A
alberto.
Ospite
Re: AIUTO!!!!!nessuno si cimenta?????
e mi sa che hai ragione...
Adempimenti & Obblighi Iva - Cessione di spazi pubblicitari a prezzo inferiore a quello di listino
di Fanelli Roberto in Azienda & Fisco n. 1/1996, pag. 37
Una società che cede spazi pubblicitari pratica, in alcuni casi e in presenza di determinati momenti di particolare crisi economica, prezzi particolarmente vantaggiosi a clienti prestigiosi, allo scopo di conservare il rapporto con il cliente medesimo.
Poiché tali prezzi si discostano molto dal listino normalmente praticato, si chiede di conoscere se la prassi descritta sia conforme alle disposizioni normative che disciplinano la materia. Inoltre, si chiede di sapere se l'eventuale cessione gratuita di spazi pubblicitari sia soggetta all'imposta sul valore aggiunto.
In relazione alla problematica sollevata con il caso in questione, è necessario distinguere l'ipotesi di prestazioni di servizi (tali sono le cessioni di spazi pubblicitari) rese a prezzi inferiori a quelli di listino e prestazioni rese gratuitamente.
Per quanto concerne le prestazioni effettuate a prezzi inferiori rispetto al listino, si osserva che l'art. 13 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che la base imponibile ai fini Iva è rappresentata "dall'ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali". Il riferimento normativo alle "condizioni contrattuali" impone di ritenere corretto l'operato del contribuente che, a fronte di sconti realmente concessi per finalità d'impresa (cioè per non perdere i clienti o per acquisirne di nuovi), fatturi e assoggetti a tassazione il corrispettivo pattuito ed incassato, anche se di gran lunga inferiore ai prezzi normalmente praticati. Un comportamento del genere prolungato nel tempo o applicato nei confronti della maggior parte dei clienti potrebbe anche far sorgere dei "sospetti" in caso di eventuali controlli fiscali; tuttavia, se lo sconto è reale, il comportamento del contribuente non è censurabile, in quanto, come affermato dal citato art. 13 del D.P.R. n. 633/1972, l'Iva non si applica sul valore normale dei beni ma sui corrispettivi praticati "secondo le condizioni contrattuali". Il ricorso al valore normale è limitato, infatti, ai soli casi espressamente previsti dal secondo comma dell'art. 13 (R.M. n. 411241 del 4 settembre 1979, in Codice Iva, IPSOA, sez. 1, art. 13 n. 49).
Per quanto riguarda le prestazioni rese gratuitamente, l'art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, in vigore fino al 23 febbraio 1995, stabiliva l'irrilevanza ai fini dell'Iva delle prestazioni di servizi gratuite.
L'art. 16-bis, comma 2, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge n. 85/1995, modificando il citato art. 3, primo comma, ha introdotto una nuova ipotesi di tassazione, stabilendo che "costituiscono prestazioni di servizi a titolo oneroso quelle effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore o di coloro che esercitano un'arte o una professione o per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa o all'esercizio dell'arte o della professione".
L'art. 4 del D.L. 2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni dalla legge n. 507 del 29 novembre 1995 (in Corr. Trib. n. 50/1995, pag. 3511), modificando il citato art. 16-bis, prevede la tassabilità delle prestazioni gratuite soltanto se rese da imprese (pertanto continuano a restare fuori dall'ambito applicativo del tributo le prestazioni gratuite rese da professionisti).
In particolare, il nuovo terzo comma dell'art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che le prestazioni gratuite sono soggette a Iva, a condizione che:
- siano di importo superiore a 50 mila lire;
- l'imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile;
- siano effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore ovvero per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa (si considerano comunque escluse da Iva le seguenti prestazioni di servizi rese gratuitamente: somministrazioni nelle mense aziendali, prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative, di assistenza sociale e sanitaria a favore del personale dipendente).
Pertanto, al fine di stabilire se una prestazione resa gratuitamente deve essere assoggettata a Iva, ferma restando la necessità che si tratti di un'operazione di importo superiore a lire 50.000 e che l'imposta afferente gli acquisti di beni e servizi relativi alla sua esecuzione sia detraibile, deve essere valutato se la stessa sia effettuata per "autoconsumo esterno", e cioè:
- per l'uso personale o familiare dell'imprenditore (o dei soci, in caso di imprese societarie);
ovvero
- per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa.
Ad esempio, se la prestazione gratuita viene resa senza che vi sia alcun collegamento con la finalità di conservare i clienti esistenti ovvero acquisirne di nuovi, la medesima dovrebbe essere considerata come "estranea all'esercizio dell'impresa" (si pensi ad un omaggio fatto ad un conoscente ovvero a pubblicità effettuata senza che possa intravvedersi un "ritorno", nemmeno potenziale, in termini di nuovi clienti). In questo caso quindi, l'operazione dovrebbe essere fatturata o autofatturata al valore normale (che, in presenza di listini, è il prezzo di listino), ai sensi dell'art. 13, secondo comma, lett. c) del D.P.R. n. 633/1972, come modificato anch'esso, dall'art. 4 del D.L. n. 415/1995. Si tenga presente, ad ogni modo, che la legge di conversione del D.L. n. 415/1995 ha previsto la esclusione da Iva delle "operazioni di divulgazione pubblicitaria svolte a beneficio delle attività istituzionali di enti e associazioni che senza scopo di lucro perseguono finalità educative, culturali, sportive, religiose e di assistenza e solidarietà sociale, e delle diffusioni di messaggi, rappresentazioni, immagini o comunicazioni di pubblico interesse richieste o patrocinate dallo stato o da enti pubblici".
Si potrebbe obiettare che tale sistema sia mal coordinato in raffronto all'ipotesi concernente l'effettuazione di prestazioni con concessione di sconti, in quanto, mentre in questa ipotesi l'Iva si applica (legittimamente) su un valore inferiore al prezzo di listino, nel caso di prestazione gratuita per finalità "estranee" all'esercizio d'impresa il tributo si applica sull'intero valore normale (pari, si è detto, al prezzo di listino). Al riguardo si osserva che quando l'operazione è effettuata per fini "non estranei" all'esercizio d'impresa:
- se la prestazione è a pagamento, l'imposta, in virtù del principio enunciato dal primo comma dell'art. 13, si applica sul corrispettivo contrattualmente pattuito dalle parti;
- se la prestazione è resa gratuitamente (quindi, il corrispettivo pattuito è pari a zero) il tributo non si applica affatto.
Al contrario, quando la prestazione è gratuita ed è destinata ad autoconsumo esterno (cioè è estranea all'esercizio dell'impresa), l'esigenza del legislatore è di evitare che giungano al consumo servizi detassati (per avere il contribuente già detratto l'imposta afferente gli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione). Pertanto, il corrispettivo su cui deve essere applicato il tributo è pari al valore normale, cioè, se esistente, al prezzo di listino.
Fonti normative
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 3, 13
e mi sa che hai ragione...
Adempimenti & Obblighi Iva - Cessione di spazi pubblicitari a prezzo inferiore a quello di listino
di Fanelli Roberto in Azienda & Fisco n. 1/1996, pag. 37
Una società che cede spazi pubblicitari pratica, in alcuni casi e in presenza di determinati momenti di particolare crisi economica, prezzi particolarmente vantaggiosi a clienti prestigiosi, allo scopo di conservare il rapporto con il cliente medesimo.
Poiché tali prezzi si discostano molto dal listino normalmente praticato, si chiede di conoscere se la prassi descritta sia conforme alle disposizioni normative che disciplinano la materia. Inoltre, si chiede di sapere se l'eventuale cessione gratuita di spazi pubblicitari sia soggetta all'imposta sul valore aggiunto.
In relazione alla problematica sollevata con il caso in questione, è necessario distinguere l'ipotesi di prestazioni di servizi (tali sono le cessioni di spazi pubblicitari) rese a prezzi inferiori a quelli di listino e prestazioni rese gratuitamente.
Per quanto concerne le prestazioni effettuate a prezzi inferiori rispetto al listino, si osserva che l'art. 13 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che la base imponibile ai fini Iva è rappresentata "dall'ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali". Il riferimento normativo alle "condizioni contrattuali" impone di ritenere corretto l'operato del contribuente che, a fronte di sconti realmente concessi per finalità d'impresa (cioè per non perdere i clienti o per acquisirne di nuovi), fatturi e assoggetti a tassazione il corrispettivo pattuito ed incassato, anche se di gran lunga inferiore ai prezzi normalmente praticati. Un comportamento del genere prolungato nel tempo o applicato nei confronti della maggior parte dei clienti potrebbe anche far sorgere dei "sospetti" in caso di eventuali controlli fiscali; tuttavia, se lo sconto è reale, il comportamento del contribuente non è censurabile, in quanto, come affermato dal citato art. 13 del D.P.R. n. 633/1972, l'Iva non si applica sul valore normale dei beni ma sui corrispettivi praticati "secondo le condizioni contrattuali". Il ricorso al valore normale è limitato, infatti, ai soli casi espressamente previsti dal secondo comma dell'art. 13 (R.M. n. 411241 del 4 settembre 1979, in Codice Iva, IPSOA, sez. 1, art. 13 n. 49).
Per quanto riguarda le prestazioni rese gratuitamente, l'art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, in vigore fino al 23 febbraio 1995, stabiliva l'irrilevanza ai fini dell'Iva delle prestazioni di servizi gratuite.
L'art. 16-bis, comma 2, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge n. 85/1995, modificando il citato art. 3, primo comma, ha introdotto una nuova ipotesi di tassazione, stabilendo che "costituiscono prestazioni di servizi a titolo oneroso quelle effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore o di coloro che esercitano un'arte o una professione o per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa o all'esercizio dell'arte o della professione".
L'art. 4 del D.L. 2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni dalla legge n. 507 del 29 novembre 1995 (in Corr. Trib. n. 50/1995, pag. 3511), modificando il citato art. 16-bis, prevede la tassabilità delle prestazioni gratuite soltanto se rese da imprese (pertanto continuano a restare fuori dall'ambito applicativo del tributo le prestazioni gratuite rese da professionisti).
In particolare, il nuovo terzo comma dell'art. 3 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che le prestazioni gratuite sono soggette a Iva, a condizione che:
- siano di importo superiore a 50 mila lire;
- l'imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile;
- siano effettuate per l'uso personale o familiare dell'imprenditore ovvero per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa (si considerano comunque escluse da Iva le seguenti prestazioni di servizi rese gratuitamente: somministrazioni nelle mense aziendali, prestazioni di trasporto, didattiche, educative e ricreative, di assistenza sociale e sanitaria a favore del personale dipendente).
Pertanto, al fine di stabilire se una prestazione resa gratuitamente deve essere assoggettata a Iva, ferma restando la necessità che si tratti di un'operazione di importo superiore a lire 50.000 e che l'imposta afferente gli acquisti di beni e servizi relativi alla sua esecuzione sia detraibile, deve essere valutato se la stessa sia effettuata per "autoconsumo esterno", e cioè:
- per l'uso personale o familiare dell'imprenditore (o dei soci, in caso di imprese societarie);
ovvero
- per altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa.
Ad esempio, se la prestazione gratuita viene resa senza che vi sia alcun collegamento con la finalità di conservare i clienti esistenti ovvero acquisirne di nuovi, la medesima dovrebbe essere considerata come "estranea all'esercizio dell'impresa" (si pensi ad un omaggio fatto ad un conoscente ovvero a pubblicità effettuata senza che possa intravvedersi un "ritorno", nemmeno potenziale, in termini di nuovi clienti). In questo caso quindi, l'operazione dovrebbe essere fatturata o autofatturata al valore normale (che, in presenza di listini, è il prezzo di listino), ai sensi dell'art. 13, secondo comma, lett. c) del D.P.R. n. 633/1972, come modificato anch'esso, dall'art. 4 del D.L. n. 415/1995. Si tenga presente, ad ogni modo, che la legge di conversione del D.L. n. 415/1995 ha previsto la esclusione da Iva delle "operazioni di divulgazione pubblicitaria svolte a beneficio delle attività istituzionali di enti e associazioni che senza scopo di lucro perseguono finalità educative, culturali, sportive, religiose e di assistenza e solidarietà sociale, e delle diffusioni di messaggi, rappresentazioni, immagini o comunicazioni di pubblico interesse richieste o patrocinate dallo stato o da enti pubblici".
Si potrebbe obiettare che tale sistema sia mal coordinato in raffronto all'ipotesi concernente l'effettuazione di prestazioni con concessione di sconti, in quanto, mentre in questa ipotesi l'Iva si applica (legittimamente) su un valore inferiore al prezzo di listino, nel caso di prestazione gratuita per finalità "estranee" all'esercizio d'impresa il tributo si applica sull'intero valore normale (pari, si è detto, al prezzo di listino). Al riguardo si osserva che quando l'operazione è effettuata per fini "non estranei" all'esercizio d'impresa:
- se la prestazione è a pagamento, l'imposta, in virtù del principio enunciato dal primo comma dell'art. 13, si applica sul corrispettivo contrattualmente pattuito dalle parti;
- se la prestazione è resa gratuitamente (quindi, il corrispettivo pattuito è pari a zero) il tributo non si applica affatto.
Al contrario, quando la prestazione è gratuita ed è destinata ad autoconsumo esterno (cioè è estranea all'esercizio dell'impresa), l'esigenza del legislatore è di evitare che giungano al consumo servizi detassati (per avere il contribuente già detratto l'imposta afferente gli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione). Pertanto, il corrispettivo su cui deve essere applicato il tributo è pari al valore normale, cioè, se esistente, al prezzo di listino.
Fonti normative
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 3, 13