Rasheeda Suhailah
Utente
L'appartamento da affittare necessiterebbe di lavori di ristrutturazione e in particolare:
A) realizzazione di impianto di riscaldamento autonomo (costo: 5000€);
B) realizzazione di impianto elettrico a norma (costo: 3000€);
C) sostituzione dei pavimenti in alcune stanze (costo: 4000€);
D) imbiancata generale (costo: 2000€).
Supponiamo che il regime di canone concordato consenta di applicare un canone di 8000€ annui, tenendo conto delle condizioni in cui l'appartamento si troverà dopo (attenzione: dico "dopo") la ristrutturazione.
I suddetti lavori di ristrutturazione saranno realizzati in un'unica "sessione", che però con un precontratto (oppure già nel contratto di canone concordato), locatore e conduttore si impegnano a pagare entrambi e in particolare:
il locatore pagherà i lavori A e B (quindi impianti di riscaldamento ed elettrico);
il conduttore pagherà i lavori C e D (quindi pavimenti ed imbiancata) per un totale di 6000€.
A fronte dell'esborso da parte del conduttore, il locatore si impegna ad applicare al canone annuo di 8000€, uno sconto di 6000€/8 = 750€ a fronte di un contratto in canone concordato di durata 6+2, quindi un in definitiva un canone di 7250€.
Credo che una situazione di questo tipo sia pienamente lecita sia sul versante agenzia delle entrate, sia sul versante organizzazioni dei conduttori, semmai sarebbe da capire la modalità migliore per "mettere nero su bianco" la distribuzione di spesa dei lavori: scrittura privata separata o clausola del contratto a canone concordato con decorrenza a fine lavori ?
Ma se il locatore utilizzasse il suddetto sconto per abbassare un canone che altrimenti sforerebbe la forbice della fascia di oscillazione minimo/massimo prevista dalla convenzione locale, sarebbe lecito?
Il caso che mi proponi ora, se ben comprendo, non configura più un contratto scalettato, ma un contratto sotto il limite di fascia per tutta durata del contratto. Fondamentali – anche in tale fattispecie - sono i profili giustificativi della riduzione di canone. E’ opportuno – si ribadisce - che tale riduzione di canone sia giustificata in clausola (questo è un punto molto delicato), cioè che l’articolo (Canone) contenga i motivi giustificativi di tale scelta (senza necessità di entrare in dettaglio): ad es. le spese rilevanti di ristrutturazione relativamente ai pavimenti e all’imbiancatura affrontate dal conduttore per adattarlo alle sue esigenze e l’interesse del locatore di evitare di concorrere in tali spese, con conseguente accettazione di un canone molto più basso. Facciamo un esempio. La forchetta €/mq/mese è MIN 620 – MAX 666, e tu fissi il valore del canone mensile sotto la fascia minima (604,16), che vuol dire un canone annuo di 7250 euro.
Qualora tu stipuli un concordato convenendo un canone inferiore a quello risultante dall’applicazione del valore minimo del canone indicato dall’accordo per tutta la durata del contratto non incorri in alcuna sanzione. Alcuni Comuni lo prevedono espressamente nell’accordo, in alcuni casi fino al 50%, nell’evidente intento di venire incontro a particolari condizioni di disagio del conduttore, con convalida da parte delle organizzazioni firmatarie dell’accordo ovvero anche in difetto di asseverazione. Alcuni Comuni prevedono addirittura aliquote superidotte IMU e TASI rispetto all’aliquota ridotta per i contratti 3+2 nei casi in cui il canone dei 3+2 tocchi il valore il minimo (vedi Modena).
La convenzione di Napoli prevede riduzioni del valore del canone in due casi: per unità immobiliari di superficie superiore a 150 mq. fino ad 30% e per le strade, in qualunque area ricomprese, non rientranti negli elenchi di maggiore interesse commerciale di cui all’allegato A, fino ad massimo del 20%.
In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui la convenzione locale tacesse in proposito, nulla quaestio sul piano civilistico: non esiste alcuna norma che vieti alle parti di concordare un canone inferiore ai minimi definiti dalla convenzione locale: il quarto comma dell’articolo 13 della 431 sanziona di nullità solo un patto volto ad attribuire al locatore un canone superiore (non inferiore) a quello massimo definito dall’accordo.
Potrei chiudere qui, con una conclusione abbastanza scontata. Non sarebbe tanto difficile, invece voglio darti, prima di congedarmi da te, un’ultima pista di riflessione: la c.d. minimum tax (decima parte, ovvero 10% del valore catastale) introdotta con la Finanziaria 2005. Questa tassa ha catastalizzato gli affitti (con ripercussioni ai fini delle imposte dirette ed indirette), nel senso che la rendita catastale diventa anche la misura della redditività di un immobile. Tuttavia tale procedimento non si applica ai contratti concordati in quanto il canone è già soggetto ad un preventivo controllo della sua entità da parte delle organizzazioni di categoria: tutto vero, a patto però che si rimanga all’interno della forchetta dei valori minimo e massimo, perché se tu scendi sotto la soglia minima attesa dal Fisco in maniera molto vistosa (non sto parlando di lievi riduzioni dei valori minimi) potresti entrare (ma non c’è nessun automatismo) nella morsa dell’accertamento da parte dell’Agenzia (con onere della prova a suo carico) non solo in prima registrazione, ma anche nelle annualità successive.