F
fabiano corna
Ospite
RE: per Andrea Torsella
<HTML>Anch'io da tempo, come Gino Vero, sono alla ricerca di elementi che in modo inequivocabile mi possano consentire di consigliare ai clienti la possibilità di trasferire dalla sfera privata a quella professionale beni mobili, o mobili registrati, al fine di ammortizzarli, mediante un semplice documento in carta libera, magari con marca da bollo da L. 2500.
Al momento il mio convincimento è che ciò non sia possibile. Già ciò l'ho espresso altre volte su questo forum.
A differenza dei lavoratori autonomi (art 49 e 50 Tuir), le imprese (art 51-79 tuir), sono ammesse a conferire i beni provenienti dalla sfera privata del titolare, vedendosi riconosciuto il costo sostenuto, grazie all'ultimo comma dell'articolo 77. Un provvedimento simile manca nella parte relativa alla determinazione del reddito di lavoro autonomo.
Detto questo, veniamo alla tua affermazione che "tutto ciò che non è vietato è consentito" ed, in virtù di siffatto aforisma, anche i professionisti possano dedursi i conferimenti provenienti dalla loro sfera privata.
Ma se le cose stanno così allora perché il legislatore ha ritenuto necessario inserire il comma 3 bis nell'articolo 77?
E' evidente la necessità di risalire ai principi che stanno alla base della deducibilità dei costi. Tra questi vi è il principio di "originalità" del documento che attesta la "traditio" cioè il passaggio di proprietà (diritto reale) su di un bene mobile. Il documento che per eccellenza fiscalmente ne attesta l'avvenuto trasferimento è la fattura. Dalla modalità di emissione della fattura spesso se ne ricava l'"animus" che ha spinto il compratore ad effettuare l'acquisto, ossia se il bene era destinato alla sfera privata o aziendale. Difficoltà al riguardo non esistono se al momento dell'acquisto l'attività aziendale o professionale ancora non era stata intrapresa.
L'attribuzione di un diritto reale consente al titolare di lecitamente e liberamente esercitarne il dominio: egli infatti può usarlo, donarlo, comodarlo, venderlo, conferirlo ecc.
Infatti il bene può essere conferito (ecco la mancanza di divieto che tu citavi). Ciò può avvenire sia nell'impresa che nel lavoro autonomo. Nessuno si è mai sognato di vietare a Gino di portarsi un tavolo da casa propria in ufficio ed usarlo per la sua professione.
Ma il conferimento si limita a far aumentare il valore del capitale apportato nell'azienda (art 2555 C.c.) o nel proprio ufficio e non genera il riconoscimento di costi e la possibilità di dedurli e ammortizzarli. Infatti il conferimento è un atto unilaterale. Manca cioè l'elemento sinallagmatico che ne caratterizza il riconoscimento del costo.
Quindi non in base ad un divieto, ma in forza dei principi che fan da fondo alla deducibilità fiscale dei costi, sia per l'impresa che per il professinista, il conferimento di un bene proveniente dalla sfera privata, non è deducibile.
Ciò che caratterizza il terzo comma dell'art. 77, assente nell'art. 50 riguardante i redditi di lavoro autonomo, è una "concessione" che, come vedi, è l'opposto di un divieto. Si tratta cioè di un'eccezione che il legislatore ha riconosciuto alle ditte individuali.
Quindi non è un divieto che non consente ai lavoratori autonomi di detrarsi i conferimenti provenienti dalla sfera privata, ma l'assenza di una concessione che lo permetta.
ciao, con amicizia.</HTML>
<HTML>Anch'io da tempo, come Gino Vero, sono alla ricerca di elementi che in modo inequivocabile mi possano consentire di consigliare ai clienti la possibilità di trasferire dalla sfera privata a quella professionale beni mobili, o mobili registrati, al fine di ammortizzarli, mediante un semplice documento in carta libera, magari con marca da bollo da L. 2500.
Al momento il mio convincimento è che ciò non sia possibile. Già ciò l'ho espresso altre volte su questo forum.
A differenza dei lavoratori autonomi (art 49 e 50 Tuir), le imprese (art 51-79 tuir), sono ammesse a conferire i beni provenienti dalla sfera privata del titolare, vedendosi riconosciuto il costo sostenuto, grazie all'ultimo comma dell'articolo 77. Un provvedimento simile manca nella parte relativa alla determinazione del reddito di lavoro autonomo.
Detto questo, veniamo alla tua affermazione che "tutto ciò che non è vietato è consentito" ed, in virtù di siffatto aforisma, anche i professionisti possano dedursi i conferimenti provenienti dalla loro sfera privata.
Ma se le cose stanno così allora perché il legislatore ha ritenuto necessario inserire il comma 3 bis nell'articolo 77?
E' evidente la necessità di risalire ai principi che stanno alla base della deducibilità dei costi. Tra questi vi è il principio di "originalità" del documento che attesta la "traditio" cioè il passaggio di proprietà (diritto reale) su di un bene mobile. Il documento che per eccellenza fiscalmente ne attesta l'avvenuto trasferimento è la fattura. Dalla modalità di emissione della fattura spesso se ne ricava l'"animus" che ha spinto il compratore ad effettuare l'acquisto, ossia se il bene era destinato alla sfera privata o aziendale. Difficoltà al riguardo non esistono se al momento dell'acquisto l'attività aziendale o professionale ancora non era stata intrapresa.
L'attribuzione di un diritto reale consente al titolare di lecitamente e liberamente esercitarne il dominio: egli infatti può usarlo, donarlo, comodarlo, venderlo, conferirlo ecc.
Infatti il bene può essere conferito (ecco la mancanza di divieto che tu citavi). Ciò può avvenire sia nell'impresa che nel lavoro autonomo. Nessuno si è mai sognato di vietare a Gino di portarsi un tavolo da casa propria in ufficio ed usarlo per la sua professione.
Ma il conferimento si limita a far aumentare il valore del capitale apportato nell'azienda (art 2555 C.c.) o nel proprio ufficio e non genera il riconoscimento di costi e la possibilità di dedurli e ammortizzarli. Infatti il conferimento è un atto unilaterale. Manca cioè l'elemento sinallagmatico che ne caratterizza il riconoscimento del costo.
Quindi non in base ad un divieto, ma in forza dei principi che fan da fondo alla deducibilità fiscale dei costi, sia per l'impresa che per il professinista, il conferimento di un bene proveniente dalla sfera privata, non è deducibile.
Ciò che caratterizza il terzo comma dell'art. 77, assente nell'art. 50 riguardante i redditi di lavoro autonomo, è una "concessione" che, come vedi, è l'opposto di un divieto. Si tratta cioè di un'eccezione che il legislatore ha riconosciuto alle ditte individuali.
Quindi non è un divieto che non consente ai lavoratori autonomi di detrarsi i conferimenti provenienti dalla sfera privata, ma l'assenza di una concessione che lo permetta.
ciao, con amicizia.</HTML>