Speciale Pubblicato il 09/01/2015

Tempo di lettura: 4 minuti

Decreti attuativi del Jobs Act ancora in stand by

di Avv. Rocchina Staiano

I due primi decreti attuativi della legge delega sul lavoro sono in attesa di discussione nelle Commissioni parlamentari prima della pubblicazione in Gazzetta e quindi della loro entrata in vigore



Il 24 dicembre 2014, il Consiglio dei Ministri ha approvato due schemi di decreti legislativi, attuativi della L. 10 dicembre 2014, n. 183, c.d. Jobs act, che riguardano:
  1.  Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (I decreto legislativo);
  2.  le modifiche all’ASPI e l’introduzione della nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) (II decreto legislativo).
Tali Decreti legislativi, a norma dell’art. 1, commi da 10 a 14, della L. 183/2014 devono essere però  sottoposti al vaglio delle commissioni della Camera e del Senato, i quali, entro 30 giorni, dovranno emettere pareri.
Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. 

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TRATTO DA " LA CIRCOLARE DEL LAVORO N. 2. del 9.1.2015 " a cura di Rocchina Staiano 
 
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Leggi il testo integrale del decreto  attuativo  del 24.12.2014

Decreto legislativo sull'art. 18: licenziamenti e reintegro

Il decreto legislativo sull' art. 18: le novità in materia di tutela nei contratti a tempo indeterminato
Il primo decreto legislativo, approvato il 24 dicembre 2014 dal Governo, per dare attuazione alla Legge delega sul Jobs act (L. n. 183/2014), riguarda le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Il decreto delegato entrerà in vigore solo al termine dell’iter parlamentare previsto dai commi da 10 a 14 dell’art. 1 della L. 183/2014.
In particolare, il decreto si applica ai lavoratori (operai, impiegati e quadri) assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto in oggetto e a chi ha perso il lavoro e viene assunto, anche in aziende di 15 lavoratori o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo. In tali ipotesi, in caso di licenziamento illegittimo, non si applica la c.d. tutela reale (art. 18 della L. 300/1970).
Di conseguenza, secondo il decreto:
Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale:
il reintegro nel posto di lavoro resta solo per i licenziamenti discriminatori e disciplinari (art. 2). In particolare, in queste ipotesi, il giudice, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. Il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto un indennizzo pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Tale regime si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
 Con la pronuncia suddetta, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno, il lavoratore può chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa:
è esclusa nei casi di licenziamenti economici la possibilità del reintegro del lavoratore. Nello specifico, qualora sia accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità (art. 3).
Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro (art. 4, comma 1, lett. c, D. Lgs. 21 aprile 2000, n. 181). Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Vizi formali e procedurali:
nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione (art. 2, co. 2, L. n. 604/1966) o della procedura di cui all’articolo 7 della Legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele sopra citate.


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