Speciale Pubblicato il 16/01/2018

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La diffusione e la pubblicazione di immagini di persone tratte in arresto.

di Modesti dott. Giovanni

Come operare un bilanciamento tra diritti diversi contrapposti ma tutti di rango costituzionale.



La tematica relativa alla pubblicazione  di fotografie e video ritraenti il volto di persone arrestate in esecuzione di ordinanze applicative di misure cautelari o di persone arrestate in flagranza di reato oppure, ancora, di persone sottoposte a fermo di polizia giudiziaria nell’ambito di procedimenti riservati alla competenza degli uffici giudiziari, ha fatto registrare un ultimo capitolo grazie ad una serie di indicazioni fornite dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
Ci si riferisce alla Circolare prot. dir. n. 4/2017, licenziata in data 19 dicembre 2017, con la quale il Procuratore della Repubblica ha inteso fornire una serie di chiarimenti, a fronte di condotte assunte in relazione al verificarsi di una delle fattispecie richiamate nel precedente capoverso, rispetto alle quali non sempre sono state adottate norme di condotta uguali.
A fronte di interessi tra loro confliggenti, lo si ripete tutti di rilievo costituzionale, ci si riferisce ai diritti fondamentali della persona, al diritto dei cittadini all’informazione ed all’esercizio del diritto di cronaca, la Circolare in commento – nell’evidenziare la valenza dei diritti e delle libertà fondamentali disciplinate dall’art. 2 della Costituzione (quali: la riservatezza, l’identità personale e il diritto alla protezione dei dati) – richiama l’art. 25 del Decreto legislativo n. 196/2003 e s.m.i., recante “Codice in materia di protezione dei dati personali”, che –pur stabilendo il divieto di comunicazione e diffusione dei dati personali . al comma secondo inserisce una eccezione  a tale divieto, per cui “2. E’ fatta salva la comunicazione o diffusione di dati richiesti, in conformità alla legge, da forze di polizia, dall’autorità giudiziaria, da organismi di informazione e sicurezza o da altri soggetti pubblici ai sensi dell’art. 58, comma 2, per finalità di difesa o di sicurezza dello Stato o di prevenzione, accertamento o repressione di reati”.
La Circolare prot. dir. n. 4/2017 richiama, altresì, l’articolo 8 del Codice deontologico dei giornalisti il quale prevede che “Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona (…) salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riproduce né riprende immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato. Le persone non possono essere rappresentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi”.

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La posizione del Garante privacy

Attraverso  la News letter n. 250 del 23 marzo – 3 aprile 2005, l’Autorità Garante – prendendo spunto dagli articoli di stampa riguardanti persone sieropositive – ha sottolineato l’obbligo di rispettare particolari garanzie volte a prevenire l'ingiustificata diffusione di dati personali, come quelli relativi alle foto degli interessati.
In particolare, l'Ufficio del Garante ha ricordato che si possono individuare modalità di informazione del pubblico assai più selettive rispetto alla divulgazione della fotografia e delle generalità dell'interessato, fornendo, cioè, elementi di informazione indiretti.
L'Autorità ha anche ricordato come la necessità di assicurare la doverosa tutela della dignità e della riservatezza alle persone sieropositive e l'obbligo di astenersi dalla diffusione di dati personali ed immagini da parte delle forze di polizia,  siano stati oggetto di due circolari del Ministero dell'interno  (27 novembre 2003 e 26 febbraio 1999) e di una circolare del Comando generale della Guardia di finanza (19 gennaio 2004).
La stessa recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, dell'11 gennaio 2005, riguardante un caso italiano di diffusione di dati a seguito di conferenze stampa tenute da organi inquirenti, ha confermato inoltre il quadro di rigorose garanzie previste nella normativa italiana

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Da rilevare come la trasmissione agli organi di stampa delle foto segnaletiche di persone scattate in occasione dell’arresto può integrare una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.
L’articolo 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare  - recita che “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”.

Foto segnaletiche. Sentenza della Corte dei diritti dell'uomo dell’11.01.2005

La sentenza sopra richiamata ha sancito che la diffusione di foto segnaletiche alla stampa viola l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Trasmettere agli organi di stampa fotografie di una persona accusata in un procedimento penale costituisce una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il principio è stato affermato in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo  originata dal ricorso di un’insegnante italiana - fermata e posta agli arresti domiciliari con l’accusa di associazione a delinquere, evasione fiscale e falso - la cui fotografia, scattata durante le indagini, era stata diffusa nel corso di una conferenza stampa delle forze dell’ordine e quindi pubblicata su diverse edizioni di due quotidiani locali.
Per accertare la lamentata ingerenza nella sfera privata, la Corte ha valutato – conformemente alla sua giurisprudenza – il rispetto dei requisiti previsti dall’Art. 8(2) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale comma stabilisce, infatti, che si possa interferire con la vita privata di una persona soltanto se ciò è “previsto dalla legge”, e “necessario, in una società democratica” per raggiungere gli scopi indicati nello stesso comma (pubblica sicurezza, protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o protezione dei diritti e della libertà altrui.).
In particolare, quanto al primo punto, i giudici hanno ravvisato l’inapplicabilità al caso in oggetto dell’eccezione al segreto degli atti di indagini prevista dall’articolo 329(2) del codice di procedura penale italiano. Tale eccezione riguarda unicamente la circostanza in cui la pubblicità di uno degli atti sia necessaria ai fini della prosecuzione dell’indagine, il che non è sostenibile nel caso di specie. Pertanto, la Corte non ha riscontrato la presenza di previsioni normative che giustificassero l’ingerenza nella vita privata della ricorrente, e non ha ritenuto di doversi pronunciare sull’altro requisito imponendo allo Stato italiano di risarcire l’insegnante delle spese processuali.



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