<HTML>ti riporto solo per conoscenza l'articolo scaricato dalla mia banca dati
Non è una mia intrerpretazione
ma è il pensiero di un illustre membro della Commissione Tributaria.
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LE PARTI E LA LORO RAPPRESENTANZA ED ASSISTENZA
IN GIUDIZIO
Relatore:
Dott. Franco MOROZZO DELLA ROCCA
Presidente di Sezione della Commissione Tributaria Provinciale di ROMA
Nell’art. 10 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la individuazione delle
possibili parti del processo tributario non è del tutto corretta: il ricorrente vi è, infatti, individuato sulla base della assunta iniziativa di proporre il ricorso;
la sua controparte, invece, sulla base della sua legittimazione sostanziale, in quanto soggetto che ha emanato l’atto impugnato.
Nella pratica non è raro che il ricorso sia proposto da soggetto privo della necessaria legittimazione, perché terzo rispetto al rapporto di imposta.
In tal caso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Può accadere che un soggetto, erroneamente qualificato, nell’atto di imposizione o nella sua notificazione, come rappresentante del debitore di imposta, impugni l’atto o la sua notificazione, essendo interessato a far risultare la propria estraneità alla vicenda tributaria.
In questo caso si potrebbe forse ravvisare un suo interesse a ricorrere, tale da fondare una sua legittimazione;
tuttavia anche in questo caso la pronunzia di inammissibilità sembra idonea a definire la vicenda senza pregiudizio per il detto interesse, perché la correlazione tra motivazione e dispositivo conferma proprio quel difetto di legittimazione (sostanziale), al cui accertamento il ricorso era finalizzato.
Un problema di legittimazione del tutto particolare si pone in relazione al disposto dell’art. 40, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 5 T.U.I.R 22 dicembre 1986, n.917. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, che pure evidenzia la dipendenza del reddito di partecipazione del
socio (o dell’associato) da quello definito a carico della società di persone (o dell’associazione) partecipata, non solamente nega che l’accertamento a carico dell’ente collettivo debba essere notificato anche ai singoli soci, ma sembra negare altresì che il singolo socio possa impugnare in proprio l’accertamento emanato a carico dell’ente partecipato. Non condivido questa chiusura, perché mi pare che proprio dal combinato disposto degli artt. 40 D.P.R.
600/1973 e 5 D.P.R. 917/1986 risulti una imputazione diretta del reddito sociale, ai fini irpef, al socio; e che l’atto di accertamento emesso a carico della società, ancorché notificato solamente a questa, investa direttamente anche la sfera personale di lui, e fondi un suo interesse attuale alla contestazione.
La formula dell’art. 10 D.Lgs. 546/1992 è incompleta e deve essere integrata con il successivo art. 14. Non vi era nessuna ragione logica o formale per escludere nel processo tributario le figure di intervento previste dal cod. proc. civ.; ed il citato art. 14 ammette, comunque, sia la integrazione del contraddittorio nelle ipotesi di litisconsorzio necessario, sia l’intervento volontario
o la chiamata in giudizio di altri soggetti.
Per quanto mi sia sforzato, non ho trovato esempi di liti consorzio necessario nel diritto tributario. Sono, invece, molte le situazioni in cui la chiamata in giudizio di più condebitori solidali di imposta eviterebbe le inutili complicazioni derivanti dal formarsi di giudicati contrastanti in esito a processi diversi sullo stesso rapporto tributario.
A differenza dal processo civile non è richiesto nel processo tributario che la parte si faccia rappresentare dal suo difensore. Vale anche nel processo tributario la distinzione tra assistenza e ministero; e l’art. 12, imponendo come regola generale (con eccezione per le controversie di valore inferiore a L. 5.000.000) l’assistenza di un difensore abilitato, non pretende affatto che
la parte conferisca a tale difensore anche la cosiddetta procura. Che l’assistenza includa anche il compimento di atti processuali non dubiterei: il difensore, anche se incaricato della sola assistenza, può dunque porre in essere gli atti necessari per la difesa; ma ciò non priva la parte della capacità di stare in
giudizio personalmente od a mezzo di altro rappresentante munito di procura generale o speciale, secondo le previsioni dell’art. 11.
La sottoscrizione del ricorso da parte del difensore, con documentazione in atti dell’incarico conferitogli, è comunque richiesta, se la parte sia tenuta a farsi assistere.
Con sentenza n. 189 del 13 giugno 2000 la Corte Costituzionale ha lanciato un salvagente ai ricorrenti privi del necessario difensore, affermando che dal combinato disposto dell’art. 18, commi 3 e 4, e dell’art. 12, comma 5, D.Lgs. 546/1992 risulterebbe l’obbligo della Commissione di assegnare alla parte, inosservante dell’onere di munirsi di difensore, un termine perentorio a tale fine, prima di sanzionare l’omissione con una pronunzia di inammissibilità.
La sentenza, che non ha mancato di suscitare critiche, è una sentenza interpretativa di rigetto della questione di legittimità costituzionale, come tale non formalmente vincolante in altri giudizi; credo, però, che tutti dobbiamo prestarle ugualmente osservanza per la ovvia inutilità di un diverso atteggiamento.
Per quanto riguarda gli enti impositori va rilevato che le due rivoluzioni verificatesi nel corso dell’anno 2000 negli uffici finanziari hanno posto ed ancora porranno per qualche tempo il problema della ammissibilità dei ricorsi notificati agli uffici cessati dopo la loro cessazione e ricevuti senza osservazioni dai nuovi. È accaduto, infatti, che per difetto di informazione, o per errore indotto dalle istruzioni riportate sugli atti di imposizione, taluni contribuenti abbiano notificato i loro ricorsi ai cessati Uffici delle Imposte Dirette dopo la entrata in funzione degli Uffici delle Entrate; e, ancora, ai cessati Uffici delle Entrate dopo l’andata a regime delle nuove Agenzie delle Entrate.
Per i Centri di Servizio il problema è ancora più complicato, perché molti di noi sono convinti che la loro formale soppressione sia avvenuta per legge con l’entrata in funzione delle Agenzie, il I° gennaio 2001; l’Amministrazione, per contro, ne ha partecipato il decesso solamente con l’art. 23, comma 1, lett. Z) D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107 (peraltro facendo salvo l’art. 10 D.P.R. 28
novembre 1980, n. 787).
Riterrei che la successione dei nuovi uffici nelle funzioni dei precedenti e la continuità che ne deriva, in presenza di ricorsi ricevuti dai nuovi senza sollevare eccezioni, consenta di regola di superare ogni difficoltà al riguardo;
tanto più tenendo conto che la successione tra uffici non è ritenuta rilevante neppure ai fini della interruzione del processo (art. 40, comma 1, lett. a, D.Lgs. 546/1992).</HTML>