Speciale Pubblicato il 20/11/2017

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Residenza fiscale all'estero: niente dichiarazione in Italia

di Soro Dott. Paolo

Redditi di lavoro dipendente e residenza fiscale all’estero, con iscrizione all'AIRE: niente dichiarazione, dice la Cassazione n. 21442 2017



In presenza di redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero, il cittadino italiano, privo di residenza fiscale in patria, non deve dichiarare tali proventi, né corrispondere le imposte nazionali, attesa la prevalenza della norma convenzionale rispetto alla normativa tributaria interna, in caso di contrasto fra le stesse. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione sezione tributaria nella sentenza N. 21442 del 13 ottobre 2017

IL CASO
Ad un giornalista e corrispondente del quotidiano “La Stampa”residente in Inghilterra, l’Agenzia delle Entrate  ha contestato l'omessa dichiarazione dei redditi da lavoro dipendente (stipendi e altre indennità), nonché mancato versamento di IRPEF e Addizionali, con riferimento all’anno d’imposta 2000. Il Giudice di Prime Cure ha dato ragione al contribuente, annullando l’avviso.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, viceversa, ha accolto l’Appello presentato dall’Ufficio, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente , ritenendo che il contribuente avrebbe dovuto dichiarare in Italia la retribuzione percepita per il lavoro prestato nello Stato di residenza, nonché provare l'ammontare dell'imposta ivi versata, con conseguente applicazione della disciplina dettata dagli art. 51, comma 8-bis, e art. 165 del TUIR.
Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione  , la quale invece ha accolto il ricorso e deciso nel merito cassando la sentenza senza rinvio.

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Sul sistema fiscale britannico vedi anche nel Blog autori:  "Le tasse sul  lavoro in Inghilterra, 13 risposte a domande ricorrenti"

La normativa su redditi prodotti all'estero e l'AIRE

Vediamo, innanzitutto, di riepilogare le principali norme di riferimento, partendo dalla gerarchia delle fonti delle leggi; ossia, ciò che è risultato essere fondamentale motivo di accoglimento del ricorso presentato dal contribuente nella sentenza qui in commento, basata per l’appunto sulla prevalenza della norma convenzionale rispetto a quella domestica, in caso di contrasto fra le stesse. 

Le disposizioni di interesse sono le seguenti:
- Art. 117, comma 1, Costituzione: "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’Ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali."
Dunque, dopo la Costituzione, abbiamo nell’ordine: l’Ordinamento comunitario, i Trattati internazionali e, infine, le leggi nazionali.
Tale gerarchia (seppure non ce ne sarebbe bisogno) viene, poi, confermata anche dall’art. 75, DPR 600/1973:  "Nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia".( continua...)

IL COMMENTO

La vicenda trattata dalla Corte concerne una fattispecie che, oggigiorno, si presenta sempre più spesso a causa del costante aumento di cittadini italiani che si trasferiscono all’estero per ragioni di lavoro.
I casi più frequenti che si incontrano nella pratica, peraltro, assai difficilmente permettono di raggiungere in giudizio un risultato analogo a quello conseguito dal contribuente in questione (per il quale era incontestata la sua residenza fiscale inglese), a causa di una specifica disposizione interna – di regola, fatta salva da quasi tutte le Convenzioni – in base a cui il cittadino italiano è comunque considerato fiscalmente residente in Italia se non ha previamente richiesto l’iscrizione all’A.I.R.E. (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero).
In effetti, per le motivazioni più disperate, non ultima la scarsa conoscenza della normativa, i cittadini italiani si recano a vivere e lavorare all’estero, omettendo di “fuoriuscire” dalle anagrafi nazionali, tramite l’anzidetta iscrizione all’AIRE.



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