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FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI E ONERE PROBATORIO

Fatture per operazioni inesistenti e onere probatorio

Nella sentenza 23078/2012 la Corte di Cassazione analizza minuziosamente i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza, interna e comunitaria, in tema di fatture soggettivamente inesistenti, in particolare per quanto concerne il corretto assolvimento dell’onus probandi e dell’attore cui tale onere va imputato.

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IL CASO
Con sentenza n. 48/4/07, depositata l'8.5.07, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche rigettava l'appello principale dell'Agenzia delle Entrate, nonché l'appello incidentale della società, proposti avverso la decisione di prime cure, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti degli avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP, per l'anno 1998.
Il giudice di appello, riteneva, in relazione al gravame principale, che l'Ufficio non avesse adempiuto l'onere di provare che la società contribuente avesse effettivamente utilizzato - ai fini della detraibilità dell'IVA e della deducibilità dei relativi costi dal reddito dichiarato - fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Per la cassazione della sentenza formulata dal giudice del gravame ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidato a sei motivi tra i quali la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 1 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5; essi sono così sintetizzabili:
L'amministrazione finanziaria osservava che la CTR avrebbe erroneamente fondato la decisione di appello sul fatto che la società che si era resa cessionaria della merce (nel settore della telefonia mobile) formalmente cedutale da una società italiana ma in realtà acquistata da venditori aventi sede nella Repubblica di S. Marino o in altri Stati Europei - avesse versato l'IVA indicata in fattura alle predette società cedenti, ed avesse, poi, regolarmente annotato l'operazione nelle proprie scritture contabili. Il diritto alla detrazione dell'IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 19 ) ad avviso della ricorrente, sarebbe subordinato, non soltanto al fatto che l'imposta in parola venga effettivamente versata al cedente e che l'operazione sia regolare dal punto di vista contabile, ma anche al fatto che l'IVA corrisposta sia relativa ad un'operazione effettivamente posta in essere.
E ciò in un duplice significato: sussistenza dell'operazione sul piano fattuale, nel senso che la cessione dei beni o la prestazione dei servizi oggetto della fattura siano state effettivamente poste in essere, nella loro realtà materiale; esistenza dell'operazione sul piano dei soggetti che - stando alla fattura - l'avrebbero posta in essere. E, sotto tale ultimo profilo, a differenza di quanto ritenuto - in proposito - dalla CTR, l'inesistenza soggettiva dell'operazione ben potrebbe desumersi - a parere dell'amministrazione ricorrente - da elementi sintomatici, quali l'insussistenza di una struttura organizzativa in capo al soggetto cedente, nonchè l'entità irrisoria della percentuale di ricarico a favore del soggetto che in base alla fattura, risultava cedente della merce.
Secondariamente avrebbe, inoltre, errato il giudice di appello - a parere dell'amministrazione - ad obliterare il principio, più volte ribadito dalla C. Giust. CE, secondo cui il diritto alla detrazione dell'IVA non può essere riconosciuto, qualora risulti accertato che la cessione sia stata effettuata nei confronti di un soggetto passivo che sapeva, o avrebbe dovuto sapere, di partecipare, con il proprio acquisto, ad un'operazione costituente una frode fiscale.
Quanto al terzo motivo, relativo alla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, osserva l'amministrazione ricorrente che la CTR avrebbe del tutto omesso di rilevare l'assenza di prove - da parte la società contribuente, sulla quale incombeva il relativo onere - circa l'esistenza dei costi indicati nelle fatture relative alle operazioni con la suindicata società interposta, XXX CORPORATION, in violazione di quanto disposto, al riguardo, dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, e dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5.
Infine sul piano motivazionale, ancora, le doglianze dell'Agenzia delle Entrate si incentrano sulla inadeguatezza del percorso argomentativo seguito dalla CTR, che non avrebbe condotto un esame esaustivo sulle risultanze processuali, essendosi, per contro, fondata su "principi astratti, del tutto avulsi dai dati di fatto su cui il giudice era chiamato a pronunciarsi". In particolare, il giudice di appello avrebbe del tutto omesso di considerare la totale inadempienza agli obblighi di versamento dell'imposta da parte della apparente cedente (società "filtro" o "cartiera"), ed avrebbe del tutto pretermesso la considerazione, nell'impianto motivazionale dell' impugnata sentenza, della circostanza - evidenziata dall'Ufficio, sulla scorta del processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza - relativa all'assenza di una, sia pur minima, organizzazione di impresa in capo alla predetta società "filtro", che - pertanto - non avrebbe fornito i beni indicati nelle fatture, in realtà ceduti direttamente alla contribuente da società estere.


IL COMMENTO
L’art. 8 del D.L. n. 16/2012, stabilisce che quando un costo inerente all’attività di impresa è stato realmente sostenuto e di ciò esiste la prova, la deducibilità resta ferma indipendentemente dall’inesistenza o dalla falsità della documentazione sottostante, come ad esempio si verifica in ipotesi di «falsi qualitativi», ove cioè la fattura o il documento di spesa si riferisca a beni o servizi diversi da quelli che sono stati realmente resi. In sostanza la norma circoscrive l’indeducibilità, ai fini della disposizione in commento, ai soli costi e spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti.
La modifica alla norma che stabilisce l’indeducibilità dei cd. costi da reato ha quindi sostanzialmente una portata interpretativa e chiarificatrice del significato che poteva essere anche in precedenza attribuito alla disposizione (tanto che ne è stata sancita la portata retroattiva), e conferma la necessità di un nesso diretto tra il fatto generatore del costo per l’impresa e l’attività criminosa cui la stessa è in tutto o in parte dedita.   (......)
 

1) Per il commento completo ed il testo integrale della sentenza:

Fatture soggettivamente inesistenti ed onere probatorio

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