Speciale Pubblicato il 26/01/2021

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Sospensione degli ammortamenti 2020 e rimanenze di magazzino

di Capodaglio dott. Gianfranco , Semprini Lauretta , Stoilova Dangarska Vanina

Le conseguenze della sospensione degli ammortamenti sulla valutazione delle rimanenze di magazzino secondo il Codice Civile e il principio OIC 13



La possibilità di non iscrivere in bilancio gli ammortamenti ricorda da vicino uno “strano” istituto, recente­mente apparso nel linguaggio dell’OIC, evidentemente ripreso dagli IAS/IFRS ed assolutamente sconosciuto nella teoria economico aziendale: la “cancellazione dal bilancio” di poste attive e passive. Trattasi dell’enne­sima dimostrazione che gli standard internazionali sono stati creati per i bilanci consolidati, che, come è no­to, non derivano da alcuna contabilità sistematica, ma vengono redatti sommando algebricamente, secon­do prassi ormai consolidate, i dati iscritti nei bilanci oggetto del consolidamento. In tali circostanze è norma­le che possano avvenire aggiustamenti di valori che possono comportare l’eliminazione di voci indicate nel bilancio relativo all’esercizio precedente e l’inserimento di altre prima non presenti. 

Analoghe procedure non sono neppure ipotizzabili per i bilanci d’esercizio, nei quali non è possibile alcuna differenza “netta” fra i dati iscritti in bilancio e quelli relativi ai saldi di tutti i conti della contabilità generale. 

Questo sino all’ottobre 2020, quando la conversione in legge del decreto “agosto” ha previsto la deroga in oggetto; a nostro avviso, però, la similitudine con la “bizzarra” ipotesi di cancellare delle voci dai bilanci è soltanto apparente: la contabilità generale accoglie due serie di scritture, quelle di gestione e quelle di fine esercizio, fra le quali le rettifiche e le integrazioni per la determinazione della competenza economica. Fra queste ultime rientra la stima degli ammortamenti. 

Mentre non è ammissibile che non vengano registrati importi relativi ad operazioni di gestione verificatesi nell’esercizio, le scritture per la determinazione della competenza economica rispondono a regole in ogni ca­so “convenzionali”, atte a spostare componenti positive e negative di reddito da un esercizio all’altro e ciò de­ve avvenire secondo le regole dettate dal codice civile. Orbene, se una legge deroga (temporaneamente) ad al­cune norme del codice, le scritture di fine esercizio non possono fare altro che adeguarsi alla nuova normativa. 

Da quanto sopra esposto, possiamo concludere che l’impresa che adotta la deroga in oggetto non iscrive gli ammortamenti fra le operazioni di assestamento registrate in contabilità generale. Tutto ciò può comporta­re delle conseguenze sulle valutazioni “al costo” di talune voci il bilancio.

Un esempio di questo problema si riscontra in quelli che possono essere gli effetti della novità introdotta dal decreto 104/2020 sulla valutazione delle rimanenze.

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Questo approfondimento è stato estratto dal libro "Gli effetti della normativa emergenziale sul bilancio d'esercizio" pubblicato nel mese di gennaio 2021 da Maggioli Editore

La valutazione delle rimanenze secondo il Codice Civile

L’art. 2426, comma 2, n. 9), dispone che «le rimanen­ze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di pro­duzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del merca­to, se minore […]»; il citato n. 1 del medesimo articolo così spiega il concetto di costo: «Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al pro­dotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al perio­do di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi […]».

Valutazione delle rimanenze secondo OIC 13

Il testo di legge viene interpretato dal documento OIC 13, che così si esprime al paragrafo 23: «Il costo di pro­duzione comprende i costi diretti ed i costi indiretti (cd. costi generali di produzione) sostenuti nel corso della pro­duzione e necessari per portare le rimanenze di magazzino nelle condizioni e nel luogo attuali per la quota ragio­nevolmente imputabile al prodotto relativa al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti, nei casi e con le condizioni previsti nel paragrafo 39, gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi. Esso esclude i costi di distribuzione ai sensi dell’articolo 2426, comma 1, numero 9 del codice civile». Viene successivamente spiegato che il concetto di costo di produzione deve intendersi come costo “normale”, nel senso che si devono imputare al prodotto in giacenza i costi relativi ad un volume ordinario di produzione, senza dunque tener conto di riduzioni do­vute a fenomeni straordinari.

Conseguenze della sospensione degli ammortamenti sul bilancio 2020

Tutto questo come si inserisce nei bilanci redatti secondo le deroghe stabilite dalla nuova normativa? 

L’elemento di maggiore criticità, però, riguarda quale sia la conseguenza della mancata imputazione a bilan­cio degli ammortamenti sui criteri di valutazione dei prodotti in giacenza a fine esercizio. È sicuramente in­negabile che gli ammortamenti siano “costi indiretti [(….)] sostenuti nel corso della produzione e necessari per portare le rimanenze di magazzino nelle condizioni e nel luogo attuali” e che, quindi, debbano rientrare nel cal­colo del valore delle rimanenze.

Il fenomeno si può considerare da due diversi punti di vista. Se esaminiamo le singole norme che sono alla base di tale valutazione, osserviamo che l’art. 2426, primo comma, n. 9 prevede la valutazione delle rimanen­ze al costo, o al valore realizzo se minore, mentre il n. 1 da la definizione di costo. Non v’è dubbio che nella definizione di costo sono compresi gli ammortamenti e quindi si potrebbe desumere che in ogni caso la va­lutazione delle rimanenze al costo debba comprendere anche tali ammortamenti, che sono un costo effetti­vamente sostenuto dall’impresa. Come detto, però, bisognerebbe tener conto anche del fatto che, secondo quanto previsto dal documento OIC 13, la quota di costo che grava sulla valutazione delle rimanenze deve essere stimata con riferimento a quello che è un volume di produzione normale per effetto dell’applicazio­ne del principio di competenza e di quello di prudenza, in quanto l’OIC correttamente prevede che gli effetti negativi relativi ad una produzione straordinariamente inferiore a quella normale devono gravare sull’eserci­zio nel quale tale riduzione di produzione si è verificata. Infatti, i costi fissi di produzione si imputano al valo­re delle rimanenze solo per una quota corrispondente ad un normale volume di produzione. Evidentemen­te gli altri costi graveranno interamente sull’esercizio. In questo modo le rimanenze, anche in presenza del­le nuove normative sulla pandemia, verrebbero valutate al costo comprensivo di una quota, seppur ridot­ta, degli ammortamenti, che, però, per espressa previsione normativa non incidono sul conto economico.

Una simile soluzione non è condivisibile, in quanto non è corretto un procedimento che analizzi le singole norme senza tener conto di quella che è la natura contabile ed economico aziendale del processo di valu­tazione delle rimanenze. 

A questo punto, si deve escludere che si possano imputa­re in tutto o in parte gli ammortamenti al costo delle rimanenze, in quanto, così facendo, si rinvierebbero al futuro dei costi che non sono stati imputati al conto economico, contravvenendo così alla natura contabile del processo di valutazione delle rimanenze.

 Così ragionando, si comprende come sia necessario partire dall’esame dei costi rilevati ed iscritti nel “dare” del conto economico, per stimare quanti di essi siano da attribuire alle giacenze (in “avere”), sottraendoli in questo modo da quelli che gravano sull’esercizio in chiusura. Risulta chiaro che, se non abbiamo imputato al conto economico gli ammortamenti, non si pone neppure il problema di come imputarli al prodotto in gia­cenza, perché non abbiamo nulla da stornare in proposito. 

Qualcuno, però, potrebbe obiettare che ci troviamo in un caso analogo a quello che abbiamo affrontato con riferimento alla stima del “minor valore” degli immobilizzi e, quindi, potrebbe suggerire di continuare a con­siderare la nuova norma come deroga implicita all’art. 2426, questa volta n. 9). La tesi non è però condivi­sibile, perché nel caso degli immobilizzi la svalutazione avrebbe interamente annullato il beneficio relativo alla mancata imputazione degli ammortamenti, mentre, con riferimento alle rimanenze, atteso che gli am­mortamenti non imputati al conto economico provocano un miglioramento del risultato dell’esercizio di pa­ri importo, valutare i prodotti in giacenza non includendo nel costo gli ammortamenti non rilevati, compen­serebbe l’effetto benefico della norma solo in piccola parte.

Esempio

Facciamo un esempio a maggior chiarimento: supponiamo che il bilancio, redatto indipendentemente dalle nuove deroghe e nel rispetto di quanto previsto dall’OIC 13 in tema di capacità produttiva norma­le, chiuda con una perdita di 40, calcolando ammortamenti pari a 100; il volume di produzione effettivo è di 1000 unità, delle quali 200 sono in giacenza a fine esercizio, mentre il volume ordinario di produzio­ne è di 2000 unità. 

Se l’impresa usufruisce della deroga per tutti gli ammortamenti, il conto economico (semplificando) chiu­derà con un utile di 60, anziché con una perdita di 40. L’effetto degli ammortamenti sul valore delle rimanen­ze, calcolato al costo secondo le indicazioni dell’OIC 13, potrebbe essere il seguente: 

Incidenza degli ammortamenti sul costo unitario di prodotto, tenuto conto del volume effettivo di produ­zione: 100/1000 = 0,1 

Incidenza ridotta in base al volume ordinario di produzione: 100/2000 = 0,05 

Incidenza degli ammortamenti sul costo delle rimanenze a fine esercizio, tenuto conto della capacità pro­duttiva normale: 0,05x200 = 10 

Effetto sul risultato economico della mancata imputazione degli ammortamenti al costo di prodotto: 60-10 = 50

Se invece il redattore del bilancio non avesse tenuto conto delle indicazioni dell’OIC 13, l’incidenza degli am­mortamenti sul costo delle rimanenze a fine esercizio, tenuto conto della capacità produttiva effettiva sa­rebbe stato di 0,1x200 = 20. In tal caso l’effetto sul risultato economico della mancata imputazione degli am­mortamenti al costo di prodotto sarebbe stato 60-20 = 40.

L’esempio dimostra che, se applichiamo corrette regole di ragioneria per la redazione del bilancio, fortemen­te condizionato dalle nuove deroghe alle norme del codice, a fronte di un “beneficio” sul risultato di 100, non tenendo conto dell’impropria supervalutazione delle rimanenze, si ha un “sacrificio” di soli 10. Se, invece, il re­dattore del bilancio non avesse tenuto conto delle previsioni dell’OIC 13, il “sacrificio” sarebbe stato pari a 20.

Valutazione delle rimanenze al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato

Un’ultima considerazione: resta da esaminare la seconda parte della disposizione contenuta nel n. 9) dell’art. 2426, in cui si prevede che le rimanenze si devono valutare “al valore di realizzazione desumibile dall’anda­mento del mercato, se minore” del costo d’acquisto o di produzione. Ci si domanda se la soluzione appena suggerita possa contravvenire in qualche modo alla disposizione del codice. 

Riprendendo l’esempio proposto, supponiamo che il costo di produzione delle 200 unità in giacenza non considerando gli ammortamenti sia 214 ed il loro valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato ammonti a 220. 

Confrontando i valori di costo con quelli di mercato, constatiamo che, se valutiamo le rimanenze al costo netto da ammortamenti, ci troviamo nelle condizioni più frequenti, nelle quali viene confermata la valuta­zione al costo, in quanto inferiore al valore desumibile dall’andamento del mercato; in entrambi gli altri ca­si, ovvero valutando le rimanenze 224 o 234, dovremmo ridurre tale valutazione, perché superiore al sud­detto valore. 

Quindi, la soluzione proposta, ovvero quella di non includere gli ammortamenti non rilevati nella valutazio­ne delle rimanenze, è del tutto corrispondente alle prescrizioni della legge.



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