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STP: QUESTIONI LEGATE ALLA NATURA DEL REDDITO

STP: questioni legate alla natura del reddito

Reddito di lavoro autonomo o reddito d'impresa? L'Agenzia si pone in parziale contrasto con una recente pronuncia della Cassazione sulla natura del reddito prodotto dalle STP

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Nel caso in esame, l’Istante risulta essere una STP che ha per oggetto principale “l’erogazione di servizi socio sanitari per la branca odontoiatrica svolti esclusivamente per il tramite dei soci persone fisiche entrambe in possesso dei titoli abilitanti per l’esercizio della professione odontoiatrica...”.

La stessa ha intenzione di realizzare un programma di investimenti, finalizzato all’acquisto di apparecchiature e macchinari odontoiatrici ad alto contenuto tecnologico.

 Chiede dunque chiarimenti in merito alla possibilità di accedere al credito d’imposta per i beni materiali Industria 4.0 disciplinato dall’articolo 1, comma 1057 e ss., L. n. 178 del 30/2020 e al credito d’imposta per gli investimenti effettuati nel Mezzogiorno di cui all’articolo 1, commi 98 - 108, L. n. 208/2015. 

Si interroga inoltre sulla possibilità di cumulare le due agevolazioni, ovviamente “a condizione che tale cumulo, tenuto conto anche della non concorrenza alla formazione del reddito e della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, non porti al superamento del costo sostenuto”.

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1) Natura del reddito prodotto dalla STP

Le Entrate in primis si soffermano sulla qualificazione del reddito prodotto da una STP, se vada cioè considerato come reddito d’impresa o reddito di lavoro autonomo.

Sul piano normativo, la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali viene regolamentata secondo i modelli societari dei titoli V e VI del libro V del codice civile, ovvero società di persone, società di capitali e cooperative (v. art. 10, comma 3, Legge n. 183 del 2011).

Sul punto, possono assumere la qualifica di società tra professionisti (STP) le società il cui atto costitutivo preveda, fra l’altro, l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci e l’ammissione, in qualità di soci, dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, ovvero di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento; questo a condizione che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale degli stessi sia tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci (art. 10, comma 4, norma cit.).

Le società professionali non costituiscono, dunque, un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche disciplinate dal codice civile e, pertanto, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto (salve le deroghe e le integrazioni previste dalla disciplina speciale contenuta nella Legge n. 183 del 2011 e nel regolamento attuativo – D.M. n. 34 del 2013).

Di conseguenza anche per le STP trova applicazione sia l’art. 6, ultimo comma, sia l’art. 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali (…) da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito di impresa

Ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle STP., non assume alcuna rilevanza, pertanto, l’esercizio dell’attività professionale, risultando a tal fine determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria (cfr. anche Risoluzione n. 35/E del 2018).

2) Il credito d’imposta Industria 4.0 e per gli investimenti nel Mezzogiorno

Come noto, ai sensi dell’art. 1, commi da 185 a 197, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 si riconosce un credito d’imposta a favore delle imprese residenti in Italia, incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti, indipendentemente 

  • dalla forma giuridica, 
  • dal settore economico di appartenenza, 
  • dalla dimensione,
  • dal regime fiscale di determinazione del reddito.

Il credito è riconosciuto a condizione che le imprese effettuino investimenti in beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive ubicate, appunto, nel territorio dello Stato, entro 31 dicembre 2022 ovvero fino al 30 giugno 2023 ma a condizione che, entro il 31 dicembre 2022, il relativo ordine risulti accettato dal venditore e siano stati pagati acconti per almeno il 20% del costo di acquisizione.

Di contro, l’articolo 1, commi da 98 a 108, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e succ. mod., ha istituito un credito di imposta a favore delle imprese che, a decorrere dal 1° gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2022, effettuino l’acquisizione, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di beni strumentali nuovi (come macchinari, impianti e attrezzature varie), facenti parte di un progetto di investimento iniziale e destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle Regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo. Al riguardo, il modello di comunicazione per la fruizione del credito d’imposta “è utilizzato dai soggetti titolari di reddito d’impresa” (v. provvedimenti emanati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate il 24 marzo 2016 ed il 14 aprile 2017).

Destinatari di entrambe le agevolazioni sono, quindi, i soggetti titolari di reddito di impresa, indipendentemente dalla natura giuridica assunta.

L’Istante, quindi, al verificarsi delle condizioni previste dalla legge, può beneficiare dei citati crediti di imposta

Infine, in merito al quesito sulla possibile cumulabilità delle suddette misure agevolative, si conferma l’orientamento interpretativo (v. risposta n. 360 del 16 settembre 2020), in cui è stato chiarito che, in relazione ai medesimi investimenti, sia possibile cumulare i due benefici, a condizione che tale cumulo non porti al superamento del costo sostenuto per l’investimento.

3) La risposta delle Entrate in rapporto alla sentenza della Cassazione n. 7407/2021.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate si pone in parziale contrasto con una recente pronuncia della Cassazione sulla natura del reddito prodotto dalle STP (sent. n. 7407, dep. Il 17 marzo 2021).

Secondo i giudici di legittimità, in mancanza di una specifica normativa per tali società professionali, occorre far riferimento all’art. 2238 cod. civ.: ne deriva che “se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II del codice civile (…)”. 

Del resto, la qualificazione del reddito di una società tra professionisti, come reddito di impresa, deve farsi dipendere dalla concreta configurazione della società e, in particolare, dalla presenza all’interno di essa (da accertarsi, dunque, caso per caso), di un autonomo profilo organizzativo, rispetto al lavoro professionale, “capace di spersonalizzare l’attività svolta e di fornire, come struttura a sé stante, quella stessa prestazione professionale che connota l’attività personale tipica del professionista”.

In sostanza, aggiunge la Corte, quando l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, ovvero quando prevalga il carattere dell’organizzazione del lavoro altrui e del capitale sulla prestazione di lavoro intellettuale, il professionista acquista la qualità di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 cod. civ., con conseguente applicabilità della relativa disciplina.

In altri termini, perché in una società tra professionisti possa aversi attività imprenditoriale, occorre anche una attività diversa e ulteriore rispetto a quella professionale, per cui il conferimento dell’apporto intellettuale si configura solo come una delle componenti dell’organizzazione e ciò in quanto l’attività autonomamente organizzata non potrebbe identificarsi in quella tipica svolta dal professionista intellettuale, connotata dal carattere della personalità (art. 2232 cod. civ.), presupponendo quel profilo di autonoma organizzazione di cui agli artt. 2082 e 2238 cod. civ.

Di contro si riscontra l’orientamento delle Entrate secondo cui, ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle società tra professionisti, non assume alcuna rilevanza l’elemento oggettivo dello svolgimento di un’attività professionale, risultando viceversa predominante l’elemento soggettivo, cioè il fatto di operare in una veste giuridica societaria tipica del codice civile. 

Di conseguenza, a dette società si applicano le previsioni di cui agli articoli 6, comma 3, e 81 del TUIR,  per effetto delle quali il reddito delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 73 del TUIR, è considerato reddito d’impresa da qualsiasi fonte provenga il reddito dalle stesse prodotto.

D’altronde, gli stessi giudici della Cassazione ricordano (sottolineo in parziale contraddizione a quanto affermato in sentenza) che le circolari ministeriali in materia tributaria pur non rappresentando fonte di diritti e obblighi e non discendendo da esse alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria che le ha emanate, le loro risultanze costituiscono comunque un dato che non può essere ignorato – anche in sede processuale - e con il quale confrontarsi.

La posizione delle Entrate risulta ancorata al dato normativo in quanto gli artt. 6, comma 3 e 81 del TUIR sono caratterizzati da specialità rispetto all’art. art. 53 comma 1 dello stesso TUIR (rubricato “reddito da lavoro autonomo”). Infatti, l’inciso contenuto in entrambe le disposizioni “da qualsiasi fonte provengano” sta proprio ad indicare che qualora un reddito sia prodotto da una società, lo stesso vada considerato come reddito di impresa, per una prevalenza dell’elemento soggettivo sugli altri.

Visto comunque il recentemente orientamento giurisprudenziale e quello (opposto ma comunque) consolidato nelle Circolari e Risoluzioni delle Entrate, sarebbe di sicuro auspicabile un intervento del legislatore.

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