Speciale Pubblicato il 17/01/2023

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Accertamento fiscale. Accesso ai locali dell’ente non commerciale

di Avv. Margherita Kòsa

Motivo della decisione. È legittimo accedere presso i locali dell’ente non commerciale senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria?



Ad avviso del contribuente, è necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica per effettuare accesso presso locali «adibiti anche ad abitazione», nonché presso “locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali”. 

I ricorrenti sostengono quindi che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria sarebbe necessaria per l’accesso a qualsiasi locale dell’ente non commerciale (in quanto ente non commerciale), al pari di quanto avviene per le abitazioni private.

Cassazione tributaria – sentenza n. 564/2023 dell’11.1.2023 (Presidente Bruschetta, Cons. relatore D’Aquino).

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Accesso presso enti non commerciali: fatti di causa

Alla società contribuente, una associazione sportiva dilettantistica, venivano elevati due avvisi di accertamento, a seguito di una verifica fiscale con accesso nei locali dell’associazione, con la quale veniva disconosciuta la natura di ente non commerciale della società contribuente. 

La CTP di Roma ha rigettato i ricorsi riuniti. La CTR del Lazio, con sentenza in data 25 marzo 2015, ha rigettato l’appello dei contribuenti.

Il giudice di appello ha sostenuto che nel caso di specie fosse sufficiente, ai fini dell’accesso nei locali dell’associazione, la sola autorizzazione del responsabile dell’Ufficio e non anche quella dell’autorità giudiziaria, con conseguente legittimità dell’acquisizione degli elementi di prova.

I contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’accesso effettuato dagli agenti accertatori sulla base della sola autorizzazione del direttore dell’Ufficio e in assenza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. 

I ricorrenti precisavano che, l’accesso nei locali di associazioni ed enti non commerciali, relativamente a locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, debba essere autorizzato dall’Autorità Giudiziaria, in costanza della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, i quali nella specie farebbero difetto, con conseguente inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti durante l’accesso, dovendosi equiparare l’attività svolta nei locali dell’ente non commerciale a una abitazione privata. 

Ad avviso dei ricorrenti, l’autorizzazione giudiziale si sarebbe potuta evitare solamente ove la natura non commerciale dell’associazione fosse emersa prima dell’accesso e del rilascio dell’autorizzazione. 

I ricorrenti rilevavano, inoltre, come al caso di specie non sarebbe applicabile la novella di cui all’art. 8, comma 22, l. n. 16/2012, essendo l’accesso avvenuto in data precedente la novella (13 settembre 2010).

Motivo della decisione: quali elementi sono utilizzabili come prova

La Corte rilevava che l’art. 52, primo comma, d.P.R. n. 633/1972, nella formulazione pro tempore, dispone che «gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell'ufficio da cui dipendono». 

Il secondo comma del medesimo articolo prevede – analogamente a quanto previsto dal terzo periodo del primo comma, nella parte in cui richiede l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’accesso a locali che siano «adibiti anche ad abitazione» - che «l’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni». 

La Corte sostiene che tale disposizione si applica all’accertamento delle imposte dirette, stante il rinvio recettizio dell’art. 33, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e conseguentemente all’IRAP (art. 50, comma 6, d. lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). 

L’autorizzazione del procuratore della Repubblica diviene, pertanto, necessaria per l’accesso presso locali «adibiti anche ad abitazione», nonché presso «locali diversi da quelli indicati nel precedente comma». 

I ricorrenti sostengono che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria sarebbe necessaria per l’accesso a qualsiasi locale dell’ente non commerciale (in quanto ente non commerciale), al pari di quanto avviene per le abitazioni private. 

Secondo la giurisprudenza della Cassazione, l’effetto dell’inutilizzabilità della documentazione acquisita in assenza dell’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria si verifica ove si verta in tema di documentazione acquisita in occasione di «accessi effettuati in locali adibiti esclusivamente ad uso abitativo, in ciò sostanziandosi la dicitura “locali diversi da quelli indicati nel precedente comma”, in quanto avente fondamento nell'inviolabilità del domicilio di cui all'art. 14 Cost.» (Cass., Sez. V, 17 maggio 2022, n. 15643).

La mera inosservanza di disposizioni relative ai presupposti degli atti ispettivi, come nel caso della menzionata autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, «non determina la inutilizzabilità degli elementi probatori sui quali sia stato fondato l'accertamento tributario, rendendo invalidi gli atti del suo esercizio o la decisione del giudice tributario (cfr., ex multis, Cass. civ. sent, n. 3852 e 8344 del 2001), salva l'ipotesi di accesso domiciliare, nel qual caso l'illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la "inutilizzabilità", a sostegno dell'accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale» (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 25650).

Equiparabilità dei locali di enti non commerciali a quelli di enti commerciali

Spiega la Corte che tale interpretazione si fonda sull’assunto secondo cui «l'autorizzazione trova base logica nell'art. 14 Cost., sull'inviolabilità del domicilio», al pari della verifica della sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, quali requisiti formali dell’accertamento dei presupposti, al fine di valutare «la ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell'ingresso nell'abitazione», sostanzialmente equiparabile alla verifica dei presupposti di una «autorizzazione della perquisizione domiciliare direttamente fissato dalla legge, la cui sussistenza e legittimità non può sfuggire alla verifica del giudice deputato al sindacato della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva» (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2014, n. 26829).

Ad avviso della Corte, pertanto, solo l’accesso presso locali che costituiscano abitazione privata in assenza di autorizzazione dell’Autorità giudiziaria può portare alla inutilizzabilità degli elementi di prova ivi acquisiti in assenza della preventiva autorizzazione, «costituendo questo espressione del principio di cui all'art. 14 Cost., sicché non rientra in questo concetto il locale dell'associazione ove è stato svolto l'accertamento» (Cass., n. 25650/2018, cit.), tanto che lo stesso uso promiscuo (come abitazione e come ufficio) dei locali rende non necessaria l’autorizzazione preventiva dell’Autorità giudiziaria (Cass., Sez. V, 6 ottobre 2020, n. 21411; Cass., n. 26829/2014, cit.). 

Tale giurisprudenza, spiega la Corte, appare conforme alla giurisprudenza eurounitaria, secondo la quale la tutela riguardante l’intangibilità del domicilio di cui all’art. 8 CEDU costituisce il presupposto per l’estensione della suddetta tutela ai locali aziendali di una società (CGUE, 22 ottobre 2002, Roquette Freres, C-94/00, punto 29). 

Quanto alla dedotta inutilizzabilità degli atti acquisiti (in tesi) in forza di una iniziale carenza di autorizzazione giurisdizionale preventiva, che un controllo giurisdizionale completo ex post permette, comunque, di compensare l’eventuale mancanza e “In ogni caso, la garanzia del controllo giurisdizionale posteriore è idonea a compensare le eventuali carenze di autorizzazione giurisdizionale preventiva ed il rispetto dei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU (CGUE, 18 giugno 2015, Deutsche Bahn, C-583/13 P, punti 26, 32; Corte EDU, 2 ottobre 2014, Delta Pekárny a.s. c. Repubblica ceca, n. 97/11, §§ 83, 87 e 92)”.

Al fine di garantire un’interpretazione evolutiva della norma, alla luce delle successive modifiche apportate all’art. 52, secondo comma, con l’art. 8, d.l. n. 16/2012, ove è stata prevista l’equiparazione ai locali degli enti commerciali di quelli «utilizzati dagli enti non commerciali» ed in considerazione delle finalità dell’accertamento, la Corte riteneva giusto equiparare i locali in cui viene svolta l’attività degli enti associativi non commerciali a quelli degli enti commerciali e non alle abitazioni private (Cass., Sez. V, 20 ottobre 2008, n. 25463)”.

Ad avviso della Corte, non è, pertanto, sostenibile l’equiparazione dei locali di un ente collettivo non commerciale tout court a una abitazione privata, se non ove si deduca e si provi che quei locali fossero adibiti ad abitazione privata, in assenza della cui deduzione i suddetti locali sono equiparabili ai locali degli enti commerciali. 



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