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CESSIONI OGGETTI D'ARTE: QUANDO RICORRE IL REDDITO D'IMPRESA

Cessioni oggetti d'arte: quando ricorre il reddito d'impresa

La Cassazione con Ordinanza n 1603/2024 specifica i termini entro i quali la cessione di opere d'arte è considerata reddito di impresa

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Con l’Ordinanza n. 1603 del 16 gennaio 2024, la Corte di Cassazione si è occupata nuovamente della tassazione delle cessioni di opere d’arte.

Sinteticamente ha ribadito che nel caso in cui:

  • l’attività di cessioni di opere d'arte sia svolta in via abituale, con caratteri di stabilità e regolarità,
  • si protragga per un periodo di tempo apprezzabile, pur se non necessariamente con rigorosa continuità, 

si è in presenza di reddito inquadrabile tra quelli d’impresa.

1) Cessioni oggetti d'arte: quando ricorre il reddito d'impresa

Il caso di specie riguarda un commerciante d’arte che si è visto notificare dalle Entrate due avvisi di accertamento ritenuto che rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale e che, quindi, i proventi delle cessioni delle opere d’arte fossero imponibili ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.

Il contribuente eccepiva di essere un collezionista privato e di non aver mai svolto attività di compravendita di opere d’arte, con conseguente irrilevanza fiscale delle operazioni. Le vendite, veniva asserito dal contribuente, sono solo il frutto della dismissione del patrimonio privato del contribuente.

Il mercante sosteneva  inoltre che l'attività non potesse essere ricondotta ad esercizio d'impresa, non avendo egli svolto alcuna operazione di intermediazione tra produttore e consumatore e non essendovi “l’autonoma organizzazione di mezzi” per svolgere l’attività.

La Corte di Cassazione ha ribadito una posizione già espressa con la sentenza n. 6874/2023 che ha fissato, da un lato, la linea di demarcazione della definizione di “imprenditore commerciale” tra normativa civilistica e fiscale e, dall’altro, la ripartizione soggettiva tra: 

  • (i) mercante d’arte, 
  • (ii) speculatore occasionale,
  • (iii) mero collezionista.

Viene chiarito che la nozione civilistica e quella tributaristica di “imprenditore commerciale” divergono per l’aspetto del requisito dell'organizzazione, indispensabile per il diritto civile ma non per quello tributario, ai fini del quale è sufficiente la “professionalità abituale dell'attività economica, anche senza l'esclusività della stessa”.

 Ai fini delle imposte dirette, l'articolo 55 del Tuir intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall'articolo 2195 cc, anche se non organizzate in forma d'impresa, e prescinde, quindi, dal requisito organizzativo. 

Il principio vale anche ai fini dell’Iva, atteso che l’articolo 4, comma 1, del decreto Iva, al pari dell'analogo articolo 55 del Tuir., intende come tale “l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività indicate dall'articolo 2195 cc., anche se non organizzate in forma di impresa.

In definitiva può affermarsi che, ai fini della rilevanza fiscale delle operazioni, è del tutto inconferente il requisito dell’“autonoma organizzazione dei mezzi”, come invece diversamente affermato dal contribuente nel ricorso, posto che l’espressione “esercizio per professione abituale” dell'attività va intesa come esercizio dell'attività in via abituale, svolta con caratteri di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità.

Successivamente la Cassazione ha ripreso il quadro interpretativo fondato sulla divisione soggettiva tra mercante d’arte, speculatore occasionale e mero collezionista.

In particolare, rientra nella definizione di mercante d’arte colui il quale, professionalmente e abitualmente, ne esercita il commercio anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere. 

Questi sarà qualificabile come soggetto passivo ai fini delle imposte dirette, dell’Iva e, al verificarsi delle condizioni previste dalla legge, dell’Irap.

Sarà considerato, invece, speculatore occasionale chi acquista occasionalmente opere d’arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile. 

Essendo le operazioni saltuarie e non abituali, di natura speculativa, i profitti della cessione rientrano nella definizione di redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1 lettera i) del Tuir, quali redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente.

Infine il collezionista è colui il quale acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l'opera, senza l'intento di rivenderla generando una plusvalenza, “avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l'interesse all'arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”.

Le cessioni di opere d’arte da parte del puro collezionista non sono tassabili, difettando i requisiti dell’abitualità e dell’intento speculativo.

Il discrimine tra una attività e le altre deve essere individuato nell’abitualità delle operazioni.

Secondo la giurisprudenza, rappresentano elementi significativi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d'impresa, a titolo di esempio:

  • il numero delle transazioni effettuate, 
  • gli importi elevati, 
  • il quantitativo di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti 
  • la varietà della tipologia di beni alienati.

Al contrario, non assumono rilievo, ai fini impositivi, il fatto che il profitto conseguito sia stato capitalizzato in beni e non in denaro, in quanto porta sempre intrinsecamente un arricchimento del patrimonio personale del soggetto.

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