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I MEZZI DI PROVA AMMESSI E QUELLI ESCLUSI DOPO LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

I mezzi di prova ammessi e quelli esclusi dopo la riforma della giustizia tributaria

La prova nel processo tributario dopo la legge n. 130/2022. Prova documentale, relazione e consulenze tecniche d'ufficio. Quali sono i mezzi di prova ammessi ed esclusi

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Il processo tributario, caratterizzato da una significativa ampiezza nella gamma dei mezzi probatori ammissibili, subisce al contempo restrizioni specifiche che ne delineano i contorni.

Di seguito, esaminiamo dettagliatamente i documenti ammessi come mezzi di prova, tra cui atti pubblici e scritture private, e quelli esclusi o le cui modalità di ammissione sono soggette a specifiche condizioni. L'articolo mette in rilievo l'importanza della documentazione in questo specifico contesto giuridico, sollevando anche questioni relative alla parità di trattamento tra le parti e al diritto di difesa, in un equilibrio tra necessità di efficacia nell'accertamento e tutela delle garanzie processuali.

L'approfondimento che segue mira quindi a fornire una panoramica chiara e precisa delle novità introdotte dalla riforma, offrendo spunti di riflessione critica sull'attuale sistema probatorio nel processo tributario.

L’articolo è un estratto del capitolo 3 “La prova nel processo tributario dopo la legge n. 130/2022” del libro di carta Prova e onere probatorio nel nuovo processo tributario” (leggi anche Processo tributario e nuovo onere probatorio dopo la riforma fiscale )

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Aggiornato ai decreti attuativi della Riforma fiscale.  di F. Carlino-  Libro di Carta Maggioli editore 2024 168 pagine    Un analisi delle novità  legislative in tema di contenzioso tributario e Statuto del contribuente, accertamento tributario e concordato preventivo biennale, fino alle recenti Risposte del MEF in occasione dei quesiti di Telefisco di gennaio 2024 .

1) Riforma giustizia tributaria: mezzi di prova ammessi e quelli esclusi dopo la riforma

Soffre di consistenti limitazioni nell’accertamento dei fatti rilevanti, (...) si caratterizza per un largo impiego di presunzioni legali e presunzioni semplici e non ammette il ricorso al giuramento.”.

I suddetti assunti non appartengono alla dottrina prevalente, ma alla giurisprudenza della Corte Costituzionale(1). Ben coglieva, la Consulta, nel campo tributario, l’ampiezza della prova da un lato ed il peculiare restringimento dall’altro. Anche la dottrina(2) affermava già da tempo che il processo tributario si caratterizzava (e si caratterizza) per una significativa ampiezza della prova, ammettendosi, in alcune circostanze, la possibilità di avvalersi di “qualsiasi dato, notizia o informazione e di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza(3).

Ad ogni modo, ancora una volta ricordando che non esiste un catalogo delle prove ammesse nel processo tributario, si può tentare di ricostruire un elenco di esse (e di quelle escluse) partendo da una necessaria premessa: il processo tributario è un processo essenzialmente documentale, ragione per la quale la prova per eccellenza è proprio quella documentale(4), che si caratterizza per la sua formazione fuori dal processo (prova precostituita)(5).

2) Riforma giustizia tributaria: la prova documentale

Sono documenti, anzitutto, i cosiddetti atti pubblici fra i quali vanno annoverati

  • i processi verbali di constatazione e di accertamento della polizia tributaria,
  • i verbali di interrogatorio redatti da pubblici ufficiali,
  • le relazioni di notifica di atti stese da ufficiali giudiziari o da messi notificatori autorizzati,
  • i certificati delle conservatorie dei registri immobiliari, ecc.

Tali atti, in quanto redatti da pubblici ufficiali autorizzati ad attribuirvi pubblica fede, fanno piena prova, sino a querela di falso, della loro provenienza dal pubblico ufficiale che li ha formati, nonché delle dichiarazioni da esso raccolte, e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 c.c.). Ciò significa che, di fronte all’attestazione di un ufficiale giudiziario o di un messo notificatore che non ha rinvenuto il destinatario dell’atto nella sua residenza o nel suo domicilio, e che in conseguenza di ciò risultando vane le sue ricerche e dandosi atto di tanto abbia provveduto alla notifica nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c., il destinatario non può dimostrare di essere stato ivi reperibile né con documenti né con altri mezzi di prova ammessi nel processo tributario; unico (e senza dubbio rischioso) mezzo per contestare la veridicità di tali attestazioni è quello di proporre querela di falso ai sensi degli artt. 221 e seguenti del c.p.c. La stessa situazione si verifica nei confronti di chi intenda contestare il contenuto delle dichiarazioni da lui stesso o da altri rese alla Guardia di Finanza e da questa riportate nel verbale di accertamento, o per chi intenda negare la verità di circostanze da essa direttamente accertate, ovvero affermare circostanze da essa escluse. Viceversa l’atto pubblico non è dotato di fede privilegiata per tutto quanto rappresenta deduzioni, giudizi, valutazioni ed apprezzamenti compiuti dal pubblico ufficiale, i quali saranno liberamente valutati dal giudice tributario.

In altri termini, il fatto che la Guardia di Finanza, dal reperimento di un brogliaccio o di un registro, abbia dedotto l’esistenza di una contabilità occulta non costituisce di per sé prova di evasione, ma fa parte della valutazione spettante al giudice tributario al pari di qualsiasi altro giudizio.

Sono altresì documenti, oggetto della prova avanti al giudice tributario, le scritture private, con ciò intendendo ogni rappresentazione documentale della realtà, purché sottoscritte, ad eccezione delle scritture contabili obbligatorie che, ancorché non sottoscritte, rilevano ai fini della prova documentale dell’esistenza e della consistenza del presupposto di fatto del tributo(6). Al riguardo, però, va tenuto presente che anche in questo caso si incontra un limite probatorio contenuto nell’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973 il quale prevede che “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”. Tale disposizione, più che una preclusione o inutilizzabilità probatoria, configura un’ipotesi di inefficacia della prova poiché essa potrebbe essere prodotta in giudizio dal contribuente senza essere presa in considerazione da parte del giudice, anche se l’inefficacia, a mente del comma 4 dell’art. 32, può essere opposta solo se il contribuente sia stato previamente informato delle conseguenze e ciò in ossequio al principio di buona fede(7). Davanti ad una tale limitazione del diritto alla prova, la giurisprudenza ha, condivisibilmente, interpretato rigorosamente tale disposizione, tanto da dichiarare che essa dev’essere considerata rivestita di un carattere di eccezionalità tale da non comprimere mai il diritto di difesa del contribuente(8).

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3) Riforma giustizia tributaria: la relazione e le consulenze tecniche d’ufficio

Altra categoria di prove ammesse nel processo tributario è quella delle relazioni e delle consulenze tecniche di cui all’art. 7, comma 2, d.P.R. n. 546/1992, il quale stabilisce che il giudice tributario può richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dello Stato o di altri enti pubblici o disporre consulenza tecnica(9).

Il giudice esercita discrezionalmente tale potere “quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità”. Ne consegue che il giudice, quando avverte che, ai fini della decisione, è necessario conoscere una verità che si basa su vicende ed atti interpretabili solo da chi disponga di una competenza in scienze estranee al diritto, soprattutto se tali vicende ed atti siano di particolare complessità anche sotto l’aspetto quantitativo, può acquisire gli elementi conoscitivi mancanti ricorrendo all’ausilio di organi tecnici della Pubblica Amministrazione, principalmente della Guardia di Finanza, o di un consulente tecnico. Si tratta di un potere di discrezionalità tecnica, nel senso che il giudice non può esercitarlo o non esercitarlo a suo piacimento (ad libitum); una volta che abbia deciso di esercitarlo, la scelta fra la relazione di organi pubblici e la consulenza tecnica non è libera.

Il suo potere discrezionale si estrinseca nella valutazione delle circostanze dettate dall’art. 7, comma 2, della legge e dell’opportunità di acquisire gli elementi conoscitivi utilizzando una delle due alternative offertegli dal legislatore. Dopo che il giudice ha discrezionalmente valutato che, per decidere la controversia, e quindi per deciderla correttamente e in un tempo ragionevole, è necessario ricorrere all’assistenza tecnica, egli deve assumerla e valutare quale organo può meglio svolgere tale assistenza. Non c’è dubbio che, essendo l’Amministrazione finanziaria parte in causa, l’operato della Guardia di Finanza o degli organi tecnici della Pubblica Amministrazione interpellati, può apparire parziale; tali organi sono preposti a servire lo Stato nel reperimento di materia imponibile e non si può non riconoscere ad essi un condizionamento psicologico e un’attitudine mentale a svolgere tali funzioni in misura preponderante rispetto al semplice fine di fare conoscere al giudice la verità. Tuttavia, se fosse sufficiente conoscere l’esistenza e il contenuto di atti o la descrizione di beni, di modo che sia il giudice a dedurre la loro rilevanza ai fini decisori, i menzionati organi della Pubblica Amministrazione appaiono indiscutibilmente preferibili anche per il minor costo(10) che può gravare sul processo(11). Poiché nulla di più dice l’art. 7, comma 2, riguardo alla consulenza tecnica, in virtù della norma generale di rinvio, occorre rifarsi alle norme del codice di procedura civile(12).

In realtà, riguardo a questi mezzi di prova è da fare una considerazione: la consulenza tecnica d’ufficio non può essere considerata un mezzo di prova, ma un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e volto a fornire al giudice un ausilio alla valutazione in caso di questioni di notevole complessità tecnica. Secondo la Suprema Corte(13) essa non può mai costituire il presupposto per formulare nuove domande, eccezioni o motivi aggiunti. Invece le relazioni, essendo rese da organi della Pubblica Amministrazione, non possono essere considerate perizie, ma atti di parte soggetti al contraddittorio, essendo ammessa per il contribuente la possibilità di dimostrarne l’infondatezza o di produrre una consulenza tecnica di parte(14). Non si tratta, pertanto, di prove piene, nemmeno se contenute in un verbale redatto da un pubblico ufficiale(15), né di prove atipiche(16), trattandosi di atti di parte liberamente valutabili dal giudice nel contraddittorio tra le parti(17), ma di un semplice strumento di conoscenza e di ausilio del giudice, il c.d. peritus peritorum, il quale potrebbe non essere in possesso di particolari cognizioni in materie tecniche, non giuridiche(18).

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4) Riforma giustizia tributaria: note

(1) Corte Cost. sent. n. 258 del 12 giugno 1991 ove è notato, nell’enfatizzare le differenze nella ricerca della verità tra processo penale e processo tributario, come quest’ultimo soffra di “consistenti limitazioni nell’accertamento dei fatti rilevanti” ma si caratterizzi “per un largo impiego di presunzioni legali e presunzioni semplici”, talvolta anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

(2) G.A. Micheli, Aspetti e problemi della prova e della decisione nel processo tributario, in Riv. dir. fin., 1940, I, p. 220 ss., il quale dimostrava l’ampiezza della prova in materia tributaria, estendendosi “ad ogni strumento utile per fornire al giudice elementi su cui formare il proprio convincimento” (p. 223), e la sussistenza di un principio “della più e nella formazione del convincimento del giudice” (p. 226).

(3) Artt. 32, comma 1, e 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973; art. 55 d.P.R. n. 633/1972.

(4) Sul punto vi è unanimità tra giurisprudenza e dottrina.

(5) Il documento è la rappresentazione materiale (scritta, cinematografica, elettromagnetica, ecc.) o informatica di fatti. Così I. Vitiello, Le prove e l’istruzione probatoria nel processo tributario, cit., p. 4.

(6) U. Perrucci, La prova nel diritto tributario, in Bollettino tributario, 1996, p. 1173.

(7) Cass. 25 giugno 2019, n. 16962, 28 marzo 2019, n. 8645, 27 dicembre 2016, n. 2769, 20 ottobre 2016, n. 21271, 7 febbraio 2013, n. 2867, 10 gennaio 2013, n. 453. Così anche F. Tundo, Documenti non esibiti a richiesta: preclusioni probatorie e garanzie del contribuente, in Corriere Tributario, 2013, p. 1265; A. Carinci e T. Tassani, Manuale di diritto tributario, IV ed., Giappichelli, Torino, 2021 p. 55.

(8) Cass., 1° agosto 2019, n. 20731.

(9) E. Marello, L’oggetto della consulenza tecnica d’ufficio nel processo tributario, in Rassegna tributaria, 2005, p. 1567 ss., a cui si rinvia in particolare per la precisa ricostruzione della linea di demarcazione tra oggetti rientranti nella scienza ordinaria del giudice e oggetti suscettibili di consulenza tecnica. Per importanti riflessioni sul tema in rapporto ai principi sovranazionali, G. Ragucci, Le garanzie della CEDU in tema di relazioni e di consulenza tecnica nel pro‑ cesso tributario, in Diritto e pratica tributaria, 2013, I, 879 ss.

(10) S. La Rosa, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina del processo tributario, in Bollettino tributario, 1993, p. 871, il quale aggiunge come “lo zuccherino della gratuità non può certo valere a compensare le ombre di non imparzialità delle relazioni conoscitive richiedibili, ad esempio, al Corpo della Guardia di Finanza”.

(11) G. Verna, La consulenza tecnica quale strumento conoscitivo del giudice tributario, in Bollettino tributario, 2003, n. 9, p. 650.

(12) Sulla consulenza tecnica nel processo civile, Cass., sez. un. 1° febbraio 2022, n. 3086, che ha stabilito alcuni principi di fondo in materia.

(13) Cass. 6 maggio 2021, n. 11969.

(14) F. Tesauro, Manuale del processo tributario, cit., p. 163. Lo stesso autore afferma che, se così non fosse, sarebbe più opportuna la soppressione di tale potere istruttorio (F. Tesauro, Giustizia tributaria e giusto processo, cit., p. 327).

(15) Cass. 13 aprile 2007, n. 8890; 23 luglio 2007, n. 16263; 8 maggio 2015, n. 9357; 6 febbraio 2015, n. 2193, 25 giugno 2014, n. 14418.

(16) Cass. 18 maggio 2016, n. 10222.

(17) N. Sartori, I limiti probatori nel processo tributario, cit., p. 270. Contra A. Comellli, Relazione di stima di un immobile, consulenza tecnica e parità delle parti nel processo tributario, in Riv. giur. tributaria, 2016, p. 883.

(18) Cass., sez. V, 23 febbraio 2022, ord. n. 6038: “Nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le c.d. prove atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente”; Cass., sez. V, 24 febbraio 2020, ord. n. 4864 precisava opportunamente che la relazione di stima dell’Ufficio ha lo stesso valore di quella della controparte.

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Fonte immagine: chat gpt
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