Speciale Pubblicato il 08/11/2021

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Società Sportive Dilettantistiche: ipotesi di esclusione del reato di omessa dichiarazione

di Moroni Avv. Francesca

SSD: la Cassazione interviene in materia di regime di de-commercializzazione delle attività esercitate



Con sentenza n. 35977 depositata il 4 ottobre 2021, la Cassazione interviene in materia di regime di de-commercializzazione delle attività esercitate da una SSD.  

Nei fatti di causa, la società sportiva dilettantistica, veniva condannata in appello in relazione al reato di cui all’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000 (omessa dichiarazione); proponeva dunque ricorso per Cassazione contestando le conclusioni della Corte di Appello in cui si escludeva che le entrate provenienti da iscritti all’ente associativo dilettantistico (ricorrente) o comunque da partecipanti alla attività da esso svolta, siano da considerarsi soggette al regime di de-commercializzazione ai sensi degli artt. 148 comma 3 DPR 917/86 e 4 comma 4 DPR 633/72.

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Il regime di de-commercializzazione delle ASD e delle SSD

La Cassazione, nel procedere all’esame dei motivi di ricorso, sottolinea in primis che  ai sensi dell’art. 90 della L. 289/2002, le disposizioni della L. n. 398/1991 e s.m.i., nonchè le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni  sportive dilettantistiche, si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza scopo di lucro.

Tali enti, avendo optato per il regime di cui alla citata L. n. 398/1991, determinano il proprio reddito attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività stabilito ex lege. Relativamente all’IVA, invece, sempre la L. n. 398/1991 stabilisce delle specifiche agevolazioni sul relativo ammontare, da versare mediante detrazioni forfettarie. 

Sul piano pratico, ai fini dell’utilizzo di tale regime si richiede l’esercizio di un potere di opzione in favore dello stesso ed il rispetto di un limite dimensionale del valore dei proventi da attività commerciali, realizzate nel corso dell’anno di imposta, non superiore ai 250.000 euro. Nel caso in cui l’ente sportivo superi il limite di 250.000 euro nel corso del periodo di imposta, gli effetti dell’opzione terminano a decorrere dal mese successivo.

Ulteriori benefici per i predetti enti sono quelli di cui all’art. 148 comma 3 del Tuir, con la precisazione dell’obbligo di conformazione a talune clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti, come elencate dettagliatamente nella norma medesima.

La Corte si sofferma quindi sulla corretta interpretazione proprio dell’art. 148, comma 3 Tuir, chiarendo che «non si considerano commerciali innanzitutto, per quanto qui di interesse, le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti sia degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, sia nei confronti dei rispettivi associati oltre che dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali». Appare chiara, secondo i Giudici, la ratio della disposizione, che mira a favorire, anche a fini fiscali, l’espletamento di attività istituzionali dell’ente, identificate in quelle svolte in favore di soggetti aderenti direttamente al medesimo ovvero vincolati ad altre associazioni che svolgano la stessa attività e facciano parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, o anche  solo tesserati presso le rispettive organizzazioni nazionali. 

Queste ultime due ipotesi si connotano per la valorizzazione, in luogo di uno stretto e diretto legame associativo con l’ente che eserciti la specifica attività sportiva, di altri vincoli comunque espressivi di una stabile adesione del destinatario della prestazione del singolo ente, alla medesima attività sportiva di riferimento, individuati in rapporti associativi con altri enti della medesima organizzazione sportiva o con la stessa federazione sovraordinata. 

Emerge con evidenza, in tal modo, l’ispirazione di fondo dell’art. 148 comma 3 citato, volta a legare il vantaggio fiscale alla promozione di attività sportive nei confronti di soggetti stabilmente e formalmente legati agli enti integranti il settore sportivo di comune riferimento, ovvero, per quanto possibile, stabili destinatari delle finalità sportive perseguite siccome tesserati alla federazione; così da escludere, di converso, prestazioni non strumentali rispetto al perseguimento effettivo degli scopi istituzionali e come tali inquadrabili solo in meri rapporti di tipo commerciale.

Differenza tra soci/associati/tesserati e mero iscritto o partecipante all’ente

La cassazione puntualizza sulla previsione di cui all’art. 148 comma 3 Tuir: la stessa presuppone e promuove un sistema di regole all’interno delle quali le attività de-commercializzate vengono circoscritte solo a quelle che appaiono realmente dirette in favore di coloro che sono parte effettiva della vita dell’ente e come tali risultano reali beneficiari e al tempo stesso attori delle finalità sportive perseguite.

Consegue la valorizzazione, per l' individuazione dei destinatari delle attività de-commercializzate, della qualità di associato o socio dell’ente o di tesserato alla federazione di riferimento. Di contro, il mero iscritto o partecipante all’ente non rientrerebbe tra i destinatari delle predette attività. Non si può, in altri termini, individuare in un mero “iscritto” o “partecipante” un soggetto realmente operativo nel contesto sportivo di riferimento, come invece accade per l’associato, socio o tesserato di cui sopra, titolari come tali di diritti e doveri, anche partecipativi, all’interno della compagine sportiva o comunque compartecipi stabilmente delle finalità della federazione.

L’art. 148 Tuir tuttavia menziona, tra i destinatari delle prestazioni de-commercializzabili, accanto agli associati o tesserati, anche agli iscritti o partecipanti. Questo perché, la norma si rivolge a plurime e variegate strutture organizzative come associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, nonché le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici.  

Per le ASD e le SSD qui in esame, termini quali “iscritti” o “partecipanti”, alla luce della peculiare struttura organizzativa, non appaiono espressivi di forme di effettiva partecipazione interna e quindi non possono individuare i destinatari delle attività de-commercializzate in parola (v., anche anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 1° agosto 2018, parr. 56 e 57).

In conclusione, al fine di stabilire le attività “de-commercializzate” riconducibili alla società ricorrente occorre:

- individuare le attività istituzionali effettivamente svolte in favore di soci, associati o tesserati nei termini sopra illustrati, 

- contempo verificare il rispetto o meno delle clausole indicate al comma 8 dell’art. 143, in tema di divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge. 

In sintesi si afferma che non sono attività commerciali dell’associazione sportiva le prestazioni rese a favore di associati, nei termini di cui sopra. Tali prestazioni, di conseguenza, non concorrono alla determinazione dell’importo rilevante per la fruizione dei benefici fiscali, tra cui l’omessa presentazione della dichiarazione



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