Il Tribunale di Milano segue la Cassazione sull'“autosufficienza” del coniuge
Francesco Machina Grifeo
A meno di due settimane dalla storica sentenza della Corte di cassazione (10 maggio 2017 n. 11504) che ha rivisto i criteri di determinazione dell'assegno divorzile - passando dal precedente parametro del tenore di vita della coppia, a quello dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge -, il Tribunale di Milano (ordinanza 22 maggio 2017) ha espresso, in via cautelare, parere negativo sulla richiesta dell'assegno divorzile di una ex moglie, ritenendola in grado di provvedere a se stessa.
Il marito, un giornalista con una retribuzione mensile di circa 3.600 euro, detratto il canone locativo dispone di un reddito mensile effettivo di 2.950 euro. La ex moglie, proprietaria al 98% di una società, invece ha un reddito di circa euro 1.700. Al momento della separazione consensuale (nel 2004), le parti avevano deciso la cessione a titolo gratuito della casa familiare alla donna ed un assegno di 900 euro per i due figli. Uno dei quali intanto è diventato indipendente mentre per l'altro, che vive ancora con la madre, il padre si è dichiarato disponbile a proseguire nel versamento di 450 euro mensili. Per il Tribunale, «la rinuncia all'assegno di mantenimento espressa dalla moglie in sede di separazione non è determinante, stante la funzione assistenziale dell'assegno divorzile e la irrinunciabilità (in quella sede) del relativo diritto», ma è comunque «sintomatica di un'autosufficienza economica della parte (Trib. Milan, 5 febbraio 2014)». Inoltre, come visto, la differenza di reddito «non è così pronunciata (2.950 – 1700), se non altro considerata la proprietà sociale e immobiliare».
Così ricostruito il quadro, il giudice estensore, Giuseppe Buffone, premesso che «ogni altra circostanza dovrà essere esaminata in fase istruttoria non potendosi snaturare la funzione cautelare e sommaria dell'ordinanza presidenziale», afferma che «non può tuttavia non segnalarsi come, nelle more, i criteri di interpretazione dell'articolo 5 legge 898 del 1970 siano mutati, per effetto del revirement adottato dalla Suprema Corte (n. 11504/2017)». Secondo l'indirizzo tradizionale, ricorda l'ordinanza, i «”mezzi adeguati” per determinare l'emolumento divorzile devono essere raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio». Sulla scorta del nuovo insegnamento (Cass. 2017 n. 11504), il presupposto per riconoscere l'assegno di divorzio non è più il raffronto con il pregresso tenore di vita «bensì il riferimento all'indipendenza o autosufficienza economica del richiedente, che può essere desunta dai principali “indici” del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione».
Per “indipendenza economica”, dunque, prosegue il Tribunale, «deve intendersi la capacità per una determinare persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)». In questo senso, prosegue, «un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall'ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro 1000 mensili)». Mentre un ulteriore parametro, per adattare “in concreto” il concetto di indipendenza, «può anche essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita». In definitiva, ferma restanto la «natura provvisoria» della decisione, per il Tribunale «guardando a questo nuovo indirizzo di giurisprudenza e collocandone i principi nel caso di specie, può ipotizzarsi una prognosi negativa circa la spettanza dell'assegno di divorzio alla richiedente».
Fonte: il sole 24 ore- Guida al diritto
Segue l'ordinanza