LA SETTIMANA FISCALE – N. 3 20 gennaio 2005
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PREMESSA
Con il diffondersi dell’utilizzo
della telefonia cellulare, si è assistito
ad un sempre più crescente
impiego delle cd. «ricariche telefoniche
» o «schede prepagate
», anche nell’ambito di attività
d’impresa o di lavoro autonomo.
Tale modalità di utilizzo del telefono
cellulare, infatti, al contrario
degli abbonamenti, non presenta
costi fissi di utilizzo, e quindi
consente anche all’imprenditore
o al professionista di proporzionare
il costo complessivo all’effettivo
utilizzo.
La questione che però molti
operatori da tempo si pongono è
relativa alla deducibilità ai fini
delle imposte dirette del costo
sostenuto per l’acquisto di tali
ricariche.
A tale proposito, la Direzione
Regionale dell’Agenzia delle Entrate
del Veneto, in risposta ad
una istanza di interpello presentata
ai sensi dell’art. 11, L.
27.12.2000, n. 212 [CFF 7120m],
(1) ha fornito alcuni importanti
chiarimenti in merito alla deducibilità
dei costi di impiego dei telefoni
cellulari, rappresentati appunto
dall’acquisto delle cosiddette
«ricariche telefoniche» o «schede
prepagate» da parte di un professionista
ed utilizzate nell’esercizio
dell’attività professionale.
Scopo del presente articolo è
di analizzare la posizione espressa
dalla citata Direzione Regionale,
verificando se l’interpretazione
fornita appare in linea con
le disposizioni normative che si
occupano di tale materia.
CONDIZIONI per la DEDUZIONE
del COSTO
Nella questione posta all’attenzione
della D.R.E. Veneto, l’interpellante
in particolare chiedeva
se, in presenza di determinate
condizioni, i suddetti costi sono
deducibili dal reddito di lavoro
autonomo e, in caso di risposta
affermativa, in quale misura.
La conclusione a cui è pervenuta
la D.R.E. Veneto è favorevole
al contribuente, poiché le
spese de qua sarebbero deducibili
nella misura del 50% ai sensi
dell’art. 54, co. 3-bis, T.U.I.R.
[CFF 5154], purché siano effettivamente
documentate.
Il parere in argomento sembra
di notevole interesse non solo in
riferimento alla corretta determinazione
del reddito di lavoro autonomo
ex art. 54, T.U.I.R., ma
anche in relazione alla formazione
del reddito di impresa. La
previsione normativa del citato co.
3-bis dell’art. 54, oggetto di analisi
della D.R.E. nel predetto interpello
ricalca, infatti, alla lettera
quanto previsto dal co. 9 dell’art.
102 [CFF 5202], in materia
di reddito di impresa.
Nell’istanza di interpello, il
contribuente ha affermato di eseguire
le ricariche presso uno sportello
bancomat oppure tramite il
collegamento Internet home
banking; in occasione dell’avvenuta
ricarica e del relativo addebito
sul conto corrente bancario,
viene rilasciata una ricevuta dalla
quale risultano il costo sostenuto,
il numero di conto corrente (quello
intestato al contribuente) sul
quale è stato eseguito l’addebito
ed il numero di telefono cellulare
per il quale è stata effettuata la
ricarica.
L’interpellante ha ritenuto che
i costi in argomento, documentati
come descritto, fossero deducibili
dal reddito di lavoro autonomo
perché provvisti dei requisiti fondamentali
richiesti dalla normativa
(art. 54, T.U.I.R.), ossia:
inerenza all’attività professionale
svolta;
idonea documentazione, perché
vengono indicati nella ricevuta
rilasciata dalla banca
sia l’importo, sia la causale,
sia il numero di conto corrente
bancario intestato al contribuente,
sia il numero di telefono,
quello del contribuente,
sul quale è stata eseguita la
ricarica;
effettivo sostenimento, poiché
esiste un addebito sul conto
corrente intestato al contribuente
che testimonia il rispetto
del principio di cassa.
Nella normativa dettata dal
D.P.R. 917/1986 non si rinviene,
infatti, alcuna limitazione esplicita
alla deducibilità di tali oneri
(le ricariche telefoniche, appunto);
l’unico riferimento contenuto
nel citato decreto è costituito dall’art.
54, co. 3-bis, in cui è precisato
che gli ammortamenti, i canoni
di locazione finanziaria o di
noleggio, nonché le spese di impiego
e manutenzione relativi ad
apparecchiature terminali per il
servizio radiomobile pubblico terrestre
di comunicazione, soggette
alla tassa di concessione governativa
di cui al n. 21 della tariffa
allegata al D.P.R. 641/1972 [CFF
3661], (2) sono deducibili nella
misura del 50%.
Misura della deduzione del costo
Ora, atteso che la citata disposizione
normativa del co. 3-bis fa
espresso riferimento alle spese di
telefonia cellulare sostenute attraverso
dei veri e propri contratti
di abbonamento, è necessario
chiedersi se si renda applicabile
anche alle «ricariche telefoniche»,
ovvero se si debba piuttosto richiamare
il precedente co. 3 dello
stesso art. 54, norma di carattere
più generale, in base al quale
sono deducibili nella misura del
50% le spese relative all’acquisto
e all’impiego dei beni mobili
adibiti promiscuamente all’esercizio
dell’arte o professione e all’uso
personale del contribuente.
La D.R.E. analizzando in prima
battuta la normativa che assoggetta
alla tassa di concessione
governativa la «licenza o documento
sostitutivo per l’impiego
di apparecchiature terminali per
il servizio radiomobile pubblico
terrestre di comunicazione», ha
richiamato quanto precisato dalla
R.M. 23.3.1995, n. 76/E, secondo
cui il presupposto della tassa di
concessione governativa non è
rappresentato dal supporto tecnologico
(nel caso di specie la SIM
card nel terminale GSM), ma «dal
titolo giuridico con il quale l’utente
è abilitato ad utilizzare il sistema
stesso, più specificamente da
una licenza o documento sostitutivo
attestante l’esistenza dell’abbonamento
al servizio».
È pertanto il contratto di abbonamento,
con il quale le parti
formalizzano l’accordo, a costituire
il presupposto per l’applicazione
della tassa, che è pari ad un
importo fisso mensile variabile in
relazione al genere di utenza (privata
o affari).
In base alle note all’art. 21
della tariffa allegata al D.P.R.
641/1972, tra l’altro, «la tassa è
dovuta, con riferimento al numero
di mesi di utenza considerati
in ciascuna bolletta, congiuntamente
al canone di abbonamento
».
Il problema principale in merito
all’assoggettamento alla tassa
nel caso del traffico telefonico
prepagato e la conseguente applicazione
del co. 3-bis dell’art. 54,
T.U.I.R., concerne proprio l’impossibilità
dell’assolvimento della
tassa stessa in quanto mancante
un canone di abbonamento
sul quale farla gravare.
Né, d’altra parte, appare oggettivamente
possibile determinare
l’ammontare della tassa dovuta
sulla ricarica telefonica, dal
momento che, anche volendo forzare
il dettato normativo per quanto
riguarda la bolletta, il tributo
dovrebbe essere rapportato al
numero di mesi cui si riferisce
l’utenza, parametro ovviamente
ignoto al momento di acquisto
della ricarica.
In ogni caso, nonostante il
mancato assoggettamento della
citata tassa nel caso delle ricariche,
per esse la D.R.E. Veneto
non ha ravvisato alcuna ragione
per discostarsi dalla regola fissata
dal più volte citato co. 3-bis
dell’art. 54 del T.U.I.R. con riferimento
alle apparecchiature soggette
alla tassa di concessione
governativa.
È stato precisato nel parere
della D.R.E., infatti, che la citata
disposizione è stata aggiunta all’art.
54, T.U.I.R., ad opera dell’art.
10, co. 1, lett. b), D.L.
13.5.1991, n. 151, «con il chiaro
intento di rendere indeducibile, in
sede di determinazione del reddito
di lavoro autonomo, quella
quota dei costi di acquisto e di
utilizzo dei telefonini sostenuti dal
professionista per il proprio uso
personale».
Il legislatore, come spesso accade
in queste situazioni, ha individuato
tale quota forfetariamente,
fissando la misura della deduzione
nel 50% dei costi sostenuti,
ipotizzando così un pari utilizzo
del bene in ambito professionale
ed a titolo privato. In considerazione
poi della data in cui è
entrata in vigore la disposizione,
aggiunge la D.R.E. Veneto «appare
peraltro ragionevole affermare
che la norma debba ora
intendersi riferita anche a quei
costi per la telefonia mobile sostenuti
per servizi che non sono
colpiti dalla tassa sulle concessioni
governative».
Con il rinvio all’art. 21, Tariffa,
D.P.R. 641/1972, infine, il
legislatore del D.L. 151/1991, «ha
con ogni probabilità inteso riferirsi
all’intero settore della telefonia
mobile, visto che la tecnologia
esistente all’epoca non consentiva
di acquistare schede prepagate
e non si ponevano quindi
dubbi di sorta circa l’assoggettamento
degli abbonati alla tassa
di concessione governativa».
CONCLUSIONI
Nella pronuncia in esame, la
D.R.E. Veneto ha ritenuto che la
disposizione di cui all’art. 21 del-
(2) Si tratta delle ipotesi in cui esiste un vero e proprio contratto scritto e viene recapitata una bolletta periodica.
la Tariffa allegata al D.P.R. 641/
1972, pur facendo espresso riferimento
alle apparecchiature terminali
soggette alla tassa di concessione
governativa, debba essere
estesa ai costi sostenuti nell’esercizio
di arti e professioni per
l’acquisto e l’utilizzo di apparecchi
di telefonia mobile in generale
e, per quanto riguarda il limite
di deducibilità, che esso sia individuato
nella misura del 50% prevista
dall’art. 3-bis dell’art. 54 del
T.U.I.R., purché siano effettivamente
documentati. Stante l’esistenza
di una medesima disposizione
nell’ambito del reddito
d’impresa, si ritiene che le medesime
conclusioni siano applicabili
anche al comparto del reddito
d’impresa, atteso che lo spirito che
muove il legislatore è il medesimo:
limitare il costo per l’utilizzo
di beni che, per presunzione, si
considerano utilizzati sia nella
sfera professionale o imprenditoriale,
sia per scopi privati.