla fisiologica tendenza del contratto di sales and lease back ad eludere la disposizione di cui all’art. 2744 c.c., occorre proseguire l’indagine analizzando una figura affine al patto commissorio, ossia del c.d. “patto marciano”.

Il D.L. del 3 maggio 2016, n. 59, convertito in Legge, con modificazioni, dall’art. 1 della Legge 30 giugno 2016, n. 11921, ha introdotto nel Testo Unico in materia bancaria e creditizia (breviter T.U.B.) l’art. 48-bis rubricato «Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato».

La nuova norma ha introdotto espressamente nel nostro ordinamento il c.d. “patto marciano”, ossia l’accordo con cui si prevede che il creditore insoddisfatto diventi proprietario del bene, ma con l’obbligo di restituire al debitore (o al terzo datore) l’eventuale differenza fra il valore del bene stesso, determinato da un terzo arbitratore sulla base di parametri predeterminati, oggettivi ed autonomi, e l’importo del credito vantato.

La nuova disposizione prevede che il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o un altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico possa essere garantito dal trasferimento, in favore del creditore o di una società dallo stesso controllata o collegata, della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare del medesimo imprenditore o di un terzo.

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18. Trib. Venezia, 14 maggio 2016, in Redazione Giuffrè, 2016.

19. Trib. Roma, Sez. VIII, 8 luglio 2017, n. 13939, in Redazione Giuffrè, 2017.

20. Cass., Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11449. In senso conforme: Cass., Sez. I, 28 gennaio 2016, n. 1625; Cass., Sez. III, 6 luglio 2017, n. 16646.
 

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