News Pubblicata il 28/08/2020

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Indennità di disoccupazione salva anche se il licenziamento risulta illegittimo

La transazione con l'azienda dopo la sentenza che riconverte il contratto di lavoro non implica la perdita della NASPI percepita durante il giudizio. Chiarimenti della Cassazione



Anche se il licenziamento del lavoratore è giudicato illegittimo e si giunge a una transazione  con l’azienda, sostitutiva delle retribuzioni per riconversione da contratto a termine a  tempo indeterminato, l’inps non puo chiedere la restituzione dell’Indennità di disoccupazione già erogata

 Questo quanto affermato dalla Cassazione nella ordinanza 17793 del 26 agosto 2020 

Il caso  riguardava un lavoratore ormai in pensione al quale l’istituto aveva trattenuto dall’assegno pensionistico gli importi corrispondenti a indennità di disoccupazione percepite dal 1/1/2005 all' 1/1/2009 . Inps contestava il diritto alla disoccupazione in quanto  in quel periodo per il lavoratore era in corso il giudizio dopo una serie di contratti a termine irregolari , terminato con la sentenza di nullità del licenziamento e riconversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato. L'istituto previdenziale  attribuiva al lavoratore la resposabilità di non aver fatto valere  tale giudizio che prevedeva il recupero delle retribuzioni non percepite, accettando invece una transazione per danno non patrimoniale   di importo molto inferiore.

La Cassazione  concorda con la  Corte territoriale  sul fatto che per illavoratore l'indennità di disoccupazione era comunque dovuta pur avendo ottenuto una sentenza favorevole dai tribunali di merito ma non essendo  mai stato reintegrato nel posto di lavoro ,né avendor ricevuto spettanze retributive

La Cassazione  ricorda   in generale che "l'evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l'involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103). La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell'art. 38 II comma della Costituzione e che tale presupposto si verifica anche nel caso di scadenza del termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non deriva da iniziativa del lavoratore". 6. Nel precedente citato si è rilevato che " la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l'effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell'atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento" (v. anche Cass. 11.6.1998 n. 5850, Cass. n. 4040 del 27/06/1980) e che " solo una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall'Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti, così non potendo, peraltro, le stesse essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 3 Corte di Cassazione - copia non ufficiale RG n 29536/2014 18 (v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n. 9418 del 20/4/2007)." 

Circa la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato  e il comportamento del lavoratore che, secondo l'Inps, colpevolmente non l'avrebbe posta in esecuzione, la sentenza  di questa Corte ha osservato che " l'impugnazione giudiziale della legittimità del recesso datoriale costituisce un diritto, ma non un obbligo del lavoratore, e che l'intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi alla stregua e al momento dell'atto risolutivo

Concorda inoltre  con il tribunale di merito sul fatto che non ha senso “ indagare  le ragioni e l'imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l'esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali".  Il lavoratore ha esercitato un suo diritto quindi nell'accettare la transazione  mancando la certezza avrebbe potuto concludersi il percorso giudiziale  e questo non eslcude il diritto alla percezione della NASPI.

Per queste considerazioni il ricorso dell’INPS viene rigettato.

Fonte: Corte di Cassazione


1 FILE ALLEGATO:
CASSAZIONE LAVORO 17793 2020 Naspi

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