News Pubblicata il 23/08/2022

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Malattia all'estero: Apostille obbligatoria nel certificato

di Redazione Fisco e Tasse

Assenza per malattia all’estero ingiustificata se il certificato medico non ha l’Apostille. Cos'è e a chi spetta l'onere di verificare la veridicita della malattia del dipendente



Con la sentenza n. 24697/2022 la Cassazione  ha confermato la legittimita del licenziamendo di una lavoratrice  per assenza ingiustificata , dovuta alla presentazione di un certificato medico incompleto . In particolare il documento mancava dell'APOSTILLE  richiesto per  attestare l'autenticità dei documenti stranieri. Vediamo di seguito piu in dettaglio la vicenda e ricordiamo che cosa è l'Apostille

Il caso riguardava una lavoratrice originaria del Marocco dipendente come operaia di secondo livello di una impresa di pulizie  alla quale era stata a contestata l'assenza ingiustificata dal 10 settembre al 19 ottobre 2016 ed era stata, per questo, licenziata per motivi disciplinari senza preavviso,  per non avere avvisato i suoi superiori e di non avere giustificato validamente la sua assenza.

 Il Tribunale aveva respinto il suo ricorso contro il licenziamento mentre la  Corte di appello di Firenze lo ha dichiarato illegittimo annullandolo e  ordinando alla spa di 

  1. reintegrare la dipendente nel posto di lavoro e di
  2. corrisponderle, a titolo di risarcimento del  danno, una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto maturata dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre accessori e regolarizzazione contributiva previdenziale ed assicurativa.

La lavoratrice, nel periodo in contestazione, si trovava in Marocco e a giustificazione della propria assenza aveva inviato al datore di lavoro due certificati medici, e tradotti in italiano, ma privi della "Apostilla", ossia della formalità richiesta dalla Convenzione dell'Aja del 5.10.1961 ai fini di attestare la veridicità della firma sull'atto, il titolo in virtù del quale l'atto era stato firmato e l'autenticità del sigillo o del bollo. 

Secondo la Corte distrettuale  i certificati medici rientrano tra gli atti pubblici per i quali, ai sensi della Convenzione dell'Ala del 1961, era esclusa la necessità della legalizzazione e e che nell' ipotesi di assenza dal lavoro non regolarmente giustificata ma non del tutta priva di giustificazione la mancata legalizzazione dei certificati medici non poteva essere imputata a negligenza della lavoratrice in quanto la Convenzione dell'Aja era stata recepita dal Marocco il 14.8.2016, solo pochi giorni prima della malattia in questione; Inoltre osservava che la giusta causa  sarebbe stata ravvisabile  ravvisata solo  nell'ipotesi di assenza priva di giustificazione sostanziale; ce.  Osservava inoltre che a fronte  di un documento non regolare, anche se non privo di valore sostanziale era onere del datore di lavoro verificare,anche a posteriori, la legittimità dell'assenza.

La societa nel ricorso in Cassazione osservava  a riprova della negligenza che :

Infine faceva presente il certificato  non conteneva  neppure l'indirizzo del luogo in cui la lavoratrice si trovava durante l'asserita malattia, così impedendo al datore di lavoro di controllare.

Nella pronuncia la Cassazione considera fondati i motivi di ricorso della societa , sottolineando in particolare che  la Apostille,  necessaria per le certificazioni mediche inviate all'INPS per la corresponsione della indennità di malattia, viene reputata erroneamente come  non costituente un vizio sostanziale mentre  si tratta di un elemento formale e sostanziale di un documento da utilizzare con valore giuridico in un Paese straniero, ed è errata la affermazione della Corte distrettuale che attribuisce un diverso valore al vizio a seconda del destinatario dell'atto ( datore di lavoro invece che INPS)

Si ribadisce che la Apostille è necessaria in quanto certifica la provenienza dell'atto da un soggetto abilitato allo  svolgimento della professione sanitaria, quanto la diagnosi e la prognosi di  malattia come attestate da un soggetto competente.

Viene  sottolineato che la pronuncia di secondo grado  è errata in diritto anche nella parte in cui si afferma che al datore di lavoro avrebbe potuto  verificare, anche successivamente, la legittimità dell'assenza. Infatti , dicono i Supremi giudici " sul datore di lavoro grava l'onere di provare la condotta che ha determinato l'irrogazione della sanzione disciplinare e, quindi, di provare il fatto nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l'onere di provare gli elementi che possano  giustificarlo (Cass. n. 16597/2018; Cass. n. 2988/2011)."

La Corte accoglie  dunque il ricorso e  rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Apostille necessaria sui  certificati medici stranieri 

L'Apostille è un timbro che viene apposto dal governo di un Paese firmatario della Convenzione dell'Aja del 1961, che  riconosce la qualità con cui opera il funzionario pubblico che ha sottoscritto  il documento, la veridicità della firma e l'identità del timbro o del sigillo del  quale il documento è rivestito. L'apposizione di tale timbro non rende più  necessaria la legalizzazione del documento da parte dell'autorità diplomatica  del Paese di provenienza.

 E' quindi una certificazione che incide sulla autenticità  formale e sostanziale di un documento da utilizzare con valore giuridico in un Paese straniero.

La  Corte ha  precisato già in passato  che, "in base alla Convenzione  sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l'Aja il 5 ottobre 1961, e ratificata dall'Italia con legge n. 1253 del 1966, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità  designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita "Apostille", da  apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può  attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico  ufficiale di uno Stato estero, pur aderente alla Convenzione". 


Fonte: Corte di Cassazione



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