Ai fini dell'accertamento induttivo, il numero di tovaglioli utilizzati, il listino prezzi dell'esercizio, ma anche le inserzioni pubblicitarie sulle riviste di settore consentono al Fisco di ricostruire i ricavi di una società, pur in presenza di scritture contabili formalmente regolari. A ribadire questo principio ancora una volta la Suprema Corte con la sentenza n.9732/2015.
Ecco un excursus fra le diverse metodologie di ricostruzione induttiva del reddito, che qualcuno potrebbe forse definire "diaboliche" ma sono legittime per la Corte di Cassazione.
IL CASO
La vicenda riguarda una società d’intermediazione immobiliare, cui il Fisco aveva notificato un avviso di accertamento a fini IVA e IRAP che ricostruiva induttivamente, mediante una percentuale di calcolo basata sulle inserzioni pubblicitarie in una rivista, le provvigioni percepite nell’esercizio dell’attività.
Investita della questione, la Ctp accoglieva i ricorsi della società, annullando i relativi accertamenti; stessa sorte per i ricorsi presentati dai singoli soci. L’appello dell’Ufficio proposto avverso una delle sentenze favorevoli alla società veniva parzialmente accolto; di contro, quello avverso le sentenze favorevoli ai soci veniva rigettato.
Dopo alterne vicende, difatti un primo giudizio era stato dichiarato nullo per violazione del litisconsorzio necessario tra società di persone e soci, il giudizio approda in Cassazione, dove viene confermata la legittimità del recupero operato in capo alla società.
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Determinazione dell'imponibile in via presuntiva con il "TOVAGLIOMETRO"
La giurisprudenza di legittimità si è sovente pronunciata sull’idoneità di una specifica “metodologia” utilizzata dall’Ufficio a sostenere la ricostruzione induttiva di maggiori ricavi d’impresa, ritenendo detta metodologia un “elemento sufficientemente grave e preciso di rettifica anche in presenza di contabilità regolarmente tenuta." (Cfr. Cass. 21 dicembre 2005, n. 28342; 5 agosto 2002, n. 11686)
Nei diversi casi esaminati dalla Suprema Corte, si evidenzia un approccio di tipo sostanzialistico nel valutare il ragionamento presuntivo svolto dall’Ufficio: la verifica dei requisiti di gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi non è mai frutto di una valutazione effettuata a priori secondo parametri astratti, ma piuttosto di un’analisi in punto di fatto degli eventi posti a base della presunzione, volta a valutarne in concreto la rilevanza e ammissibilità.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la ricostruzione presuntiva dei ricavi d’impresa può essere legittimamente fondata anche sulla base della valutazione dei consumi unitari di determinate materie sussidiarie o beni di consumo.
Nell’ambito dell’attività di verifica nei confronti delle imprese di ristorazione, ad esempio, i Supremi giudici hanno evidenziato nella sentenza 8 agosto 2002, n. 9884 che il "consumo unitario dei tovaglioli impiegati, ovvero il numero di questi, rappresenta un fatto noto capace, anche di per sé solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente, cioè del tutto legittimamente (senza che intervenga la mediazione di alcun “terzo fattore” o l’applicazione di alcuna presunzione di secondo grado), presumere il numero di pasti effettivamente forniti dall'impresa di ristorazione, così da ricostruirne i ricavi in sede di accertamento analitico-induttivo di tali specifiche poste".
La legittimità dell’accertamento analitico-induttivo basato sul numero dei tovaglioli utilizzati (detta "tovagliometro") nel caso in cui dalle indagini effettuate emergano gravi incongruenze, è stata riaffermata dalla Cassazione nella sentenza n. 18475 del 19 agosto 2009.
Il c.d."tovagliometro" può anche essere utilizzato a favore del contribuente, siccome è stato sancito che questi può fornire la prova contraria rispetto ai fatti sintomatici di evasione mediante tale strumento, e che l’Ufficio, ai della fondatezza della pretesa, deve vagliare tale assunto (Ctr roma n.275 del 19/11/2009).
Alle stesse conclusioni è giunta la Suprema Corte per il consumo unitario di acqua minerale (Cass.17408/2010).
Altre pronunce su accertamenti presuntivi
ACCERTAMENTO PRESUNTIVO BASATO SULLA PERCENTUALE DI RICARICO
L’Ufficio può procedere ad accertare i maggiori ricavi non dichiarati, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del DPR n. 600 del 1973 anche in presenza di una contabilità regolarmente tenuta sotto il profilo formale, se la difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente sul costo del venduto rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza sia tale da risultare irragionevole.
Il metodo basato sulla percentuale di ricarico per il calcolo della maggiore redditività può assumere dunque la forza probatoria di presunzione qualificata se le difformità delle percentuali di ricarico applicate in concreto rispetto a quelle medie evidenziano uno scostamento tale da rendere inattendibile le risultanze della contabilità e della dichiarazione del contribuente.
Tra i più recenti orientamenti giurisprudenziali (Cfr. Cass. 23 febbraio 2009, n. 4293;11 gennaio 2008, n. 417; 2 ottobre 2008, n. 24434; 14 aprile 2003, n. 5870) sul punto specifico della legittimità del metodo di indagine basato sulla percentuale di ricarico, si segnala la sentenza della Corte di Cassazione 30 aprile 2009, n. 1007.
ACCERTAMENTO PRESUNTIVO BASATO SU QUESTIONARI INVIATI AI CLIENTI e SULLE INSERZIONI PUBBLICITARIE IMMOBILIARI
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 ottobre 2010, n. 22122 ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo basato sulle risposte pervenute all’Amministrazione finanziaria ai questionari inviati ai clienti di un’azienda.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che “Le “dichiarazioni” in questione – al pari di tutte quelle di soggetti “terzi” (ossia di soggetti tali rispetto al rapporto contribuente – parte/Erario) raccolte dagli organi fiscali di controllo nella fase procedimentale (…) - hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni (Cass. n. 903 del 2002 e n. 9402 del 2007) pienamente utilizzabili dal giudice tributario nella formazione del suo convincimento.”.
Nel caso più recente per la Cassazione (Cass. n. 9732 del 13 maggio 2015) le Commissioni di merito hanno fatto corretta applicazione del suddetto principio quando hanno ritenuto che gli elementi raccolti in sede di verifica fossero tali da far disattendere le risultanze delle scritture contabili anche se tenute regolarmente: in particolare basandosi sulle "contraddizioni rilevate tra ‘agende’ e ‘block notes’, che testimoniano una intensa attività, confermata dall'elevato numero di inserzioni, e il numero limitato degli incarichi di intermediazione nelle compravendite immobiliari documentati, i risultati di esercizio negativi degli ultimi sette anni e i redditi irrisori di partecipazione dichiarati dai soci”. I suddetti elementi sono stati ritenuti dalla Commissione d'appello presunzioni semplici ma gravi, precise e concordanti, quindi prove idonee a supportare l'accertamento a carico della società e dei soci.