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I LIMITI DEGLI STUDI DI SETTORE

I limiti degli studi di settore

L'utilizzo degli studi di settore come semplificazione delle indagini finanziarie e i limiti individuati dalla Cassazione nel loro utilizzo. VEDI ANCHE: "Le novita in materia di studi di settore" di F. Carrirolo

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Di fronte a una platea di piccoli imprenditori e professionisti difficilmente controllabile, perché estremamente «parcellizzata», l’introduzione di sistemi di predeterminazione degli imponibili quali sono i cosiddetti "studi di settore" risponde sia all’esigenza della parte pubblica, di non impegnare troppe risorse e di evitare le controversie, sia a quella dei contribuenti, di non subire indagini pervasive.
Gli «studi» sono entrati in crisi, tuttavia, per una molteplicità di fattori, tra i quali possono indicarsi l’insufficienza a rappresentare in modo sostenibile la realtà del singolo contribuente, la percezione diffusa dello strumento come generatore di «sovraimposte» e – in epoca più recente – l’impatto della crisi economica ancora in atto. È divenuto quindi evidente a un certo punto che gli studi di settore non sarebbero potuti diventare uno strumento sostitutivo rispetto all’accertamento della reale base imponibile dell’attività economica, bensì un utile elemento di persuasione, deterrenza, e preventiva selezione dei controlli.
In concorso con altre «evidenze», gli studi di settore possono integrare le motivazioni di un avviso di accertamento, ma a tale riguardo occorre tenere presente che di fronte ad accertamenti presuntivi i contribuenti hanno sempre la facoltà di attivare il contraddittorio con il fisco per giungere alla ridefinizione della pretesa, attraverso lo strumento dell’accertamento con adesione.

1) I limiti degli studi di settore come strumenti di accertamento

Su questo può utilmente essere ripresa e commentata la relazione tematica predisposta dall’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (relazione n. 94 del 9 luglio 2009).
Secondo il documento, gli orientamenti presenti in dottrina rivelano un’incertezza di fondo
in relazione alla natura degli studi di settore, giacché coesistono le seguenti opinioni:
  1.  Studi di settore quali presunzioni semplici insuscettibili di invertire l’onere della prova
  2. . Studi di settore quali presunzioni semplici dotate ex lege dei requisiti di gravità, precisione e concordanza o quali presunzioni legali
  3.  Studi di settore quali presunzioni miste o frutto di atti vincolanti
  4. Studi di settore quali predeterminazioni normative (equiparate negli effetti alle presunzioni legali)
  5. Studi di settore come fatti di mera conoscenza
Si tratta insomma di «medie», per quanto sofisticate dal punto di vista economico-statistico, che non rappresentano un passaggio dal noto all’ignorato (come invece accade per  le prove presuntive conosciute dal nostro ordinamento giuridico).
È vero inoltre, a parere di chi scrive, che le presunzioni fiscali, anche semplici e «semplicissime», sorreggono buona parte dell’attività accertativa dell’Amministrazione, ma il presidio a livello giuridico-costituzionale costituito dai principi di eguaglianza e capacità contributiva dovrebbe escludere ogni indebita ricostruzione di imponibili inesistenti.
L’utilizzo del ragionamento presuntivo (ancorché corretto e «proprio») dovrebbe poi avvenire quando scarseggiano gli elementi più direttamente riscontrabili, o comunque a rafforzamento di un impianto probatorio costituito anche mediante altri riscontri. È altresì evidente che le presunzioni – pur persuasive – potrebbero condurre a una ricostruzione
dei «fatti» difforme rispetto alla realtà effettiva, insomma all’elaborazione di una «realtà parallela» logicamente fondata ma indotta dalle sole «convenienze» della parte erariale.
Di fronte a tali rischi, la difesa del contribuente in sede di contraddittorio, oltre che avanti i giudici, dovrebbe potersi supportare anche su un parallelo ragionamento  inferenziale (presunzioni contro presunzioni).
Una problematica particolarmente sentita, e riportata nella relazione del Massimario, è quella riguardante la produzione della «prova contraria» in sede di istruttoria amministrativa, ossia nel contraddittorio con l’ufficio procedente.
Le risultanze degli studi devono ritenersi in grado di sostenere l’impianto presuntivo dell’accertamento.
Secondo la circolare n. 5/E del 2008, «l’espressione “fondatamente desumibili” rappresenta il cardine sul quale ruota il corretto utilizzo delle stime operate dagli studi di settore nell’ambito  dell’accertamento analitico-presuntivo.
Tale impostazione risulta confermata dalla giurisprudenza della Cassazione, la quale, con  la sentenza delle SS.UU. n. 26635 del 18 dicembre 2009, ha affermato quanto segue.
Anomalia
del comportamento fiscale
Evidenziata dagli studi di settore, in base allo scostamento con il livello «norma- le» riferito all’attività esercitata dal contribuente, che si qualifichi come «grave incongruenza»
Contraddittorio
Èindispensabile per adeguare alla concreta realtà economica del singolo con- tribuente l’ipotesi dello studio di settore; in sua assenza, lo studio di settore
si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito. In tale prospettiva il contribuente può fare ricorso anche alla prova per presunzioni. Le SS.UU. parlano di «obbligatorietà del contraddittorio endoproce- dimentale».
Automatismo dell’accertamento
Viene escluso sulla base delle considerazioni riportate sopra
Gli studi di settore in definitiva, pur rappresentando la più evoluta procedura di ausilio  all’accertamento fondata su presunzioni formalizzate (su base statistico-matematica),  non sono idonei a sostituire e a surrogare le ordinarie attività di controllo e accertamento.
Essi appaiono infatti, autonomamente considerati, più fragili rispetto alle procedure tradizionali (si pensi alla «tipica» verifica fiscale fondata sulla ricostruzione dei ricavi in base  al fatturato, o all’esame del magazzino, al costo del venduto e alle percentuali di ricarico).
Gli «studi» impongono infatti, secondo la Cassazione, il contraddittorio, con la possibilità  per i contribuenti di far valere le proprie ragioni (contrarie alle risultanze dello strumento presuntivo), ancorché fondate su presunzioni semplici (di pari livello rispetto a quelle rappresentate dagli «studi»). 

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