Speciale Pubblicato il 27/02/2015

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Redditometro e redditi agrari

di Brandi Dott. Francesco

Il redditometro deve tenere conto dei redditi, come i redditi agrari, che non confluiscono nel reddito imponibile e in generale di tutti i redditi esenti



In tema di redditometro il reddito accertato va confrontato con il reddito finanziario effettivamente a disposizione del contribuente soprattutto nel caso in cui lo stesso sia titolare di un reddito determinato in modo forfettario come quello agrario: il reddito finanziario comprende non solo i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte (non confluiti in dichiarazione) ma anche i costi figurativi come gli ammortamenti o gli accantonamenti al fondo Tfr. L'articolo prende in esame la recente giurisprudenza utile per difendersi da questo poco amato sistema di accertamento sintetico. Vengono richiamate le sentenze:  n. 95/2/2015 del 29 gennaio 2015 della Ctr di Catanzaro, la n. 762/3/14 del 13 ottobre 2014 della Ctp di Caltanissetta , la  n. 128/1/14 della CTP di Alessandria, la n. 2012/21/11 della CTP di Bari.

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Redditometro: la recente giurisprudenza per difendersi dal fisco

I costi figurativi, infatti, sono costi che, pur intaccando il reddito imponibile del contribuente, non ne diminuiscono la capacità di spesa, non comportando alcuna uscita monetaria.
A tal proposito sono emblematiche due recenti pronunce delle commissioni tributarie.
Con la sentenza n. 95/2/2015 dello scorso 29 gennaio, la Ctr di Catanzaro ha accolto l’appello di un contribuente, annullando un avviso di accertamento da redditometro.
Nel caso di specie il contribuente aveva dimostrato non solo l’aiuto finanziario di un familiare facente parte del nucleo ma soprattutto, tramite le dichiarazioni Iva annuali, di aver avuto, con la propria azienda agricola, un fatturato “effettivo” pari a circa 70 mila euro. La determinazione forfettaria (in base agli indici catastali) del reddito agrario aveva compresso eccessivamente il proprio reddito effettivo, rendendolo passibile di accertamento redditometrico.
In sede contenziosa il contribuente ha invece dimostrato il proprio reddito “disponibile”, indicativo della propria effettiva capacità di spesa: solo tale reddito può essere messo a confronto con il reddito accertato così da verificarne lo scostamento rispetto al reddito accertato (del 25% e per due periodi di imposta, in base alla “vecchio” art. 38, comma 4 del D.P.R. n. 600 del 1973; del 20% in base al “nuovo art. 38, comma 6).
L’altra pronuncia degna di nota è la sentenza n. 762/3/14 del 13 ottobre 2014, con cui la Ctp di Caltanissetta ha annullato gli avvisi di accertamento per le annualità 2007 e 2008 emessi a carico di un contribuente perché per uno di essi era venuto meno il requisito dello scostamento di un quarto rispetto al reddito dichiarato, previsto dall’art. 38, vecchia formulazione, del D.P.R. n. 600 del 1973.
Secondo l’Agenzia delle Entrate la quota di ammortamento costituisce un costo per l’impresa che non incide sull’entità del reddito disponibile.
Non l’hanno pensata allo stesso modo i giudici siciliani che, a tal proposito, hanno richiamato alcuni interessanti precedenti della giurisprudenza di merito secondo cui, per effetto degli ammortamenti, il contribuente, di fatto, viene a beneficiare di una maggiore liquidità rispetto a quanto emerge dalla dichiarazione dei redditi (CTP di Alessandria n. 128/1/14).
Analogamente il reddito imponibile del contribuente-imprenditore risente dei costi dedotti che, sebbene di competenza, non hanno natura monetaria, il che significa che le potenzialità finanziarie dell’imprenditore stesso sono maggiori di quelle desunte dal reddito imponibile (in questo senso, CTP di Bari n. 201/21/11).
Sul tema del reddito finanziario effettivo, l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 25/E del 19 giugno 2012, ha precisato che il reddito dichiarato non sempre costituisce un termine di confronto omogeneo rispetto a quello determinato sinteticamente: per questo, in molti casi, tale reddito andrà adeguato nel corso del contraddittorio per stabilire il reddito effettivamente a disposizione del contribuente (che è l’unico che ne esprime la reale capacità di spesa). Ciò vale sia per il reddito di impresa, che risente delle regole del T.U.I.R. (aventi l’effetto di limitare la deducibilità di alcuni costi oppure di consentire, ad esempio, la rateizzazione, a soli fini fiscali, delle plusvalenze) sia nei casi di redditi “figurativi” quale il reddito fondiario.


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