Siccome la casa è da ristrutturare, avevo pensato di addebitare parte delle spese di ristrutturazione all'inquilino, però secondo il seguente criterio: premettendo di fissare un canone compatibile con quello stabilito dagli accordi territoriali, avevo pensato di applicare a tale canone uno sconto in modo tale che l'inquilino potesse recuperare, nei 6+2 anni di durata del contratto, tutte le spese effettuate nella ristrutturazione. E' possibile in un contratto a canone concordato? Sarebbe interessante anche sapere se, al termine di un contratto a canone concordato, si possa passare per lo stesso inquilino ad uno a canone libero.
Da quello che mi pare di capire tu mi chiedi se sia possibile prevedere un corrispettivo in aumento, a fronte di un sistema frazionato di sconti iniziali, in un contratto regolamentato.
La possibilità di convenire aumenti predeterminati e frazionati nel tempo (c.d. contratto “scalettato”) costituisce - nel settore abitativo - una novità ipotizzabile solo per i contratti stipulati dopo la legge di riforma del 1998 (prima sussisteva il blocco dei canoni). La fattispecie che tu ipotizzi è, però, molto particolare, e, dunque, c’è da chiedersi se un divieto possa sussistere per i concordati scalettati.
Perché dubbi su un abitativo scalettato in libera determinazione del canone non ce ne sono più. Il Tribunale di Milano quattro anni fa si è posto il problema e ha ritenuto legittimi i canoni differenziati anche nell’abitativo se è rispettato l’equilibrio del contratto e se lo sconto progressivo riconosciuto al conduttore sia effettivamente giustificato da specifici presupposti risultanti chiaramente dalla convenzione locativa.
Nel caso posto all’attenzione del giudice milanese, le parti – esattamente come nel caso ipotizzato nel quesito – avevano negoziato un canone minore sin dall’inizio del rapporto in considerazione del fatto che l’inquilino si era assunto l’onere di provvedere ad ingenti spese di ristrutturazione del bene locato gravanti sul locatore.
Il problema è di stabilire se il medesimo principio, onde pervenire alla conclusione adottata dal giudice milanese, sia estensibile anche alle locazioni del secondo canale, ossia quelle assistite a canone concordato. Pare a chi scrive che la risposta non possa essere che affermativa, a patto, però, che si resti nella forbice della fascia di oscillazione minimo/massimo prevista dalla convenzione locale.
Anche il contratto art.2, co.3 è un contratto in cui i contraenti godono di un piccolo margine di autonomia, in quanto sono liberi di pattuire la misura del canone all’interno di una determinata forchetta, tra un minimo e un massimo, in base agli accordi assunti in sede locale, sulla base di parametri di riferimento esterni.
Nei contratti concordati, art. 2, co.3 della suindicata legge, gli unici limiti ai quali fare riferimento in proposito sono quelli di cui al co.4 dell’art.13
(Patti contrari alla legge), che dispone che
“per i contratti di cui al comma 3 dell’articolo 2 è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale”. Una disposizione a tutela dell’inquilino, che mira a garantire che la misura (anche variabile, per l’appunto) del canone di locazione, desumibile dallo statuto locativo redatto per iscritto e registrato, non venga elevata, in corso di rapporto, oltre la fascia di oscillazione massima, fatto salvo l’aggiornamento.
Va tenuto presente, però, che le clausole di questo contratto devono uniformarsi, come si è detto, ad un modello-tipo stabilito da un decreto ministeriale ed integrato con appositi accordi territoriali in sede locale tra le associazioni di categoria. Qualche dubbio potrebbe sorgere dalla lettura dell’art.2
(Canone), il quale dispone di indicare il canone annuo di locazione, secondo quanto stabilito dall’accordo locale: la difficoltà è peraltro superabile con una formulazione che lasci inalterata la struttura della clausola. Un’eventuale difformità formale (non di contenuto) non produce l’invalidità del contratto, sempre che siano rispettati i vincoli fissati in tema di misura massima del canone.
Atteso l’intento di rendere non eccessivamente gravoso il vincolo locativo in capo al conduttore, a fronte delle spese di ristrutturazione da lui affrontate - posto ad esempio un canone che oscilli tra un valore minimo di € 5,40 e un valore massimo di € 6,20 al mq/mese, con superficie dell’appartamento ad esempio pari a 100 mq, - stabilendo tre importi base rispettivamente € 5,40 per il primo anno, € 5,60 per il secondo anno e € 5,80 per il terzo anno della prima tornata contrattuale - il canone di locazione mensile per il primo anno sarebbe pari a € 540,00, € 560,00 per il secondo anno, € 580,00 per il terzo. Al fine di scongiurare possibili contestazioni da parte delle associazioni di categoria riguardo il canone, per togliersi da ogni impaccio, sarebbe bene indicare anche il canone mensile ed annuo medio entro il
range disposto dall’accordo (nell’esempio esposto: rispettivamente € 560,00 e € 6.720,00, desumibili dal calcolo [(5,40 + 5,60 + 5,80) : 3)] x 100.
All’interno dello stesso articolo è inoltre importante anche specificare il canone annuo sul quale calcolare l’aggiornamento ISTAT oppure rinunciare al recupero dell’inflazione. A scanso di complicazioni, si consiglia, nell’articolo successivo
(Deposito cauzionale) di specificare il canone mensile sul quale parametrare la somma concessa in garanzia per l’adempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto.
Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria è l’ultimo dei miei problemi: la locazione con canoni differenti è perfino prevista nella casella CASI PARTICOLARI del quadro A (codice 1) del modello di registrazione RLI (che tra una settimana esatta cambierà volto, presentando un nuovo quadro, il quadro E, appositamente dedicato alla locazione con canoni differenti per una o più annualità) e in questo caso – ulteriore dato che rafforza le mie convinzioni - nella casella TIPOLOGIA DI CONTRATTO io posso indicare sia il codice L1
(Locazione abitativa a canone libero) sia il codice L2
(Locazione abitativa agevolata in Comune ad alta tensione abitativa): la presenza del codice 2 – se mi avvalgo del canale telematico - non comporta alcun
warning di incongruità, né tantomeno lo scarto in fase di accettazione e di controllo del file.
A me non preoccupa l’Agenzia delle Entrate, preoccupano molto di più le associazioni dei proprietari e degli inquilini che in futuro (nuovo accordo che si basasse sul nuovo decreto ministeriale 2017) potrebbero contestarmi la convenzione locativa concordata che io gli sottopongo, ma al momento a Napoli nessuno mi impone di passare da loro a fare vidimare il contratto.
Quasi dimenticavo. All’ultima domanda, la risposta è affermativa: lasci spirare il tuo vecchio contratto oppure lo risolvi consensualmente con il tuo inquilino, poi ne stipuli un altro libero a nuove condizioni.